La risoluzione del contratto d’appalto – indice:
- Risoluzione per inadempimento
- Impossibilità sopravvenuta
- Effetti della risoluzione
- Fallimento di una delle parti
- Morte dell’appaltatore
L’appalto è un contratto a prestazioni corrispettive in cui le parti assumono reciproche obbligazioni che, se non rispettate, possono portare alla risoluzione del contratto. Quest’ultima può avvenire giudizialmente o di diritto, secondo le regole generali previste dal codice civile per la risoluzione del contratto. Ci si riferisce agli articoli 1453 e seguenti del codice civile.
La risoluzione del contratto d’appalto per inadempimento
Il contratto d’appalto può essere risolto per inadempimento secondo la regola dettata dall’articolo 1453 del codice civile. Riportandone il testo questa afferma che “Nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l’altro può a sua scelta chiedere l’adempimento o la risoluzione del contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno”. Si tratta di un’ipotesi di risoluzione giudiziale.
In alternativa, con una soluzione di diritto, può essere inserita nel contratto su accordo delle parti una clausola risolutiva espressa. Disciplinata dall’articolo 1456 del codice civile, è utile a risolvere il contratto di diritto quando le obbligazioni contrattuali non vengono eseguite secondo le modalità pattuite.
L’inadempimento deve essere grave e in misura maggiore rispetto all’inadempimento nella vendita dove è sufficiente una diminuzione apprezzabile del valore del bene. Lo afferma l’opinione diffusasi nella giurisprudenza.
L’inadempimento può riguardare il committente o l’appaltatore. Nei paragrafi successivi si distinguono le due ipotesi.
Inadempimento dell’appaltatore e vizi dell’opera
Quando riguarda l’appaltatore, l’inadempimento può tradursi in un’opera difforme e viziata rispetto al risultato pattuito nel contratto. Questo è un caso in cui il committente ha la possibilità di chiedere la risoluzione del contratto, oltre ad altri rimedi. Lo dice espressamente il secondo comma dell’articolo 1668 del codice civile affermando che “Se però le difformità o i vizi dell’opera sono tali da renderla del tutto inadatta alla sua destinazione, il committente può chiedere la risoluzione del contratto”.
Ci sono altre ipotesi di inadempimento dell’appaltatore che legittimano l’applicazione dell’articolo 1453 del codice civile. Sono, ad esempio,la mancata esecuzione dell’opera, il realizzo parziale o tardivo, il rifiuto della consegna. In questi casi infatti non possono dirsi applicabili gli articoli 1667 e 1668 del codice civile che richiedono l’esecuzione completa dell’opera.
Spetta al committente l’onere di fornire le prove a fondamento della sua richiesta di risoluzione. Ovvero le prove dei vizi e delle difformità dell’opera.
Si sottolinea come la risoluzione del contratto di appalto possa essere richiesta solo quando i vizi e le difformità dell’opera siano di notevole entità, tale da renderla completamente inadatta alla sua destinazione
Si precisa inoltre come, nel caso in cui il committente richieda la risoluzione del contratto per inadempimento delle tempistiche stabilite di esecuzione dei lavori con l’appaltatore, la domanda giudiziale di risoluzione debba essere chiesta in corso d’opera e non a lavori già terminati.
Domanda di risoluzione e di riduzione del prezzo o eliminazione dei vizi
Il secondo comma dell’articolo 1453 del codice civile stabilisce che “La risoluzione può essere domandata anche quando il giudizio è stato promosso per ottenere l’adempimento; ma non può più chiedersi l’adempimento quando è stata domandata la risoluzione”. Pone dunque dei limiti al rapporto tra richiesta di risoluzione e di adempimento.
Ammesso che il committente possa chiedere all’appaltatore di eliminare i vizi dell’opera o la riduzione del prezzo ai sensi dell’articolo 1668 del codice civile, la giurisprudenza nega l’incompatibilità di tali richieste con la domanda di risoluzione nello stesso giudizio. Spiega infatti che la riduzione del prezzo non costituisce esatto adempimento della prestazione e quindi non incorre nel divieto posto dalla suddetta norma.
Per quanto riguarda la domanda di eliminazione dei vizi invece, la corte interviene affermando che “per ciò che concerne i rapporti fra la domanda di risoluzione ed eliminazione dei vizi, l’esatto adempimento richiesto con questa seconda incorre nel divieto suddetto nei soli limiti in cui sussista l’interesse attuale del contraente che ha chiesto, la risoluzione, tal che non può escludersi la proponibilità di entrambe le medesime domande in un unico giudizio, per l’eventualità del venir meno di tale interesse e quindi in rapporto di subordinazione della seconda alla prima”.
Diffida ad adempiere
Durante l’esecuzione della prestazione da parte dell’appaltatore il committente ha il diritto di controllare e verificare lo svolgimento dei lavori. Lo stabilisce l’articolo 1662 del codice civile. Se consta un operato non conforme alle condizioni pattuite nel contratto, ovvero a regola d’arte, può intimare l’appaltatore con diffida ad adempiere a conformarsi entro un termine. Si presuppone dunque possibile correggere i vizi dell’operato o rifarla da capo.
In mancanza di riscontro il contratto si risolve di diritto senza bisogno di ricorrere alla domanda giudiziale. Il contratto inoltre può risolversi, lo ha affermato la cassazione, anche se tale attività di controllo non è stata posta in essere dal committente essendo infatti un diritto e non un onere.
La responsabilità del committente
L’obbligazione principale del committente è quella del pagamento del corrispettivo dell’opera eseguita dall’appaltatore, nelle forme, tempi e modalità pattuite.
Nel caso di inadempimento del committente l’appaltatore può agire in giudizio per chiedere il pagamento del corrispettivo ma deve provare di aver eseguito l’opera in modo conforme a quanto stabilito nel contratto e a regola d’arte. Può inoltre chiedere la risoluzione del contratto, oltre alla possibilità di fruire delle azioni convenzionali previste dalle norme comuni, solo quando subisca un effettivo pregiudizio.
Un altro classico caso di risoluzione del contratto di appalto per inadempimento del committente si verifica quando quest’ultimo ingerisce nell’attività autonomamente svolta dall’appaltatore sospendendo i lavori senza motivazione.
Fra le altre ipotesi, una remota sentenza della Cassazione aveva riconosciuto inadempiente il comportamento ostativo del committente nei confronti dell’appaltatore che doveva liberare il cantiere a seguito dello scioglimento anticipato del rapporto d’appalto.
La risoluzione del contratto d’appalto per impossibilità sopravvenuta
Il contratto d’appalto può risolversi quando la prestazione che ne costituisce oggetto diventa impossibile da eseguire per una causa non imputabile a nessuna delle parti. A disciplinare l’ipotesi è l’articolo 1672 del codice civile che tratta però una impossibilità parziale. Prevede infatti che “il committente deve pagare la parte dell’opera già compiuta , nei limiti in cui è per lui utile, in proporzione del prezzo pattuito per l’opera intera”.
Il concetto di utilità di cui parla la norma va inteso in senso relativo. Si tratta ovvero di un’utilità propria di quel committente contraente e non un’utilità valida oggettivamente per chiunque.
Cosa comporta la risoluzione del contratto d’appalto?
Stando alle regole generali sugli effetti della risoluzione del contratto l’articolo 1458 del codice civile stabilisce la retroattività della risoluzione per inadempimento. Nel contratto d’appalto dunque, la risoluzione, sia richiesta giudizialmente sia avvenuta di diritto, ha efficacia retroattiva fra le parti. Tale effetto è pacifico se si pensa che l’appalto è un contratto ad esecuzione prolungata e non continuata o periodica.
C’è tuttavia un’eccezione. Ci si riferisce ai contratti d’appalto ad esecuzione continuata o periodica. Lo afferma il secondo periodo del primo comma dell’articolo 1458. Questo recita: “salvo il caso di contratti ad esecuzione continuata o periodica, riguardo ai quali l’effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite”.
L’altro effetto della risoluzione del contratto d’appalto è la tutela restitutoria delle parti.
Se la risoluzione deriva da inadempimento dell’appaltatore il committente non sarà più obbligato a pagare il prezzo e avrà eventualmente diritto a chiedere la ripetizione delle somme già pagate con gli interessi. Avrà inoltre diritto anche alla restituzione dei materiali forniti all’appaltatore per realizzare l’opera, se da lui stesso procurati, nella stessa forma e qualità.
Gli effetti della risoluzione dell’appalto in base al tipo di opera
Bisogna tuttavia distinguere cosa succede a seconda che l’opera data in appalto sia mobile o immobile.
Se mobile l’appaltatore che l’ha già eseguita ne rimane proprietario. Se l’aveva già data in consegna al committente questo gliela deve restituire.
Il committente che aveva dato in appalto un bene immobile ha una duplice possibilità. Può scegliere, quando chieda la risoluzione, di demolire l’opera, se già eseguita, oppure di diventarne proprietario per accensione. In questo caso è contrastata l’opinione sulla tutela restitutoria. C’è chi ritiene vada pagata una somma all’appaltatore a titolo di indennità di arricchimento, chi ritiene non possa operare la risoluzione non essendoci il ripristino della posizione dell’appaltatore.
Risoluzione del contratto d’appalto per fallimento di una delle parti
Ai sensi dell’articolo 81 della legge fallimentare “Il contratto di appalto si scioglie per il fallimento di una delle parti, se il curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori non dichiara di voler subentrare nel rapporto dandone comunicazione all’altra parte nel termine di giorni sessanta dalla dichiarazione di fallimento ed offrendo idonee garanzie”.
Si tratta di un ipotesi di risoluzione di diritto che opera in via automatica all’emanazione della dichiarazione di fallimento. Non dà origine a diritti risarcitori delle parti ed ha efficacia ex nunc, dunque non è retroattiva.
Il contratto originario resta sciolto anche dopo l’esecuzione della procedura concorsuale. È fatto salvo il caso in cui le parti pattuiscano un nuovo accordo.
Se al momento della dichiarazione di fallimento erano già state proposte domande di adempimento o di risarcimento del danno queste diventeranno improcedibili per via ordinaria e dovranno essere ammesse al passivo della procedura concorsuale.
Morte dell’appaltatore
L’articolo 1674 del codice civile stabilisce che il contratto d’appalto si risolve quando muore l’appaltatore solo se “la considerazione della sua persona sia stato motivo determinante del contratto”.
Significa ad esempio che l’opera era stata affidata a una persona fisica piuttosto che ad un’impresa o ad una società, le quali sopravvivono anche in occasione della morte del titolare.
Se il contratto si risolve per tale causa, tuttavia, il committente deve corrispondere agli eredi dell’appaltatore un’indennità e un rimborso spese. La prima dev’essere pari al valore delle opere eseguite (secondo il prezzo pattuito) e il secondo riguarda “le spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, ma solo nei limiti in cui le opere eseguite e le spese sostenute gli sono utili”.