L’indegnità a succedere – indice:
Colui che durante la vita del defunto ha tenuto nei suoi confronti un comportamento biasimevole viene dalla legge escluso dalla successione, sia che si tratti di successione testamentaria che di successione legittima. Tale comportamento dev’essere annoverato in uno dei casi dell’articolo 463 del codice civile, sui cosiddetti “casi d’indegnità”. Fra le meno recenti disposizioni che trattano l’indegnità nel codice civile ne è stata recentemente aggiunta una, l’articolo 463-bis, ad opera della legge numero 4 del 2018. Quest’ultima, dedicata alle vittime di crimini domestici, ha introdotto l’istituto della “sospensione della successione”.
Cos’è l’indegnità a succedere
L’indegnità a succedere è una sanzione civilistia che il diritto privato commina all’erede che abbia tenuto una delle condotte indicate all’articolo 463 del codice civile. Si tratta di comportamenti gravi, illeciti, spesso di natura penale, che qualificano l’erede come non meritevole di beneficiare di quanto derivante dalla successione. Si differenzia dalla diseredazione in cui è il testatore ad escludere volontariamente un erede dalla successione. In base alla collocazione nell’attuale codice civile la dottrina prevalente ritiene che l’indegno sia capace a succedere e dunque capace a ricevere l’eredità. Allo stesso tempo tuttavia non può conservarla, secondo il detto latino “Indignus potest capere, sed non potest retinere”. La capacità o l’incapacità a succedere dell’indegno è tuttavia ancora una questione dibattuta, sebbene la giurisprudenza propenda per la prima tesi, ritenendo l’indegnità una causa di esclusione dalla successione.
Chi è indegno a succedere secondo il codice civile
Ai sensi dell’articolo 463 del codice civile è considerato indegno:
- chi ha volontariamente ucciso o tentato di uccidere la persona della cui successione si tratta, o il coniuge, o un discendente, o un ascendente della medesima, purché non ricorra alcuna delle cause che escludono la punibilità a norma della legge penale;
- colui che ha commesso, in danno di una di tali persone, un fatto al quale la legge dichiara applicabili le disposizioni sull’omicidio;
- chi ha denunziato una di tali persone per reato punibile, con l’ergastolo o con la reclusione per un tempo non inferiore nel minimo a tre anni, se la denunzia è stata dichiarata calunniosa in giudizio penale; ovvero ha testimoniato contro le persone medesime imputate dei predetti reati, se si è dichiarata falsa la testimonianza nei confronti di lui in giudizio penale;
- il genitore che, essendo decaduto dalla responsabilità genitoriale nei confronti della persona della cui successione si tratta a norma dell’art. 330, non è stato reintegrato nella responsabilità genitoriale alla data di apertura della successione medesima;
- chi ha indotto con dolo o violenza la persona, della cui successione si tratta, a fare, revocare o mutare il testamento, o ne l’ha impedita;
- la persona che ha soppresso, celato, o alterato il testamento dal quale la successione sarebbe stata regolata;
- chi ha formato un testamento falso o ne ha fatto scientemente uso.
Tali comportamenti sono un elenco tassativo e si possono raggruppare in due categorie:
- atti volontari che mettono in pericolo realmente o potenzialmente l’integrità fisica o morale del defunto;
- le condotte volte a indirizzare a proprio favore e diversamente dalla volontà del de cuius la redazione testamentaria.
Chi è indegno per aver tenuto una condotta riconducibile ai casi sopra elencati è escluso dalla successione.
Come funziona l’indegnità a succedere
L’indegno, come già si è accennato, presupponendo abbia capacità di succedere, è chiamato all’eredità. L’indegnità, pertanto, dev’essere dichiarata dal giudice con sentenza costitutiva. Produrrà, dunque, i suoi effetti da quel momento. Di questi si parlerà nei successivi paragrafi.
È necessario promuovere l’azione con atto di citazione. L’attore dovrà notificare l’atto al convenuto, ovvero all’indegno, e costituirsi in giudizio entro dieci giorni da quando è avvenuta la notifica.
Secondo la dottrina prevalente, quella che ritiene l’indegnità una causa di esclusione dalla successione e non di incapacità a succedere, l’azione di esclusione dalla successione è prescrittibile nel termine ordinario decennale. Tale termine decorre dall’apertura della successione oppure da quando il soggetto escluso ha tenuto il comportamento indegno, a seconda che il fatto si sia verificato prima o dopo la morte del de cuius.
Chi può chiedere l’indegnità e chi può essere escluso dalla successione
L’indegnità può essere richiesta dai chiamati in subordine dell’indegno. La giurisprudenza è giunta a tale conclusione basandosi sul fatto che la sentenza che dichiara l’indegnità impone all’indegno di restituire i beni ereditari e i frutti relativi a chi in suo luogo ha accettato l’eredità espressamente o tacitamente per il solo fatto di aver proposto l’esclusione. Ai sensi dell’articolo 464 del codice civile infatti “L’indegno è obbligato a restituire i frutti che gli sono pervenuti dopo l’apertura della successione”.
Al contrario, se il legittimato attivo fosse un altro soggetto interessato, non acquisterebbe l’eredità in luogo dell’indegno e pertanto l’eredità rimarrebbe vacante.
Sono inoltre legittimati ad attivarsi per la pronuncia di indegnità coloro che succedono per rappresentazione subentrando all’indegno (ascendente) e dunque i suoi discendenti.
Anche i creditori di chi riceve l’eredità in luogo dell’indegno possono esperire l’azione per chiedere l’indegnità al giudice.
Può essere invece escluso dalla successione e dichiarato indegno soltanto chi ha già accettato l’eredità, anche se morto successivamente all’apertura della successione. A sostenere tale ultima ipotesi è stata la Corte di Cassazione nel 2005 con la sentenza numero 3096.
Gli effetti dell’indegnità a succedere
Una volta dichiarato indegno un erede, l’eredità viene devoluta ai chiamati in subordine, come se questi non avessero potuto o voluto accettare l’eredità. Si procederà alla devoluzione mediante gli istituti della sostituzione, accrescimento o rappresentazione se possibile, altrimenti gioveranno dell’eredità dell’indegno gli eredi legittimi del defunto. Coloro che succederanno in luogo dell’indegno non sono tenuti ad accettare l’eredità a seguito della pronuncia di indegnità. La devoluzione dei beni ereditari infatti avviene automaticamente con l’azione di esclusione dell’indegno trattandosi, come già accennato, di un atto di accettazione tacita.
I chiamati in subordine dell’indegno non subiscono il termine di prescrizione decennale di accettazione dell’eredità se l’indegno l’ha accettata. L’articolo 480, terzo comma, del codice civile infatti afferma che “Il termine non corre per i chiamati ulteriori, se vi è stata accettazione da parte di precedenti chiamati e successivamente il loro acquisto ereditario è venuto meno”. Se invece l’indegno non aveva accettato l’eredità il diritto di accettarla si prescrive in dieci anni e il termine decorre dal giorno dell’apertura della successione.
L’azione di indegnità può essere proposta nei confronti degli eredi dell’indegno anche se questi muore dopo l’apertura della successione ma prima di aver accettato l’eredità. Ai sensi dell’articolo 479 del codice civile infatti il suo diritto di accettare all’eredità, se muore, si trasmette agli eredi.
A seguito della dichiarazione di indegnità, l’indegno deve restituire i frutti dell’eredità percepiti ai sensi dell’articolo 464 del codice civile.
Si applicano all’indegno le norme sul possesso in mala fede tra cui si cita l’articolo 1150, terzo comma, del codice civile. Questo stabilisce che l’indennità per le riparazioni e i miglioramenti sulla cosa posseduta spettano al possessore di mala fede “nella minor somma tra l’importo della spesa e l’aumento di valore”.
Sugli atti dell’indegno effettuati prima della pronuncia di indegnità
Il successore, prima di essere dichiarato indegno, può aver compiuto degli atti sui beni ereditari caduti in successione. Tali atti possono essere di ordinaria o straordinaria amministrazione. Si rammenta che i primi sono tutti quegli atti che conservano allo stato in cui si trova o al limite migliorano il bene su cui si esercitano. Gli atti di straordinaria amministrazione sono quelli con cui il successore dispone del bene mutandone l’esistenza.
La sentenza che dichiara l’indegnità produce effetti diversi sugli atti di amministrazione straordinaria a seconda che essi siano avvenuti gratuitamente od onerosamente, mentre nulla mutano in relazione a quelli di ordinaria amministrazione.
Gli atti di disposizione avvenuti a titolo gratuito perdono efficacia per effetto della sentenza che dichiara l’indegnità. Quelli a titolo oneroso perdono efficacia a meno che i terzi dimostrino di aver contrattato in buona fede ignorando l’indegnità e facendo dunque salvi i diritti da loro acquistati. Tale effetto è regolato dal secondo comma dell’articolo 534 del codice civile e presuppone l’applicazione all’indegno della disciplina sull’erede apparente. Se il terzo contraente era a conoscenza dell’indegnità non era in buona fede.
Il genitore indegno
Per evitare che per effetto delle disposizioni legislative che attribuiscono ai genitori l’usufrutto e l’amministrazione sui beni dei figli minori il genitore indegno benefici indirettamente dell’eredità devoluta ai suoi figli, l’articolo 465 del codice civile li priva di tali diritti.
La norma in particolare stabilisce che “Colui che è escluso per indegnità dalla successione non ha sui beni della medesima, che siano devoluti ai suoi figli, i diritti di usufrutto o di amministrazione che la legge accorda ai genitori”.
L’usufrutto e l’amministrazione saranno pertanto attribuiti al genitore non indegno oppure, se dichiarati indegni entrambi, si nominerà un curatore per amministrare i beni ereditari.
L’istituto della sospensione della successione nel nuovo articolo 463-bis del codice civile
L’articolo 5 della legge numero 4 del 2018 sulla tutela degli orfani per crimini domestici ha inserito nel codice civile l’articolo 463-bis per esigenze di maggior tutela. Schematizzando il dispositivo della norma questa dispone la sospensione dalla successione di:
- coniuge;
- coniuge legalmente separato;
- parte dell’unione civile;
quando
- tali soggetti sono indagati per omicidio volontario o tentato nei confronti del corrispondente coniuge o parte dell’unione civile;
- se gli stessi sono indagati per tentato o volontario omicidio di uno o entrambi i genitori o del fratello o della sorella.
Tali soggetti restano sospesi dalla successione fino a che ne venga dichiarata la colpevolezza e si applichi l’articolo 463 del codice civile oppure fino a che intervenga un decreto di archiviazione o una sentenza di proscioglimento. Nel frattempo si procederà alla nomina di un curatore dell’eredità ai sensi dell’articolo 528 del codice civile.
La norma prevede invece un destino diverso per chi è già stato condannato o ha chiesto il patteggiamento ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura civile. Afferma infatti che in tal caso “il responsabile è escluso dalla successione ai sensi dell’articolo 463 del presente codice”.
Sotto il profilo processuale, affinché la sospensione diventi operativa, il secondo e ultimo comma dell’articolo attribuisce al pubblico ministero il compito di comunicare, senza ritardo, alla cancelleria del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione l’avvenuta iscrizione nel registro delle notizie di reato. Il pubblico ministero deve adempiere a tale dovere compatibilmente con le esigenze di segretezza delle indagini.
Cosa comporta la sospensione dalla successione?
Chi è sospeso dalla successione non potrà dunque compiere una serie di atti fino a che non si pronunci la colpevolezza o la non colpevolezza. Si tratta dei seguenti atti:
- l’accettazione dell’eredità anche con beneficio d’inventario ai sensi dell’articolo 470 del codice civile;
- esercitare le azioni possessorie o gli atti conservatiti e gestori a tutela dei beni ereditari ai sensi dell’articolo 460 del codice civile.
L’indegno può essere riammesso alla successione?
L’indegno può essere riammesso alla successione con l’istituto della riabilitazione previsto all’articolo 466 del codice civile. La norma afferma che “Chi è incorso nell’indegnità è ammesso a succedere quando la persona, della cui successione si tratta, ve lo ha espressamente abilitato con atto pubblico o con testamento. Tuttavia l’indegno non espressamente abilitato, se è stato contemplato nel testamento quando il testatore conosceva la causa dell’indegnità, è ammesso a succedere nei limiti della disposizione testamentaria”.
L’indegno è riammesso alla successione dunque se un testamento o un atto pubblico dispongono in tal senso. La dottrina, suddividendo la norma in due parti, ha individuato una riabilitazione totale e una parziale.
Quella totale si individua al primo comma e corrisponde ad un atto di volontà orientato all’acquisto dell’eredità da parte del soggetto incorso nell’indegnità ma perdonato dal de cuius.
La riabilitazione parziale invece, contemplata al secondo comma, può avvenire solo quando il soggetto leso dall’indegnità era a conoscenza della sua causa. Si precisa che, da quanto affermato dalla norma, si tratta di un’ipotesi di successione limitata a quanto disposto dal testamento. Dall’espressione normativa trapela infatti che volontà principale del legislatore è quella di dare esecuzione ad una disposizione mortis causa. La conoscenza da parte del testatore della causa di indegnità dev’essere provata dall’indegno.
L’efficacia della riabilitazione può venire meno se viene provato che questa è stata disposta per errore, violenza o dolo. La perdita di efficacia, secondo la dottrina prevalente, deriva dall’assoluta nullità dell’atto di riabilitazione.