Il patto di famiglia – indice:
- Cos’è
- Come funziona
- I patti successori
- I legittimari non assegnatari
- I soggetti
- La forma
- L’oggetto
- I legittimari sopravvenuti
- I vantaggi
- Impugnazione
- Recesso e scioglimento
- La donazione
L’articolo 768-bis c.c. stabilisce che:
“È patto di famiglia il contratto con cui, compatibilmente con le disposizioni in materia di impresa familiare e nel rispetto delle differenti tipologie societarie, l’imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l’azienda, e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote, ad uno o più discendenti“.
Inserito nel codice civile ad opera della legge n. 55/2006, il patto di famiglia è stato così disciplinato nelle norme del capo V-bis del titolo IV del libro secondo sulle successioni. L’intento del legislatore del 2006 è stato quello di agevolare quella categoria di soggetti che svolgono un attività economica organizzata in gestione familiare per consentire il ricambio generazionale. Il tessuto produttivo italiano infatti è ricco di attività gestite da componenti della stessa famiglia a prescindere dalla forma giuridica adottata per l’impresa (società o impresa familiare).
La norma tuttavia non tratta solo del trasferimento dell’azienda dell’imprenditore ai suoi discendenti, bensì del trasferimento di partecipazioni societarie dal titolare ai suoi.
Cos’è il patto di famiglia e che scopo ha
Il patto di famiglia è un contratto con cui un soggetto, imprenditore titolare di azienda o di partecipazioni societarie, può trasferire, prima della sua morte, la propria azienda o le proprie partecipazioni societarie ad uno o più discendenti. I discendenti sono tutti i soggetti che, a seconda del grado di parentela, discendono in linea retta o collaterale dall’imprenditore. Oltre a questi, partecipano al contratto, se ne vedrà successivamente il motivo, anche il coniuge dell’imprenditore e coloro che sarebbero individuati come legittimari al momento di apertura della successione. Lo stabilisce l’art. 768-quater c.c. affermando che “Al contratto devono partecipare anche il coniuge e tutti coloro che sarebbero legittimari ove in quel momento si aprisse la successione nel patrimonio dell’imprenditore”.
La facoltà di fissare anticipatamente la sorte di tali beni è ammessa per due ragioni:
- consentire all’imprenditore di pianificare il futuro passaggio generazionale;
- tutelare l’economia e la funzionalità dell’impresa nonché favorire il passaggio della ricchezza scavalcando gli istituti della collazione ereditaria e dell’azione di riduzione che si avrebbero con una donazione;
- garantire la continuità dell’impresa.
Si tratta in ogni caso di un negozio traslativo, in cui un soggetto succede ad un altro nella titolarità del bene trasferito e in cui la cessione dell’azienda o delle partecipazioni ha effetto immediato.
La natura giuridica del patto
La dottrina è divisa sulla natura giuridica del patto di famiglia. Alcuni lo assimilano alla donazione modale in quanto individuerebbero nell’obbligo di legge di liquidare i legittimari non assegnatari l’onere apposto ad un atto di liberalità dell’imprenditore. Altri lo accomunano alla divisione anche per il fatto che è inserito nel titolo del codice civile ad essa dedicato.
Quella dominante, tuttavia, riflette sul fatto che tale contratto ha come causa propria, rappresentando una liberalità da parte del trasferente diretta nei confronti dei discendenti e indiretta nei confronti dei legittimari non assegnatari. Questi infatti ricevono dai discendenti quanto corrispondente alla propria quota di legittima. Le attribuzioni patrimoniali pertanto non sono tutte a titolo gratuito nascendo in capo ai discendenti l’onere di liquidare in denaro o in natura la quota dei legittimari.
Come funziona
Con tale patto infatti chi si adopera per la collocazione futura del proprio bene lo assegna, come già accennato, ad uno o più discendenti. Al contempo, l’istituto prevede che coloro che rientrano nella successione ma non sono assegnatari del bene oggetto del patto vengano comunque soddisfatti con la liquidazione di una somma di pari importo alla quota legittima ad essi spettante. Tale liquidazione corrisponde all’assegnazione anticipata della quota di legittima che potrebbe spettare in sede di apertura della successione. Non è detto sia vantaggiosa in termini economici ben potendo essere inferiore, in quanto commisurata all’azienda o alle partecipazioni sociali, rispetto alla quota che risulterebbe dall’apertura della successione.
L’articolo 768-quater, secondo comma, infatti stabilisce che “Gli assegnatari dell’azienda o delle partecipazioni societarie devono liquidare gli altri partecipanti al contratto, ove questi non vi rinunzino in tutto o in parte, con il pagamento di una somma corrispondente al valore delle quote previste dagli articoli 536 e seguenti; i contraenti possono convenire che la liquidazione, in tutto o in parte, avvenga in natura“.
La liquidazione pertanto può avvenire in denaro o in natura. In ogni caso i legittimari possono rinunziarvi.
Patto di famiglia e patti successori
L’operazione di trasferimento dell’azienda dall’imprenditore ai suoi discendenti era, prima dell’introduzione di tale disciplina, limitata dal divieto di patti successori, per lo meno negli accordi che avevano ad oggetto la quota di legittima. Il divieto trova la propria fonte nell’articolo 458 del codice civile che, dopo l’introduzione della nuova normativa, stabilisce “Fatto salvo quanto disposto dagli articoli 768 bis e seguenti…”. La norma oggi ammette dunque che la disciplina del patto di famiglia possa derogare al divieto dei patti successori.
I trasferimenti in favore dei legittimari non assegnatari
Il secondo periodo del terzo comma dell’art. 768-quater stabilisce che “I beni assegnati con lo stesso contratto agli altri partecipanti non assegnatari dell’azienda, secondo il valore attribuito in contratto, sono imputati alle quote di legittima loro spettanti; l’assegnazione può essere disposta anche con successivo contratto che sia espressamente dichiarato collegato al primo e purché vi intervengano i medesimi soggetti che hanno partecipato al primo contratto o coloro che li abbiano sostituiti”.
Il legislatore qui contempla l’ipotesi in cui, in sede di stipulazione del patto, il trasferente assegni altri beni a coloro che non sono assegnatari dell’azienda o delle partecipazioni con un atto distinto. Si tratterebbe di trasferimenti in favore di quest’ultimi, per incentivare la conclusione del patto: questi troverebbero la propria causa nello stesso patto di famiglia. La norma impone che il trasferimento di tali beni venga fatta nella stessa forma del patto di famiglia, pertanto con atto pubblico, essendo un atto collegato al primo. Il legislatore inoltre ha stabilito la regola secondo cui i legittimari assegnatari di tali altri beni debbano imputare alla propria quota di legittima i beni ricevuti. Si precisa che quest’ultimi, in tal caso, non saranno “riparati” da eventuale collazione o azione di riduzione in sede di successione come accade per i beni oggetto del patto di famiglia.
I soggetti del patto di famiglia
Sul presupposto che il patto di famiglia è un atto inter vivos, i soggetti che vi partecipano sono necessariamente tre:
- il soggetto che nella qualità di imprenditore titolare di un azienda o di partecipazioni sociali trasferisce l’azienda od un ramo di essa ovvero le partecipazioni sociali;
- i discendenti assegnatari del bene oggetto del patto;
- i legittimari non assegnatari, ovvero il coniuge, anche legalmente separato senza addebito della separazione, i figli se vivi o in alternativa i loro discendenti, sia legittimi o naturali che adottivi o legittimati.
L’articolo 768-quater, primo comma, infatti afferma che “Al contratto devono partecipare anche il coniuge e tutti coloro che sarebbero legittimari ove in quel momento si aprisse la successione nel patrimonio dell’imprenditore”.
La dottrina maggioritaria ritiene che questi debbano fare parte del patto sin dall’origine a pena di nullità del contratto ex art. 1418 c.c.
Sia l’imprenditore, che i beneficiari, che i legittimari possono non presentarsi personalmente alla stipula del patto ma farsi rappresentare mediante procura. Ritorna qui tuttavia il problema della qualificazione giuridica del patto. Se lo si considera un negozio donativo operano i limiti alla rappresentanza volontaria di cui all’art. 778 c.c. sul mandato a donare. Se invece si ritiene avere causa propria, mista o divisoria la rappresentanza volontaria è liberamente esercitabile. La procura tuttavia, in ogni caso, deve rivestire la forma dell’atto pubblico e, se del caso, con la presenza dei testimoni.
Se il non assegnatario è incapace d’agire
Alcune questioni si sollevano se un legittimario non assegnatario è affetto da incapacità d’agire totale o parziale. Si possono avere le seguenti ipotesi:
- l’incapacità deriva dalla minore età. Il minore può essere allora rappresentato dai genitori che esercitano su di esso la potestà genitoriale su autorizzazione del giudice tutelare. Se è sotto tutela può essere rappresentato dal legale rappresentante munito di autorizzazione del giudice del tribunale;
- il non assegnatario è interdetto, inabilitato o beneficiario dell’amministrazione di sostegno. In questi casi intervengono alla stipula del patto rispettivamente il tutore munito dell’autorizzazione del giudice, il curatore e il legittimario inabilitato che deve prestare il proprio consenso alla stipula del patto o l’amministratore di sostegno se nel decreto di nomina il patto di famiglia rientra fra gli atti di sua esecuzione.
La forma del patto
Ai sensi dell’articolo 768-ter c.c.“A pena di nullità il contratto deve essere concluso per atto pubblico“. La forma necessaria alla validità del patto di famiglia pertanto è quella scritta ad substantiam. Tutti i requisiti del contratto di cui all’articolo 1325 c.c. devono risultare dal patto pena l’invalidità dello stesso.
Il legislatore ha imposto tali formalità che richiedono pertanto l’intervento della figura qualificata del notaio per tutelare gli interessi dei vari membri della famiglia nella persecuzione degli obbiettivi prefissati dalla famiglia nella stipulazione del contratto. È buona prassi fornire al notaio una copia del certificato dello stato di famiglia da cui risultino i figli e il coniuge dell’imprenditore e allegarla al contratto.
Per quanto riguarda l’operazione di liquidazione dei legittimari non assegnatari questa può avvenire in un secondo momento rispetto alla stipulazione del patto e in contratto separato. Essendo tuttavia un atto connesso al primo deve assumerne la stessa forma ovvero quella di atto pubblico e devono prendervi parte i medesimi soggetti.
Dall’incertezza giuridica della natura del patto dipende infine un’ulteriore questione riguardante la forma dello stesso. La dottrina infatti si interroga ancora sulla necessaria o meno presenza dei testimoni alla stipulazione del patto. Chi lo assimila alla donazione ritiene necessaria la presenza dei testimoni chi invece si distacca da tale visione non ne ritiene necessaria la presenza.
È legittima l’apposizione di un termine o di una condizione al patto, avendo lo stesso natura contrattuale.
L’oggetto del patto: azienda e partecipazioni societarie
L’articolo 768-bis c.c. stabilisce che oggetto del patto di famiglia possano essere l’azienda o le partecipazione sociali.
Per quanto riguarda l’azienda il legislatore ha voluto intendere sia l’azienda nel suo complesso sia un ramo di essa. Per quest’ultimo vale la definizione di cui all’articolo 2112, comma 5, ultimo periodo, c.c. ovvero “articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento”.
A seguito della stipulazione del patto di famiglia si può realizzare dunque un trasferimento d’azienda oppure l’acquisizione della nuda proprietà da parte del discendente e la concessione di un diritto di usufrutto all’imprenditore trasferente. Nel primo caso non si devono tuttavia pregiudicare i diritti dei collaboratori dell’impresa familiare ex art. 230-bis c.c. Si tratta in particolare dei diritti alla liquidazione della partecipazione e del diritto di prelazione. Il primo comprende il diritto agli utili, il diritto sui beni acquistati e il diritto sugli incrementi dell’azienda ex art. 230-bis, comma 1. Sul riconoscimento del secondo, previsto al comma 5 dell’art. 230-bis c.c., la dottrina è divisa.
L’articolo 768-bis c.c. impone che il patto di famiglia avente ad oggetto il trasferimento di partecipazioni societarie regoli il trasferimento rispettando preventivamente la disciplina del trasferimento delle partecipazioni societarie prevista dalla legge e dallo statuto secondo le norme che disciplinano le singole forme sociali. La norma inoltre parla di partecipazioni sociali e di quote. È pertanto configurabile l’ipotesi per cui si tratti di quote di S.r.l, di azioni di S.p.a oppure di qualsiasi forma di partecipazione in società di persone o di capitali.
Il patto di famiglia e i legittimari sopravvenuti
L’articolo 768-sexies risponde a tale domanda stabilendo che “All’apertura della successione dell’imprenditore, il coniuge e gli altri legittimari che non abbiano partecipato al contratto possono chiedere ai beneficiari del contratto stesso il pagamento della somma prevista dal secondo comma dell’articolo 768-quater, aumentata degli interessi legali”.
Si tratta del caso in cui vi siano legittimari sopravvenuti al momento dell’apertura della successione, ovvero legittimari preesistenti che non hanno partecipato al patto al momento della sua stipulazione. A seconda della natura del patto ne discende che:
- se assimilato alla divisione ereditaria, la mancanza di tutti i condividenti alla divisione ne comporterebbe la nullità;
- i legittimari sopravvenuti possono vantare il loro diritto di credito ai sensi dell’articolo 768-sexies c.c. Tale diritto nascerebbe al momento della morte del trasferente, a differenza di quello dei legittimari contraenti che nasce al momento della conclusione del patto. Il valore di tale credito viene calcolato in base ai criteri previsti all’art. 768-quater e dunque in relazione al valore dell’azienda o delle partecipazioni al momento della stipula del patto.
I vantaggi del patto di famiglia
L’ultimo comma dell’articolo 768-quater stabilisce che “Quanto ricevuto dai contraenti non è soggetto a collazione o a riduzione”.
Si ricorda che la collazione è quell’istituto giuridico operante in sede di donazione per cui i donatari devono, in sede di successione, conferire alla massa ereditaria tutto quanto hanno ricevuto in vita dal defunto.
L’azione di riduzione invece è un’azione giudiziaria con cui i legittimari possono ottenere giudizialmente la propria quota di legittima nel caso in cui questa sia stata lesa.
Con il patto di famiglia questi strumenti, che possono destabilizzare il patrimonio del defunto oggetto del patto, non possono essere utilizzati in sede di futura successione e pregiudicare quanto stabilito in sede di stipulazione del patto. Non sono sottoposti a tali azioni né i beni ricevuti dai discendenti né quelli ricevuti dai non assegnatari.
Quando impugnare il patto di famiglia
Il patto di famiglia può essere impugnato nei tipici casi previsti dalla disciplina del contratto in generale ovvero:
- vizi del consenso;
- violenza e dolo;
- errore.
A stabilirlo è l’articolo 768-quinquies che afferma anche che “L’azione si prescrive nel termine di un anno“. L’impugnazione per i motivi suddetti, dunque, può essere esercitata entro un anno dal momento in cui è terminata la violenza o si è venuti a conoscenza del dolo o dell’errore. L’impugnazione infatti può avvenire tramite l’esercizio dell’azione di annullamento dei contratti ai sensi dell’articolo 1442 c.c. ed è esercitabile da tutti i partecipanti al patto ed anche dai legittimari non partecipanti.
Può costituire motivo di impugnazione inoltre la mancata osservanza del secondo comma dell’art. 768-sexsies con riguardo al diritto di credito dei legittimari sopravvenuti.
Il recesso e lo scioglimento del patto di famiglia
L’articolo 768-septies stabilisce che:
“Il contratto può essere sciolto o modificato dalle medesime persone che hanno concluso il patto di famiglia nei modi seguenti:
- mediante diverso contratto, con le medesime caratteristiche e i medesimi presupposti di cui al presente capo;
- mediante recesso, se espressamente previsto nel contratto stesso e, necessariamente, attraverso dichiarazione agli altri contraenti certificata da un notaio”.
In prima battuta la norma disciplina la possibilità di sciogliere o modificare il patto ponendo in essere un diverso negozio giuridico. Quest’ultimo sarà valido soltanto qualora presenterà le stesse caratteristiche del patto sotto il profilo formale e sostanziale. Bisognerà inoltre provvedere ai medesimi adempimenti pubblicitari. A tale nuovo contratto inoltre dovranno partecipare tutti coloro che hanno preso parte al patto anche successivamente alla stipula dello stesso.
La norma poi contempla la possibilità di recedere unilateralmente dal patto di famiglia purché sia previsto nel contratto e venga reso in una dichiarazione a tutti i contraenti l’esercizio del diritto. È buona prassi pertanto, non essendovi disposizioni legislative in merito, regolare le modalità di recesso nel contratto ovvero il termine entro cui vi è la possibilità di esercitarlo.
Il contratto può prevedere la facoltà di recesso a favore di tutti i partecipanti al patto. Se recede l’imprenditore, l’azienda o le partecipazioni sociali rientreranno nel suo patrimonio e il contratto si scioglierà insieme allo spirare dell’effetto traslativo. Si ha lo stesso effetto di scioglimento del contratto se a recedere è l’assegnatario. Quando a recedere invece sono i legittimari non assegnatari, il contratto non si scioglie. Sorge però in capo a questi ultimi l’obbligo di restituire la somma liquidata equivalente alla propria quota di legittima con gli interessi maturati.
È possibile subordinare il recesso ad una condizione o un termine ovvero pattuire un termine di preavviso o stabilire l’onerosità dell’esercizio dello stesso.
Patto di famiglia e donazioni
Il patto di famiglia e la donazione presentano, senza ombra di dubbio, degli aspetti comuni. Entrambi infatti sono contratti disciplinati dalle regole generali previste dagli articoli 1321 e seguenti del codice civile.
Ciò che caratterizza la donazione è l’atto di liberalità del donante nei confronti del donatario. Il primo infatti è mosso dal cosiddetto “animus donandi” che solo in parte è presente nel patto di famiglia. Con entrambi gli istituti giuridici si può addivenire al trasferimento dell’impresa familiare ad uno o più discendenti.
Dal dal punto di vista formale la legge richiede per entrambi infatti la forma scritta ad substantiam dell’atto pubblico, ma per la donazione è necessaria la presenza di due testimoni, come prescritto dall’articolo 48 della legge notarile.
Si segnala un aspetto interessante relativo al coinvolgimento di donazioni pregresse all’interno del patto di famiglia. Si tratta del caso in cui siano state fatte precedentemente al patto delle donazioni, dirette o indirette, nei confronti dei legittimari non assegnatari. È possibile, per soddisfare il loro diritto alla liquidazione derivante dal patto, richiamare tali donazioni in questo purché tali soggetti abbiano preso parte al patto e accettino espressamente di considerare quelle donazioni come quote di legittima loro spettanti. Il coinvolgimento della donazione pregressa richiede la rivalutazione del valore dei beni o diritto oggetto della stessa attualizzata al momento del patto.