L’azione individuale del socio contro l’amministratore – indice:
- L’articolo 2395 c.c.
- I fatti di causa
- Il ricorso in Cassazione
- Il danno diretto
- Nelle società di persone e di capitali
- La distribuzione degli utili
- La responsabilità dell’amministratore
- Conclusioni
L’articolo 2395 del codice civile attribuisce al singolo socio e al terzo il diritto di agire contro gli amministratori della società per ottenere il risarcimento del danno. Il diritto al risarcimento del danno è riconosciuto quando il comportamento dell’amministratore è la diretta causa del danno subito dai soci o dal terzo. Il comportamento dev’essere consistito in un atto doloso o colposo compiuto dall’amministratore. L’azione per ottenere il risarcimento del danno è esperibile fino e non oltre il quinto anno successivo al compimento dell’atto che ha danneggiato il socio o il terzo.
La norma si colloca fra le disposizioni dedicate alle società per azioni e quindi applicabili alle società di capitali. Facendo uso dell’analogia tuttavia la giurisprudenza riconosce anche al socio di società di persone il diritto ad agire ai sensi dell’articolo 2395 del codice civile.
Si esaminerà nel corso dell’approfondimento la recente ordinanza n. 11223 del 2021 della Corte di Cassazione relativa all’azione individuale del socio contro l’amministratore. In tale occasione i giudici hanno valorizzato l’impianto normativo dell’istituto giuridico di cui all’articolo 2395 del codice civile sottolineando che il danno subito dal socio dev’essere conseguenza diretta dell’atto doloso o colposo compiuto dall’amministratore.
L’articolo 2395 del codice civile
Ai sensi dell’articolo 2395 del codice civile:
“Le disposizioni dei precedenti articoli non pregiudicano il diritto al risarcimento del danno spettante al singolo socio o al terzo che sono stati direttamente danneggiati da atti colposi o dolosi degli amministratori.
L’azione può essere esercitata entro cinque anni dal compimento dell’atto che ha pregiudicato il socio o il terzo”.
L’azione individuale del socio contro gli amministratori è prevista per le società di capitali ma è ammessa, come già accennato, anche nelle società di persone in virtù dell’utilizzo del procedimento per analogia.
Si tratta di un’azione esperibile quando c’è una responsabilità degli amministratori dipendente da atti dolosi o colposi. La responsabilità è extracontrattuale e pertanto il socio agente deve dimostrare oltre al danno e al nesso di causalità anche il dolo o la colpa degli amministratori.
Come afferma la pronuncia della Cassazione che verrà trattata in seguito, l’azione del socio è ammessa solo se il danno subito dal socio è la diretta conseguenza dell’atto posto in essere dagli amministratori. Nelle righe seguenti si illustra a scopo esemplificativo il caso sottoposto alla Corte di Cassazione nell’ordinanza 11223/2021.
I fatti di causa relativi all’azione individuale del socio contro l’amministratore
I soci accomandanti di una società in accomandita semplice convengono in giudizio la società e il socio accomandatario, in qualità di amministratore, per far accertare la responsabilità di quest’ultimo e chiedere la sua condanna al risarcimento del danno. Nell’atto di citazione redatto dagli attori vengono indicati i fatti che hanno originato la lite:
- il depauperamento patrimoniale e finanziario della società avvenuto mediante distrazione del denaro dalle casse sociali in favore della famiglia dell’amministratore e di un’altra sua società;
- la mancata distribuzione di utili in un certo esercizio per una quota pari al 30 % e il mancato rimborso di spese di viaggio relative a trasferte come invece era stato pattuito con anteriori patti parasociali.
I convenuti si costituiscono e chiedono, oltre al rigetto della domanda degli attori, la restituzione di una somma indebitamente da questi percepita come rimborso spese facendo domanda in via riconvenzionale.
In primo grado di giudizio il Tribunale rigetta la domanda degli attori e dichiara inammissibile la domanda proposta in via riconvenzionale dalla società.
I soci accomandanti appellano il rigetto che tuttavia viene respinto dalla Corte adita sulla base del seguente motivo. L’azione individuale del socio contro l’amministratore di cui all’articolo 2395 del codice civile presuppone che il danno subito dai soci sia la diretta conseguenza del comportamento dell’amministratore e non il riflesso di un danno arrecato alla società. Di quest’ultima circostanza si trattava nel caso di specie.
Il ricorso in Cassazione
Gli originari attori ricorrono infine in Cassazione portando tre motivi di ricorso. Si oppone con controricorso il socio accomandatario amministratore chiedendo l’inammissibilità del ricorso o il rigetto.
Tutti e tre i motivi vengono ritenuti infondati o inammissibili e di conseguenza anche il ricorso viene dichiarato inammissibile.
Il primo motivo di ricorso
Con il primo motivo di ricorso i soci accomandanti lamentano l’errata valutazione del giudice di appello circa la loro domanda in giudizio. Il contenuto di tale domanda si sarebbe attenuto, a parere dei ricorrenti, alla richiesta di un risarcimento danni derivante dalla mala gestio dell’amministratore e non ad una domanda diretta alla conservazione del patrimonio sociale come avrebbe inteso il giudice. I ricorrenti in particolare addebitavano all’amministratore la mancata distribuzione di utili relativamente a due esercizi. L’amministratore infatti avrebbe distratto denaro dalle casse sociali facendo risultare l’assenza di utili in bilancio. L’amministratore avrebbe inoltre reso impossibile la realizzazione di utile da un certo esercizio in poi sottraendo la società ad un mandato professionale di grosso rilievo.
Relativamente ad un determinato esercizio, sottolinea la Corte di Cassazione, la mancata distribuzione degli utili ha avuto ragion d’essere e non può essere denunciata dai soci ricorrenti. Tale distribuzione non sarebbe avvenuta per destinare gli utili presenti in bilancio all’incremento del patrimonio sociale e di conseguenza delle quote dei singoli soci. Il bilancio d’esercizio era stato approvato anche dei soci. Questi pertanto avevano acconsentito al destino anzidetto degli utili. Non è accoglibile pertanto la doglianza relativa ad una decisione condivisa.
Il secondo
Con il secondo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione di norme di legge. In particolare rispetto alle norme che regolano gli obblighi degli amministratori (articoli 2260 e 1703 del codice civile). L’amministratore infatti, secondo quanto addotto dai ricorrenti, sarebbe colpevole di:
- non aver informato i soci circa lo svolgimento degli affari sociali;
- di non aver presentato il rendiconto cui hanno diritto i soci ex articolo 2261 del codice civile integrando così una mala gestio;
- aver agito intenzionalmente a danno della società tanto da essere rinviato a giudizio per il reato di infedeltà patrimoniale ex articolo 2634 del codice civile.
Tale motivo non viene accolto perché infondato. Gli ulteriori accertamenti circa la mala gestio dell’amministratore, secondo la Corte d’Appello, non rilevano mancando il presupposto per esperire l’azione individuale del socio contro l’amministratore ed ottenere il risarcimento del danno ex articolo 2395 del codice civile.
Il terzo
Sulla base della stessa motivazione che ha portato la Corte d’Appello nel rigettare il secondo motivo di ricorso, rigetta il terzo motivo la Cassazione. Tale motivo, si rammenta, era la mancanza dei presupposti per ottenere il risarcimento dei danni ex articolo 2395 del codice civile.
Con tale terzo motivo i ricorrenti denunciavano violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli articoli 2217 e 2243, secondo comma del codice civile nell’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio. Tali norme riguardano la redazione dell’inventario e del bilancio d’esercizio.
In buona sostanza i ricorrenti lamentano che il fatto che il giudice d’appello avrebbe omesso di valutare la consulenza tecnica d’ufficio espletata sulle irregolarità contabili compiute dall’amministratore, addotto quale terzo motivo di gravame nell’appello.
Il danno diretto ex articolo 2395 del codice civile come presupposto per l’azione individuale del socio contro l’amministratore
La domanda che gli attori, poi ricorrenti, hanno presentato al Tribunale e alla Corte d’Appello aveva ad oggetto un risarcimento del danno. Tale risarcimento trovava fondamento nella mancata percezione di utili da parte dei soci. La mancata percezione di utili è dipesa dall’incapienza dell’attivo societario depauperato dalla condotta dell’amministratore.
A parere del Tribunale il danno patito dai soci era solo un riflesso del danno primariamente cagionato al patrimonio della società. Nello stesso senso si è espressa anche la Corte d’Appello. L’amministratore dunque, con i suoi comportamenti illeciti, non avrebbe cagionato un danno diretto ai soci bensì alla società e solo indirettamente a quest’ultimi. La mancata distribuzione degli utili ai soci infatti sarebbe una conseguenza non diretta del comportamento dell’amministratore. Sarebbe invece conseguenza diretta della mancanza di attivo societario derivante dalla distrazione di denaro dalla casse sociali e dalla rinuncia al mandato assicurativo.
L’articolo 2395 del codice civile prevede invece espressamente che il socio può agire in giudizio per chiedere il risarcimento del danno soltanto quando il danno patito è la diretta conseguenza di un atto doloso o colposo dell’amministratore.
La Corte di Cassazione ritiene che i giudici dei gradi precedenti abbiano dunque correttamente applicato l’articolo 2395 del codice civile, estendendone per analogia l’ambito di applicazione alle società di persone.
Azione individuale del socio e responsabilità extracontrattuale
Come si diceva nell’introduzione la responsabilità dell’amministratore nei confronti del singolo socio è una responsabilità extracontrattuale.
Alla luce di ciò la Corte aderisce alle decisioni dei giudici di primo e secondo grado. Afferma dunque che “La natura extracontrattuale ed individuale dell’azione del socio, fondata sull’art. 2043 c.c. ed in applicazione analogica dell’art. 2395c.c., esige che il pregiudizio non sia il mero riflesso dei danni eventualmente recati al patrimonio sociale, ma si tratti di danni direttamente causati al socio come conseguenza immediata del comportamento degli amministratori“.
L’azione individuale del socio contro l’amministratore nelle società di capitali e nelle società di persone
L’azione individuale del socio ex articolo 2395 del codice civile è un rimedio creato dal legislatore per i soci delle società di capitali. La norma infatti trova spazio fra le disposizioni del codice civile dedicate alle società di capitali. La giurisprudenza tuttavia nel tempo ha maturato l’idea che anche nelle società di persone debba trovare spazio tale rimedio. Lo ha perciò affiancato a quello già a disposizione delle società ex articolo 2260 del codice civile.
La Corte di Cassazione adita nel caso di specie infatti si è uniformata all’orientamento giurisprudenziale consolidatosi secondo cui “in tema di società di persone già negli anni ‘90 questa Corte ha affermato che, mentre legittimata ad esperire l’azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori, a norma dell’art. 2260c.c., era esclusivamente la società in persona del nuovo amministratore o del liquidatore, al socio (o al terzo), direttamente danneggiato da un atto colposo o doloso dell’amministratore, doveva in ogni caso essere riconosciuta l’azione individuale di responsabilità in applicazione analogica dell’art. 2395 c.c.; tale strumento difensivo doveva riconoscersi anche al socio co–amministratore, in caso di amministrazione disgiunta, se l’affermazione di responsabilità fosse stata chiesta dal soggetto danneggiato nella sua veste di socio, relativamente ad atti di amministrazione per intero compiuti da altro co–amministratore”.
La distribuzione degli utili nelle società di persone e in quelle di capitali
Il codice civile delinea una disciplina diversa della distribuzione degli utili nelle società di persone e in quelle di capitali.
Ai sensi dell’articolo 2262 del codice civile nelle società di persone il socio ha diritto a percepire una quota di utili dopo l’approvazione del rendiconto.
Nelle società di capitali la distribuzione degli utili è regolata dall’articolo 2433 del codice civile. La norma prevede che la distribuzione degli utili ai soci sia preceduta da una delibera dell’assemblea. L’assemblea infatti prende atto della presenza di utili in bilancio e ne autorizza la distribuzione.
La Corte nell’ordinanza in esame segnala una pronuncia giurisprudenziale del 2016. Tale pronuncia mette in evidenza alcune differenze relative al diritto alla distribuzione degli utili. La disciplina della distribuzione degli utili, come già accennato, infatti è diversa nelle società di persone e in quelle di capitali. Nelle prime, a differenza delle seconde, non è necessaria una delibera assembleare per la distribuzione degli utili. Nel caso in cui pertanto l’amministratore non presenti il rendiconto il socio di società personale non percepisce utili subendo un danno diretto. Tale danno è causa diretta del comportamento illecito dell’amministratore.
In questo caso il socio può agire per “far valere la responsabilità extracontrattuale dell’organo amministrativo, ai sensi dell’art. 2395c.c., ivi applicabile analogicamente, atteso che la società personale, ancorché priva di autonoma personalità giuridica, costituisce un centro di imputazione di situazioni giuridiche distinte da quelle dei soci, sicché, anche con riguardo ad essa, è configurabile una responsabilità degli amministratori nei confronti dei singoli soci, oltre che verso la società, alla stregua di quanto previsto in materia di società per azioni“.
Nel caso di specie
In conclusione afferma la Corte “Ne consegue che il diritto agli utili per il socio di società personale è subordinato alla sola approvazione del rendiconto, e quindi coerentemente la lesione di detto diritto può essere fatta valere dal socio come danno diretto ed immediato, proprio in quanto conseguente al mancato assolvimento da parte del socio amministratore dello specifico obbligo di distribuzione degli utili, ovviamente ove sussistenti”.
Nel caso di specie tuttavia la mancata percezione degli utili è dipesa da vari comportamenti tenuti dall’amministratore. E non nello specifico dalla mancata redazione del rendiconto. Il danno subito pertanto non è una diretta conseguenza del comportamento tenuto dall’amministratore che ha invece inciso direttamente sul patrimonio sociale. Non può pertanto essere accolta la domanda di risarcimento del danno ex articolo 2395 del codice civile. Tale differente conclusione di fatti è stata peraltro sottolineata anche nella sentenza 1261/2016 sposata dalla Corte di Cassazione del caso.
La responsabilità dell’amministratore e l’azione della società e dei soci
Nelle righe successiva la Corte parla di applicazione analogica dell’articolo 2395 del codice civile alle società di persone. L’istituto si affiancherebbe a quello previsto per la società ex articolo 2393 del codice civile nelle società di capitali e 2260 delle società di persone.
Si legge nell’ordinanza infatti che “A questo approdo la giurisprudenza era pervenuta osservando che anche nelle società di persone, accanto all’azione di responsabilità spettante alla società, sobriamente disciplinata dal citato art. 2260 c.c. e corrispondente, mutatis mutandis, a quella ben più dettagliatamente contemplata dagli artt. 2392 e 2393 cit. codice per la società di capitali, doveva trovar posto, in applicazione analogica dell’art. 2395c.c., la cosiddetta azione individuale del socio (o del terzo) direttamente danneggiato da atto colposo o doloso dell’amministratore; non poteva infatti negarsi la sussistenza dell’eadem ratio per ammettere tale azione anche nel campo delle società personali, allorché fosse immediatamente e direttamente rilevante per il socio (indipendentemente dal tramite costituito dalla società) il pregiudizio arrecato dal comportamento dell’amministratore”.
Nelle società di persone dunque l’azione della società volta a far accertare la responsabilità dell’amministratore per l’inadempimento dei propri doveri legali e statutari coesiste con quella del singolo socio. Così afferma la Corte.
Conclusioni
In conclusione la Corte di Cassazione adita si uniforma al precedente orientamento secondo cui:
“l’azione individuale del socio nei confronti dell’amministratore di una società non è esperibile quando il danno lamentato costituisca solo il riflesso del pregiudizio al patrimonio sociale, giacché l’art. 2395c.c. esige che il singolo socio sia stato danneggiato direttamente dagli atti colposi o dolosi dell’amministratore, mentre il diritto alla conservazione del patrimonio sociale appartiene unicamente alla società; la mancata percezione degli utili e la diminuzione di valore della quota di partecipazione non costituiscono danno diretto del singolo socio, poiché gli utili fanno parte del patrimonio sociale fino all’eventuale delibera assembleare di distribuzione e la quota di partecipazione è un bene distinto dal patrimonio sociale, la cui diminuzione di valore è conseguenza soltanto indiretta ed eventuale della condotta dell’amministratore”.