Revoca fallimento in Cassazione – guida rapida
- I fatti
- Violazione e falsa applicazione artt. 1, 15 e 18 l.f.
- Violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 6 l.f.
- Violazione art. 1 l. n. 348/1992 per inefficacia della polizza
Secondo quanto afferma la recente ordinanza n. 32533 del 4 novembre 2022 della Corte di Cassazione, la revoca della sentenza di fallimento può essere effettuata anche dalla Corte di legittimità, e non solo dalla Corte d’appello, con individuazione del soggetto cui sia imputabile l’apertura della procedura concorsuale ai fini di addebito delle spese.
Stando agli Ermellini, tale opportunità deriverebbe da una chiara interpretazione del nuovo Codice della crisi ma.. in che termini?
Proviamo a condividere insieme in che modo i giudici siano giunti a tale valutazione.
I fatti: revoca fallimento
Nell’ordinanza si riassume come la Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 4136 dell’8.06.2021, abbia rigettato il reclamo ex art. 18 legge fall. proposto da una scrl in liquidazione, contro la sentenza n. 24 del 30.3.2020, con la quale il Tribunale di Velletri ne ha dichiarato lo stato di insolvenza.
In particolare, la Corte d’Appello ha rigettato l’eccezione di nullità radicale della sentenza di fallimento per violazione dell’art. 15 legge fall., sollevata dalla debitrice. Secondo la società, infatti, la notifica sarebbe stata erroneamente effettuata personalmente al liquidatore della società. E ciò nonostante la società fosse già stata cancellata dal Registro delle Imprese dal 22.3.2019.
Su tale punto la Corte d’Appello ha osservato che la notifica presso il liquidatore aveva garantito la massima tutela dell’imprenditore. Contrariamente, sarebbe investe stato meno tutelato in caso di deposito dell’atto presso la Casa comunale ex art 15 l.f.
Sul fatto che la parte debitrice abbia invocato il difetto di legittimazione ex art. 6 l.f. del creditore a presentare istanza di fallimento, il giudice ha invece evidenziato come tale norma attribuisca la legittimazione ad instare per il fallimento ad un soggetto qualificato come “creditore”, senza alcuna specificazione ulteriore. Dunque, il credito può essere non solo incerto, quanto anche liquido ed esigibile, non scaduto e condizionale.
Ad ogni modo, si legge nella ricostruzione della Suprema Corte, il creditore, fideiussore nell’ambito di una polizza rilasciata in favore di ente pubblico a garanzia delle obbligazioni assunte dal debitore in un contratto di appalto, doveva ritenersi comunque un “fideiussore escusso”, assumendo così a suo carico l’escussione da parte del beneficiario della garanzia (la Regione), che aveva formulato domanda finalizzata a ottenerne la condanna in forza della garanzia prestata.
Contro tale sentenza il debitore ricorre in Cassazione con tre motivi.
Revoca fallimento: violazione e falsa applicazione artt. 1, 15 e 18 l.f.
Attraverso il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 15, e 18 l. f.
In particolare, la parte ricorrente afferma che la corte d’Appello ha violato l’art. 15 l.f. che prevede che, se non è andata a buon fine la notifica a mezzo PEC e quella presso la sede della società, allora la notifica deve eseguirsi mediante deposito dell’atto presso la casa comunale.
Tale primo motivo viene però ritenuto inammissibile.
La Suprema Corte osserva in via preliminare come l’art. 15, comma 3, l.f. stabilisca che il ricorso per la dichiarazione di fallimento ed il relativo decreto di convocazione devono essere notificati, a cura della cancelleria all’indirizzo di posta elettronica certificata del debitore, intendendo per tale quello che risulta dal Registro delle Imprese o dall’indice nazionale degli indirizzi PEC delle imprese e dei professionisti.
In aggiunta a ciò, viene previsto che, ove per qualsiasi ragione la notificazione via PEC
- non risulti possibile
- non abbia esito positivo
la notifica andrà eseguita dall’Ufficiale Giudiziario. Costui dovrà, a tal fine, accedere di persona presso la sede legale del debitore risultante dal R.I.. In aggiunta, se nemmeno questa modalità sia attuabile, la notifica andrà eseguita con il deposito dell’atto presso la casa comunale della sede iscritta nel Registro delle Imprese e si perfeziona nel momento del deposito stesso.
La notifica
Il sistema di notificazione così illustrato, ribadisce la Suprema Corte richiamando alla mente una sentenza (n. 146/2016) della Corte costituzionale, tiene in considerazione sia la specialità che la complessità degli interessi “comuni ad una pluralità di operatori economici, ed anche di natura pubblica in ragione delle connotazioni soggettive del debitore e della dimensione oggettiva del debito” che il legislatore del 2012 ha voluto tutelare con la semplificazione del procedimento notificatorio nell’ambito della procedura fallimentare e che per la Corte segnano la diversità tra il suddetto procedimento e quello ordinario di notifica ex art. 145 cod. proc. civ.
In maniera più specifica, la differenza di quest’ultima norma è riconducibile al fatto che è esclusivamente finalizzata ad assicurare alla persona giuridica l’effettivo esercizio del diritto di difesa in rapporto agli atti ad essa indirizzati. Il riformulato art. 15 l.f. si propone invece di “coniugare” quella stessa finalità di tutela del diritto di difesa dell’imprenditore (collettivo) “con le esigenze di celerità e speditezza cui deve essere improntato il procedimento concorsuale”.
A questo scopo, il tribunale non è tenuto all’adempimento di ulteriori formalità, né deve osservare le ulteriori cautele previste dall’art. 145 cpc per le notifiche a persona giuridica ancorché normalmente previste dal codice di rito, quando il mancato rinvenimento dell’imprenditore presso la propria sede debba imputarsi all’imprenditore medesimo.
La legittimità della procedura di notifica del ricorso
Ora, la legittimità della procedura di notifica del ricorso ex art. 15 l. f. che è dettata dalle esigenze di celerità connaturate alla procedura fallimentare, non per questo determina l’illegittimità di ogni altra forma di notificazione scelta dal creditore istante. Naturalmente, questa deve rivelarsi più garantista nei confronti del debitore. Deve dunque consentirgli di esercitare in maniera più agevole il diritto di difesa.
Non esiste alcun dubbio, per la Suprema Corte, che in una situazione come quella della fattispecie in esame, che è caratterizzata dall’estinzione della società e dalla cancellazione della stessa dal Registro delle Imprese, la notifica dell’istanza di fallimento effettuata personalmente presso il liquidatore della società fallenda ex art. 145 cpc invece che presso la vecchia sede di una società non operativa e cancellata, abbia offerto al debitore una più ampia tutela, assicurandogli l’effettivo esercizio del diritto di difesa ed è, pertanto, pienamente valida.
D’altro cane, sottolineano gli Ermellini, in un caso analogo in cui la notifica dell’istanza di fallimento destinata a società cancellata era stata effettuata presso il liquidatore, è stata respinta l’eccezione di nullità sollevata dal debitore sul rilievo che “la società è stata dunque destinataria di una cura istruttoria più ampia di quanto pur consentito dalla lezione corrente formatasi sull’art.15 comma 3° L.F.”.
Revoca fallimento: violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 6 l.f.
Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 6 l.f., in relazione all’art. 360 comma 1° n. 3 cpc. Si domanda dunque la nullità della sentenza di fallimento per difetto di legittimazione del creditore istante ex 6 l.f. e l’omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio ex art. 360 comma 1° n. 5 cpc.
Il ricorrente ha in particolar modo dedotto che la stessa Corte di Cassazione ha già enunciato il principio di diritto secondo cui il fideiussore, per essere legittimato a proporre istanza di fallimento, deve aver provveduto al pagamento.
Nella fattispecie in esame, il fideiussore non solo non aveva versato l’importo dovuto in base alla polizza, bensì aveva agito in giudizio – risultando parte vittoriosa in primo grado – per far dichiarare l’inefficacia della prestata garanzia. Dunque, per il ricorrente ne conseguirebbe consegue il difetto di legittimazione di l’istanza di fallimento.
Per la Corte, questo motivo è fondato.
Gli Ermellini osservano infatti che, effettivamente, con sentenza. n. 25317/2020, in un caso identico a quello di specie, hanno già enunciato il principio di diritto secondo cui, “il fideiussore che, escusso dal creditore garantito, non abbia provveduto al pagamento del debito, non è legittimato a proporre istanza di fallimento contro il debitore principale per il solo fatto di averlo convenuto in giudizio con l’azione di rilievo ex art. 1953 c.c., atteso che tale azione munisce di un titolo astrattamente idoneo ad attribuirgli la qualità di creditore concorsuale in caso di apertura del fallimento, né il diritto del fideiussore al regresso (o alla surrogazione nella posizione del creditore principale) può sorgere, ancorché in via condizionale, anteriormente all’adempimento dell’obbligazione di garanzia”.
La legittimazione del fideiussore
In aggiunta a ciò, la Corte non ritiene condivisibile l’affermazione, evincibile dalla sentenza impugnata, per la quale la legittimazione del fideiussore a presentare l’istanza di fallimento potrebbe sostenersi in relazione all’asserita natura condizionale del credito dallo stesso vantato, che, come tale, sarebbe comunque riconducibile alla nozione di creditore di cui all’art. 6 legge fall.
Sul tale punto la Corte, con sentenza n. 19609/2017, ha enunciato il principio di diritto per cui, in tema di concorso di creditori, ex art. 61, comma 2, legge fall., “il fideiussore non ha un credito di regresso prima del pagamento e dunque non può essere ammesso con riserva per un credito condizionale; potrà invece essere ammesso al passivo solo dopo il pagamento, in surrogazione del creditore, considerata la natura concorsuale del credito di regresso”.
In conclusione del commento al secondo motivo, la Corte ricorda anche come nella citata pronuncia n. 25317/2020 evidenzi che “…la condizione legittimante l’istanza di fallimento di cui all’art.6 l.f. prescinde dunque dal contenuto della pretesa di credito e dal tipo di azione in altra sede giudiziale intrapresa a sua tutela, operando anche quando essa non integri una prestazione monetaria e purchè tuttavia l’oggetto del credito sia tale da potersi convertire, all’instaurazione del concorso, in una posizione soggettiva astrattamente ammissibile al passivo……”.
Violazione art. 1 l. n. 348/1992 per inefficacia della polizza
Con terzo motivo del ricorso, viene denunciata la violazione dell’art. 1 l. n. 348/1992 per inefficacia della polizza, assorbito dai precedenti.
In conclusione, si dichiara che la sentenza impugnata deve cassarsi con rinvio alla Corte di appello in diversa composizione. Non sussistono infatti i presupposti per provvedere nel merito, essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto.