Obbligo di consegna del certificato di abitabilità – guida rapida
- I fatti
- I requisiti tecnici dell’immobile
- L’ultimazione prima dell’1 settembre 1967
- L’abitabilità effettiva dell’immobile
- I successivi interventi edilizi
- L’obbligo di consegna del certificato di abitabilità
- L’inadempimento e il risarcimento del danno
Il venditore di un immobile destinato ad abitazione ha l’obbligo di consegnare all’acquirente il certificato di abitabilità. In sua carenza, infatti, l’immobile è incommerciabile. E la violazione di tale obbligo, si intende, può legittimare sia la domanda di risoluzione del contratto che quella del risarcimento del danno.
A sancirlo, apportando alcuni interessanti chiarimenti, è la sentenza Corte di Cassazione 21 novembre 2022, n. 34211.
I fatti
Il tribunale aveva accolto le domande proposte dall’acquirente di un immobile, con cui venivano condannate le venditrici a pagare una somma di denaro pari al costo degli interventi edilizi necessari perché l’immobile destinato a civile abitazione, che le venditrici avevano venduto, potesse ottenere il certificato d’abitabilità.
Dinanzi a tale pronuncia le venditrici avevano proposto appello al quale il venditore ha resistito. I giudici della Corte d’appello hanno dunque accolto la richiesta delle ricorrenti, evidenziando come le stesse avessero reso una dichiarazione ex art. 76 del d.P.R. n. 445 del 2000, innanzi al notaio, in occasione dell’atto di vendita, “circa l’inizio e l’ultimazione della costruzione in data anteriore all’1.9.1967” e “circa l’inesistenza di successivi interventi edilizi (o mutamento di destinazione d’uso) per i quali fosse necessaria licenza, autorizzazione o concessione edilizia“.
I giudici hanno dunque ritenuto come tale circostanza, confermata dagli accertamenti espletati in primo grado avesse reso “ininfluente, sul piano della validità del rapporto negoziale posto in essere dalle parti e della piena commerciabilità del bene (considerato in ogni suo aspetto) che ne fu oggetto” ex art. 40, comma 2, della l. n. 47 del 1985, il fatto che “il fabbricato non rispetti i parametri circa l’altezza dei soffitti richiesta, non soltanto dall(a) … legge regionale n. 44 del 1985 – peraltro ratione temporis inapplicabile alla fattispecie in esame -, ma pure dalla licenza cit., in difformità della quale sarebbe stato a suo tempo realizzato”.
L’impedimento al rilascio del certificato di abitabilità
Il tutto, si legge, anche se questo abuso ha rappresentato un impedimento al rilascio del certificato d’abitabilità. Che, peraltro, le venditrici nell’atto di vendita non avevano “mai promesso“, essendosi limitate “a dichiarare la destinazione d’uso abitativa dell’immobile, che, proprio alla luce delle due certificazioni rilasciate – seppur ai fini della legislazione in materia di immigrati – dagli uffici tecnici del Comune … in data 15.9.2010 e 10.3.2014 …, di fatto esiste, essendo stata verificata l’idoneità dell’alloggio ad ospitare n. 3 persone”.
La corte, dopo aver rilevato che la dichiarazione resa dalle venditrici attiene alla validità formale della vendita ha dunque accolto l’appello proposto e rigettato le domande che il compratore aveva proposto nei confronti delle venditrici.
Il compratore ha a sua volta notificato ricorso domandando la cassazione della sentenza in appello per cinque motivi. Le venditrici hanno resistito con controricorso.
I requisiti tecnici dell’immobile
Andando con ordine nell’analisi delle motivazioni, si evidenzia come con il primo motivo il ricorrente lamenta la falsa applicazione ex art. 40, comma 2, della l. n. 47 del 1985 e la violazione degli artt. 1477, 1453 e 1494 c.c. nonché dell’art. 14 delle preleggi, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., censurando così la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che fosse
ininfluente, sul piano della validità del rapporto negoziale posto in essere dalle parti e della piena commerciabilità del bene (considerato in ogni suo aspetto) che ne fu oggetto
ai sensi dell’art. 40, comma 2, della l. n. 47 del 1985, il fatto che
il fabbricato non rispetti i parametri circa l’altezza dei soffitti richiesta, non soltanto dall(a) … legge regionale n. 44 del 1985 … ma pure dalla licenza cit., in difformità della quale sarebbe stato a suo tempo realizzato,
anche se tale abuso rappresentasse e rappresenti ancora un impedimento al rilascio del certificato d’abitabilità.
Gli elementi di valutazione
Non si considera tuttavia che:
- compratore aveva già agito in giudizio per ottenere da queste ultime il risarcimento dei danni conseguenti all’inadempimento contrattuale alle obbligazioni assunte a norma dell’art. 1477 c.c. in rapporto alle spese necessarie per consentire il rilascio del certificato di abitabilità dell’immobile acquistato
- la consegna del certificato di abitabilità dell’immobile oggetto del contratto, ove questo sia un appartamento da adibire ad abitazione, pur non costituendo di per sé condizione di validità della compravendita, integra un’obbligazione incombente sul venditore ai sensi dell’art. 1477 c.c., attenendo ad un requisito essenziale della cosa venduta. Incide infatti sulla possibilità di adibire legittimamente la stessa all’uso contrattualmente previsto
- l’immobile acquistato è privo del certificato di abitabilità perché, come accertato dal consulente tecnico d’ufficio, non rispetta né le altezze interne minime stabilite dall’art. 2 della l.r. n. 44 del 1985, né i parametri igienico-sanitari previsti dal r.d. n. 1265 del 1934 e dagli artt. 35 e 77 del regolamento comunale.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta anche la violazione dell’art. 1477 c.c. poiché, nella vendita di immobili destinati ad abitazione, il venditore-costruttore ha l’obbligo non solo di trasferire all’acquirente un fabbricato conforme all’atto amministrativo di assenso della costruzione e, dunque, idoneo ad ottenere l’agibilità prevista, quanto anche consegnargli il relativo certificato.
È dunque sul venditore che ricade la richiesta del documento e il sostenimento delle spese necessarie al rilascio.
L’ultimazione prima dell’1 settembre 1967
Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 40, comma 2, della l. n. 47 del 1985, dell’art. 221 del r.d. n. 1265 del 1934 e degli artt. 1453 e 1477 c.c., in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., censurando la sentenza impugnata laddove la corte d’appello ritiene che l’immobile in questione, in quanto ultimato prima dell’1 settembre 1967, sia pienamente commerciabile, senza, tuttavia, considerare che tale immobile non possiede i requisiti igienico-sanitari necessari per essere abitabile. Tant’è che, prosegue il ricorrente, il certificato di abitabilità, pur se richiesto, non è stato concesso.
Inoltre, l’assenza dei requisiti igienico-sanitari ed edilizi utili all’uso abitativo rendono l’immobile incommerciabile ed inadatto alla realizzazione della sua funzione economico-sociale. Viene così integrato un inadempimento da parte dei venditori ritenuto dal compratore di gravità tale da legittimare la domanda di risarcimento dei danni proposta dall’attore.
Il ricorrente condivide infatti come nella vendita di immobili destinati ad abitazione la consegna del certificato di abitabilità dell’immobile oggetto del contratto, pur non costituendo di per sé requisito di validità della compravendita, integra un’obbligazione incombente sul venditore ai sensi dell’art. 1477 c.c..
Si tratta pertanto di requisito essenziale della cosa venduta. La conseguenza è che la mancata consegna di tale certificato implica un inadempimento alle obbligazioni assunte dal venditore. Il quale, si intende, pur non determinando necessariamente la risoluzione del contratto, si presenta comunque idoneo ad essere fonte di danno risarcibile.
L’abitabilità effettiva dell’immobile e il certificato di abitabilità
Ancora, con il quarto motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 1453 c.c., degli artt. 35 e 77 del regolamento edilizio comunale nonché degli artt. 220 e 221 del r.d. n. 1265 del 1934, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha rigettato la domanda risarcitoria proposta dall’attore sul rilievo che l’immobile comperato dallo stesso era, in realtà, abitabile, sia pure limitatamente a tre persone. A sostegno di tale tesi, richiamava le certificazioni rilasciate dal Comune ai fini della legislazione in materia di immigrati.
Il ricorrente ricorda però che non è stato considerato che la consegna dell’aliud pro alio ricorre non solamente quando la cosa consegnata è completamente diversa da quella contrattata, bensì anche quando è assolutamente priva delle caratteristiche funzionali necessarie a soddisfare i bisogni dell’acquirente. O, ancora, difetti che la rendano inservibile, salvo che la parziale utilizzazione non sia stata espressamente contemplata nel contratto.
Nella fattispecie in esame, dal contratto di compravendita intercorso tra le parti emerge come la parziale e residua utilizzazione dell’immobile non era stata oggetto di una espressa e specifica pattuizione tra le parti. D’altra parte, aggiunge ancora il ricorrente, i requisiti di idoneità alloggiativa nulla hanno a che vedere con quelli igienico-sanitari in forza dei quali viene concessa l’abitabilità richiesta per il compiuto adempimento degli obblighi gravanti sul venditore.
I successivi interventi edilizi e il certificato di abitabilità
Con il quinto e ultimo motivo, infine, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 40, comma 2, della l. n. 47 del 1985, dell’art. 76 del d.P.R. n. 445 del 2000 e degli artt. 2700 e 2729 c.c., nonché dell’art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., censurando così la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che la dichiarazione con la quale le venditrici, a norma dell’art. 76 del d.P.R. n. 445 del 2000, avevano affermato che l’immobile era stato ultimato prima dell’1 settembre 1967 e che successivamente non era stato oggetto di interventi edilizi, è sottratta a qualsiasi controllo di veridicità.
La sentenza non avrebbe infatti valutato che, contrariamente a quanto sopra, tale dichiarazione non ha l’efficacia di prova certa che ad essa la corte ha attribuito. Inoltre, come accertato dal consulente tecnico d’ufficio, nel 1988 (dunque, dopo l’ultimazione dell’immobile), il bene è stato sottoposto ad interventi edilizi che hanno generato incongruenze interne.
L’obbligo di consegna del certificato di abitabilità
Il ricorso trova pieno fondamento agli occhi della Suprema Corte.
La Cassazione ricorda infatti come abbia più volte osservato che il venditore di un immobile destinato ad abitazione ha l’obbligo di consegnare all’acquirente il certificato di abitabilità. Di fatti, senza il certificato di abitabilità l’immobile stesso è incommerciabile. La violazione di tale obbligo può legittimare sia la domanda di risoluzione del contratto, sia quella di risarcimento del danno, sia l’eccezione di inadempimento. Ancora, per la Corte una simile carenza non può essere sanata dalla mera circostanza che il venditore – al momento della stipula – avesse già presentato una domanda di condono per sanare l’irregolarità amministrativa dell’immobile.
L’attitudine a realizzare la funzione economico-sociale dell’immobile
Nella sua sentenza la Corte richiama inoltre come il venditore di un bene immobile destinato ad abitazione – in assenza di patti contrari – ha l’obbligo di dotare tale bene della licenza di abitabilità. La sua carenza non permette dunque all’immobile di acquisire la normale attitudine a realizzare la sua funzione economico-sociale.
Ancora, per i giudici della Suprema Corte il difetto della presenza della licenza di abitabilità, essenziale ai fini del legittimo godimento e della commerciabilità del bene, non può essere sostituito dalla definizione della pratica di condono. Di fatti, chi acquista un immobile ha diritto alla consegna di un appartamento in tutto conforme alle leggi, ai regolamenti ed alla concessione edilizia e per cui sia stata rilasciata la licenza di abitabilità. Fa unica eccezione l’ipotesi in cui il compratore sia stato reso espressamente edotto della esistenza di qualche problema amministrativo o urbanistico.
Da quanto sopra ne consegue che la mancata consegna della licenza di abitabilità implica un inadempimento. Sebbene tale inadempimento non sia tale da dare necessariamente luogo a risoluzione del contratto, può comunque essere fonte di un danno risarcibile. Ovvero, costituire il fondamento dell’exceptio di cui all’art. 1460 c.c. per il solo fatto che si è consegnato un bene che presenta problemi di commerciabilità. È dunque irrilevante la circostanza che l’immobile sia stato costruito in conformità delle norme igienico-sanitarie, della disciplina urbanistica e delle prescrizioni della concessione ad edificare. O, ancora, che sia stato concretamente abitato.
Il richiamo alle sentenze
In definitiva,
nella vendita di immobile destinato ad abitazione, il certificato di abitabilità costituisce requisito giuridico essenziale del bene compravenduto, poiché vale a incidere sull’attitudine del bene stesso ad assolvere la sua funzione economico-sociale, assicurandone il legittimo godimento e la commerciabilità.
Il mancato rilascio della licenza di abitabilità, pertanto, integra un inadempimento del venditore per consegna di aliud pro alio, adducibile da parte del compratore in via di eccezione, ai sensi dell’art. 1460 c.c., o come fonte di pretesa risarcitoria per la ridotta commerciabilità del bene, a meno che egli non abbia espressamente rinunciato al requisito dell’abitabilità o esonerato comunque il venditore dall’obbligo di ottenere la relativa licenza.
Sullo stesso orientamento le Cass. n. 23265 del 2019, Cass. n. 10665 del 2020 e Cass. n. 17123 del 2020, con quest’ultima che ricorda che
nella vendita di immobili destinati ad abitazione, pur costituendo il certificato di abitabilità un requisito giuridico essenziale ai fini del legittimo godimento e della normale commerciabilità del bene, la mancata consegna di detto certificato costituisce un inadempimento del venditore che non incide necessariamente in modo dirimente sull’equilibrio delle reciproche prestazioni“.
L’inadempimento e il risarcimento del danno
Insomma, la mancata consegna all’acquirente del certificato di abitabilità si traduce in un inadempimento. Come tale, vi è la conseguente possibilità di domandare il risarcimento del danno conseguenziale. Se accertato nell’an, deve essere liquidato dal giudice in via equitativa. Il giudice terrà così conto del minore valore di scambio del bene o dei costi sostenuti per procurare l’agibilità dell’immobile.
Pertanto, se il venditore ha l’obbligo legale ex art. 1477 c.c. di consegnare all’acquirente il certificato di abitabilità in conformità alle norme che lo prevedono, sono allora del tutto irrilevanti:
- che il rilascio del certificato di abitabilità non era stato promesso dalle venditrici all’atto della vendita. La mancanza dell’abitabilità è infatti riscontrata d’ufficio dal consulente tecnico, e ha finito per incidere pesantemente sullo scopo pratico che il contratto mirava a soddisfare
- che l’immobile era effettivamente abitabile, in base alla legislazione in tema di immigrazione, non risultando invece accertata né la conoscenza da parte dell’acquirente dell’assenza del certificato di abitabilità o l’esonero della controparte dal relativo obbligo.
Il ricorso viene dunque accolto e la sentenza impugnata cassata con rinvio per un nuovo esame.