Le critiche al docente sono diffamazione? – guida rapida
La recente sentenza n. 18056/2023 della Corte di Cassazione ha chiuso il caso di un docente che si era rivolto alle autorità giudiziarie per veder condannati per diffamazione i genitori di un proprio studente, che si erano rivolti al dirigente scolastico criticando l’operato dello stesso docente.
Per i giudici della Suprema Corte questo atteggiamento rientra nel diritto di critica che esclude la possibilità di diffamazione nei giudizi negativi sul comportamento del docente che viola le normative per gli alunni che sono affetti da disturbi di apprendimento.
La Corte ha così accolto il ricorso dei due genitori contro le accuse di diffamazione per aver segnalato alla dirigenza scolastica e al Ministero dell’Istruzione e del Merito le presunte violazioni da parte dell’insegnante di inglese del figlio minorenne.
Cerchiamo di riepilogare come è andata.
I fatti: diffamazione del docente?
Con precedente sentenza il Tribunale di prime cure aveva confermato la pronuncia del Giudice di pace nei confronti dei ricorrenti (i genitori dello studente) che, previa affermazione della penale responsabilità, erano stati condannati a 300 euro di multa ciascuno.
L’imputazione (artt.110, 595, 61 n.10 cod. pen.) ha ad oggetto la condotta di diffamazione posta in essere dai ricorrenti mediante l’invio di una lettera alla dirigente scolastica nella quale si affermava – con riferimento alla persona offesa, docente di inglese – che:
tutti gli errori compiuti dalla professoressa non sono da ritenersi frutto di disattenzione e negligenza quanto piuttosto di volontà manifesta di danneggiare nostro figlio aggiungendo che la docente unitamente ad altri si era [..] da sempre contraddistinta, rispetto ad altri, per una condotta fortemente vessatoria nei confronti di [..]”.
Contro tale decisione della Corte d’appello i ricorrenti hanno proposto ricorso deducendo cinque motivi che andiamo brevemente a riepilogare.
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Primo motivo
Con il primo motivo è stato dedotto vizio di motivazione sulla omessa risposta della sentenza impugnata in relazione ad una doglianza decisiva circa la natura riservata della missiva. In particolare, i ricorrenti lamentano che la missiva inviata, contenente un formale reclamo alla valutazione della verifica scritta della prova di inglese sostenuta dal figlio era stata inviata a mezzo PEC alla Dirigente scolastica e al Ministro per l’Istruzione in via riservata, quali soggetti istituzionalmente e normativamente preposti alla verifica della corretta applicazione della normativa a tutela dei soggetti DSA.
La Corte territoriale ha però ritenuto che la natura riservata della missiva non sia idonea ad escluderne la diffusività del contenuto non potendosi escludere tout court la potenziale accessibilità a terzi soggetti diversi dal destinatario. Non può nemmeno ravvisarsi nella sentenza una motivazione implicita rispetto al tema probatorio decisiva della natura riservata dell’atto inviato.
Secondo motivo
Con il secondo motivo è invece stato dedotto vizio di motivazione in relazione all’omessa risposta della sentenza impugnata su una doglianza decisiva circa la fondatezza delle accuse rivolte alla persona offesa e alla esclusione del carattere diffamatorio delle espressioni utilizzate.
In particolare, i ricorrenti lamentano come il reclamo inviato, nel suo tenore complessivo, fosse volto unicamente ad ottenere un intervento da parte dei soggetti a ciò istituzionalmente preposti a tutela del diritto allo studio del figlio, all’epoca dei fatti minorenne e soggetto DSA, a fronte delle violazioni poste in essere dalla docente di inglese della normativa a tutela dei DSA.
Lamentano i ricorrenti che la docente aveva violato la normativa sia in relazione alle modalità di svolgimento delle verifiche scritte (impedendo all’alunno di utilizzare il materiale compensativo e le misure dispensative) sia in relazione alle modalità di valutazione, omettendo di redigere la scheda valutativa.
Terzo motivo
Con il terzo motivo è stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione in rapporto all’omessa risposta della sentenza impugnata su una doglianza decisiva circa la sussistenza della scriminante di cui all’art. 51 cod. pen. e della esimente di cui all’art. 599 cod. pen. nella parte in cui la Corte ha escluso la sussistenza della esimente dell’esercizio del diritto di critica con riferimento alle espressioni utilizzate.
Quarto motivo
Con il quarto motivo si deduce la violazione dell’art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione all’art.539 cod. proc. pen. e alle statuizioni civili. La somma liquidata a titolo di provvisionale alle costituite parti civili non risulterebbe giustificata, né vi è prova del danno liquidato, sia pure a titolo di provvisionale.
Quinto motivo
Infine, con il quinto motivo è dedotta la violazione dell’art. 600 comma 3 cod. proc. pen. in relazione alla mancata indicazione dei giustificati motivi a fondamento della provvisionale. Di fatti, per i ricorrenti la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere che la prova del danno grave e irreparabile che deriverebbe all’imputato dal pagamento della provvisionale dovrebbe essere fornita dall’imputato, contrariamente a quanto previsto dal principio di cui al’art.2967 cod. civ., spettando all’imputato l’onere di siffatta prova solo se la sentenza dia conto dei giustificati motivi che consentono il pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva.
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Critica al docente: le valutazioni della Cassazione
Il ricorso è ritenuto fondato dalla Corte, per le seguenti ragioni.
Occorre innanzitutto evidenziare, sancisce la Cassazione, che in materia di diffamazione viene riconosciuta e valutata l’offensività della frase che si assume lesiva della altrui reputazione perché è compito del giudice di legittimità procedere in primo luogo a considerare la sussistenza o meno della materialità della condotta contestata e, quindi, della portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie, dovendo, in caso di esclusione di questa, pronunciare sentenza di assoluzione dell’imputato.
Nella fattispecie in esame, la sentenza impugnata non dedica però alcun argomento alla veridicità del fatto oggetto delle opinioni o dei giudizi espressi dagli imputati. La critica si concretizza semmai nella manifestazione di un giudizio valutativo e presuppone un fatto che è assunto ad oggetto o a spunto del discorso critico. Dunque, il giudizio valutativo è diverso dal fatto da cui trae spunto e a differenza di questo non può pretendersi che sia “obiettivo” e neppure, in linea astratta, “vero” o “falso”.
La giurisprudenza convenzionale ha da tempo affermato la libertà di esprimere giudizi critici, cioè “giudizi di valore”, trova il solo, ma invalicabile, limite nella esistenza di un “sufficiente riscontro fattuale” e che per valutare la giustificazione di una dichiarazione contestata, è sempre necessario distinguere tra dichiarazioni di fatto e giudizi di valore, perché, se la materialità dei fatti può essere provata, l’esattezza dei secondi non sempre si presta ad essere dimostrata.
Il requisito della continenza nei fatti riferiti sul docente
Di contro, la sentenza impugnata si sofferma solo sul requisito della continenza delle espressioni utilizzate reputandole come espressioni che travalicano e trascendono il corretto esercizio del diritto di critica. La continenza riguarda peraltro un aspetto sostanziale e un profilo formale:
- la continenza sostanziale, o “materiale”, riguarda la natura e la latitudine dei fatti riferiti e delle opinioni espresse, in relazione all’interesse pubblico alla comunicazione o al diritto-dovere di denunzia. Si riferisce pertanto alla quantità e alla selezione dell’informazione in funzione del tipo di resoconto e dell’utilità/bisogno sociale di esso;
- la continenza formale attiene, invece, al modo con cui il racconto sul fatto è reso o il giudizio critico esternato, e cioè alla qualità della manifestazione. Postula dunque una forma espositiva proporzionata, “corretta” in quanto non ingiustificatamente sovrabbondante al fine del concetto da esprimere.
Dunque, quanto sopra comporta che le modalità espressive non devono essere gratuitamente offensive ma che, comunque, toni aspri o polemici non possono considerarsi di per sé punibili quando siano proporzionati e funzionali all’opinione o alla protesta da esprimere.
Ciò premesso, i giudici ribadiscono la diversità dei contesti in cui si svolge la critica, così come la differente responsabilità e funzione dei soggetti ai quali la critica è rivolta, in grado così di giustificare attacchi di grande violenza se proporzionati ai valori in gioco che si ritengono compromessi. In altri termini, proseguono i giudici, sono gli interessi in gioco a segnare la “misura” delle espressioni consentite.
Le conclusioni
Il principio appena rammentato trova applicazione se le veementi opinioni sono rivolte a soggetti che detengono o rappresentano un potere pubblico, e sono giustificate dalla sentita necessità di rispondere con durezza ad un esercizio del potere percepito come arbitrario o illegittimo.
Le espressioni così incluse nella missiva alla Dirigente e al Ministero della Istruzione
- “[..] tutti gli errori compiuti dalla professoressa non sono da ritenersi frutto di disattenzione e negligenza quanto piuttosto di volontà manifesta di danneggiare nostro figlio”,
- la docente unitamente ad altri si era: “[..] da sempre contraddistinta, rispetto ad altri, per una condotta fortemente vessatoria nei confronti di [..]”.
possono anche integrare ‘asprezze ed esagerazioni’, ma, collocate nel più ampio contesto comunicativo del quale sono parte, che consente di intenderle nel loro giusto valore, “rientrano certamente nel cono d’ombra della scriminante del diritto di critica, esercitato rispetto a valori ed interessi – il buon andamento, l’imparzialità e la trasparenza della pubblica amministrazione, il diritto all’istruzione , il diritto alla salute- che gli imputati ragionevolmente temevano potessero essere messi a repentaglio dai comportamenti, come si desume dal riscontro fattuale rappresentato dalle stesse dichiarazioni della persona offesa, dall’ordinanza del TAR prova documentale acquisita nel processore dalle condizioni del giovane alunno risultate peggiorate a seguito del comportamento della docente”.