Prova contitolarità somme del conto corrente – guida rapida
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- La domanda di ripetizione di indebito e risarcimento del danno
- Cointestazione del conto corrente e contitolarità
- Perché il motivo è ritenuto inammissibile
- L’esame della Corte territoriale
- L’accordo tra i coniugi
- Le fatture e le prestazioni professionali
- La consistenza dei prelievi
- I doveri dei coniugi
Con ordinanza n. 28772 del 17 ottobre 2023 la Corte di Cassazione si è occupata di un caso di conto corrente cointestato e contitolarità delle somme. Nella fattispecie, uno dei due coniugi si era reso protagonista di prelievi, anche ingenti.
In questa sede, i giudici di legittimità hanno chiarito i cointestatari del conto si presumono contitolari solidali del rapporto di conto corrente salvo prova contraria. Non vi è nessun diritto di ripetizione o di risarcimento che deriva nei confronti del coniuge per le spese effettuate per il sostentamento della famiglia.
Esaminiamo più nel dettaglio il caso all’attenzione della Corte.
La domanda di ripetizione di indebito e risarcimento del danno
Con sentenza del 16 dicembre 2021 la Corte di Appello di Milano ha rigettato I’appello proposto dal marito contro la sentenza di primo grado del Tribunale della stessa città, che a sua volta aveva respinto la domanda proposta dall’attore per la condanna della moglie da cui si era separato, al pagamento della somma di 250 mila euro, che assumeva dovuta a titolo di restituzione e/o risarcimento di danni patrimoniali.
Per l’attore, infatti, la donna avrebbe proceduto a indebito prelievo e utilizzo di 121.060,50 euro, depositati sul conto corrente cointestato alle parti, e nell’indebita disposizione di euro 55.000,00 euro, mediante assegno circolare emesso in proprio favore. Ha richiesto inoltre il risarcimento dei danni non patrimoniali patiti in conseguenza del fallimento del matrimonio e per le difficoltà di far fronte agli obblighi alimentari sussistenti a suo carico in favore della convenuta e delle comuni figlie, a causa dell’indisponibilità degli importi di cui sopra sul conto corrente.
Da tale fatto, prosegue il marito, sarebbe derivato I’assoggettamento a procedimento penale, a limitazioni della libertà personale e a numerosi procedimenti esecutivi, con conseguente danno all’immagine.
La Corte ha motivato la propria decisione osservando che correttamente il Tribunale di prime cure aveva ritenuto che I’attore non avesse assolto all’onere della prova essendo invece stato dimostrato come il conto corrente fosse stato aperto dai coniugi congiuntamente e per i bisogni presenti e futuri dell’intera famiglia e che alla formazione della provvista non avesse contribuito in via esclusiva l’attore.
Ancora, risultava in sede processuale come dimostrata l’esistenza di accordi di indirizzo familiare intervenuti tra i coniugi. Sulla base di tali intese, la moglie aveva interrotto la collaborazione presso uno studio legale per prestare la propria attività professionale esclusivamente in favore del marito. Verso questo, peraltro, emetteva regolare fattura.
Gli altri elementi discordanti
È poi emerso che alle fatture non seguiva alcun pagamento diretto da parte del marito. L’accordo tra i coniugi era infatti che il lavoro professionale della moglie potesse essere compensato con l’utilizzo del denaro sul conto corrente.
Ancora, emergeva come non era stato dimostrato che il conto corrente fosse destinato al soddisfacimento dei soli bisogni primari fondamentali della famiglia. Ulteriormente, si rilevava che sussistevano tra i coniugi precisi doveri di reciproca assistenza materiale e morale, e di contribuzione, ciascuno in proporzione alle rispettive sostanze e capacita. Dunque, la cointestazione del conto corrente era esecuzione specifica degli obblighi di assistenza materiale di cui all‘art. 143 c.c.
Infine, la donna forniva elementi da cui si poteva evidenziare come molti prelievi non erano per spese voluttuarie, bensì per far fronte alle necessita familiari o mediche.
Cointestazione del conto corrente e contitolarità
Si arriva così in Cassazione, sede in cui i giudici della Suprema Corte cercano di fare chiarezza sui vari motivi del ricorso.
Il primo motivo prospetta la “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1298 c. 2 e 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., omesso esame sul punto di un fatto decisivo del giudizio in relazione all’art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c., in ogni caso, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 132 n. 4 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. per erronea percezione del contenuto oggettivo della prova documentale”.
In particolare, il ricorrente sostiene come la Corte territoriale si sarebbe limitata esclusivamente ad evidenziare che la donna avesse dato la prova di alcuni versamenti sul conto. Tutto ciò consentiva di affermare che il conto corrente non era stato contratto nell’esclusivo interesse del marito. Ma, sostiene il marito, ciò non esonerava i giudici dall‘accertare la rilevante sperequazione delle quote riferibili a ciascun coniuge desumibile dalla enorme difformità degli apporti, come documentata dagli estratti conto, e la smisurata differenza tra prelievi effettuati dalla moglie e le rimesse da lei
operate, che consentiva di ritenere superata la presunzione di comproprietà in parti uguali di cui all’art. 1298 cc.
Sempre secondo le valutazioni effettuate dal ricorrente, il processo che ha fondato la decisione della Corte d’Appello sarebbe viziato sia da error in iudicando, sia da omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. Il fatto in questione era l‘irrisorieta dei versamenti della donna rispetto agli apporti effettuati dal marito. Oltre che, si legge nei motivi del ricorso, da un oggettivo errore di percezione della prova documentale in atti.
Perché il motivo è ritenuto inammissibile
Nonostante l’articolata elaborazione del motivo, quest’ultimo è ritenuto inammissibile dalla Corte.
In primo luogo, la Cassazione ricorda che la cointestazione di un conto corrente tra coniugi attribuisce agli stessi, ex art. 1854 c.c., la qualità di creditori o debitori solidali dei saldi del conto, sia nei confronti dei terzi che nei rapporti interni, facendo così presumere la contitolarità dell’oggetto del contratto salva la prova contraria a carico della parte che deduca una situazione giuridica diversa da quella risultante dalla cointestazione stessa che può essere fornita anche attraverso presunzioni semplici – purché gravi, precise e concordanti.
Tutto ciò premesso, l’apprezzamento del superamento della presunzione di contitolarità del rapporto previsto dall’art 1298 2 comma è attività del giudice di merito che, come tale, non può essere sindacata in una sede di legittimità come quella di Cassazione se non nei limiti di cui all‘art 360, 1 comma nr 5 cpc, e nel caso di omessa e/o apparente motivazione.
Come evidenziato dalla lettura dell’impugnata sentenza, il marito ha dedotto di aver alimentato in via esclusiva il conto corrente. Di qui, ritiene di essere unico titolare del diritto di proprietà degli importi depositati. Sostiene così che l’utilizzo da parte della moglie delle somme giacenti sul conto per scopi estranei al mantenimento della famiglia fosse da considerarsi un pagamento indebito ovvero un illecito.
Quindi, il thema decidendum non è costituito dall’accertamento della quota in capo a ciascun coniuge. Bensì, è costituito dall’azione di ripetizione di indebito, sul presupposto della proprietà esclusiva di tutto il denaro in capo al marito.
L’esame della Corte territoriale
Su questa base, la Cassazione rileva come la Corte territoriale abbia proceduto alla disamina di tutti gli atti acquisiti al processo arrivando alla conclusione che il conto corrente cointestato era stato alimento non solo da denaro del marito ma anche dalla provvista fatta affluire dalla moglie.
Gli elementi valorizzati dalla Corte a fondamento del proprio convincimento in ordine alla mancanza di prova della titolarità esclusiva del denaro in capo al marito sono stati i seguenti:
- il conto corrente era stato aperto dai coniugi congiuntamente e per i bisogni presenti e futuri dell’intera famiglia;
- la donna aveva contribuito all’alimentazione del conto corrente in misura rilevante con apporti derivanti dalla sua attività professionale;
- i coniugi avevano sottoscritto, congiuntamente e per quote paritarie, contratti di deposito titoli e di investimento, come documentalmente dimostrato dalla controricorrente.
Come ricordato, però, il ricorso per Cassazione non è certo strumento per accedere ad un terzo grado di giudizio di merito. Spetta invece – appunto – al solo giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, controllandone I’attendibilità e la concludenza. Quindi, è suo compito scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi. Si formula in questo modo la prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti.
L’accordo tra i coniugi
Sancito quanto sopra, i giudici di Cassazione si occupano del secondo motivo, la “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 115 e 112 c.p.c., 2909 c.c. in relazione all‘art. 360 c. 1 n. 3 e n. 4 c.p.c.: decisione fondata su prove non dedotte dalle parti e su domande rigettate e non riproposte in secondo grado”.
Con tale motivo il marito censura il passaggio motivazionale dell’impugnata sentenza, laddove afferma che sulla base degli accordi intervenuti la moglie aveva accettato di lasciare lo studio legale presso cui lavorava, con la conseguenza di prestare la propria attività professionale esclusivamente in favore del marito. Nei confronti di quest’ultimo emetteva poi regolari fatture.
I documenti non sarebbero però mai stati versati in atti sia in primo che in secondo grado. Viene poi evidenziata la violazione del principio del chiesto e pronunciato e del giudicato in cui sarebbe incorsa la Corte d’appello nel riconoscere la compensazione tra somme vantate per attività professionale svolta in favore del marito, e gli importi giacenti sul conto corrente cointestato, proposta e rigettata dal Tribunale e non reiterata con appello incidentale.
Anche in questo caso la Cassazione riconosce come infondato il motivo. Vediamo perché.
Le fatture e le prestazioni professionali
La Suprema Corte ricorda che la sentenza d’appello fa riferimento alle fatture emesse dalla donna per le prestazioni professionali effettuate in favore del marito. Come detto, tali documenti fiscali secondo il marito non sarebbero mai entrati nel processo stante la loro mancata indicazione nell’elenco dei documenti allegati. Dunque, la decisione della Corte poggerebbe sulla circostanza non veritiera della produzione in giudizio delle fatture.
La donna ha però chiarito come le fatture sono state in realtà ritualmente introdotte nel giudizio di primo grado. Non lo hanno fatto però con la comparsa di costituzione e risposta, bensì con la memoria ex art 183 6 comma n. 2. La circostanza non ha peraltro trovato smentita alcuna nel contenuto della memoria di parte attrice ex art 380 bis cpe.
Per quanto invece riguarda la dedotta violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il giudicato la censura si rileva non pertinente con il contenuto della decisione in quanto la Corte, contrariamente a quanto opinato dal marito, non ha affatto “riesumato” la domanda, proposta in via riconvenzionale dalla donna di condanna dell’atto, al pagamento, da un lato, dei corrispettivi dovuti per l’attività, ma ha semplicemente valorizzato il conferimento della moglie alla provvista del conto, attuato mediante I’attività professionale svolta in favore del marito, come ulteriore elemento di prova il mancato superamento della presunzione ex art. 1298, 2 c., c.c.
La consistenza dei prelievi del conto corrente
Si arriva così al terzo motivo, con cui il ricorrente oppone violazione e/o falsa applicazione degli artt. 143 e 316-bis c.c., con riferimento agli artt. 112, 115 e 132 n. 4 cpc in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 e 4 c.p.c. per avere la Corte d’Appello preteso di ricondurre gli “smisurati ed i continui consistenti prelievi, compresa l’ingente somma di € 55.000,00, per un totale di € 180.000,00, effettuati in poco più di un anno e mezzo dopo l’inizio della relazione extraconiugale e poco prima di chiedere la separazione coniugale all‘interno dei reciproci obblighi di solidarietà familiare ed assistenza tra coniugi di cui all’art. 143 c.c., in pratica solo perché avvenuti in costanza di matrimonio”.
L’uomo si duole inoltre del fatto che la Corte – a suo dire illegittimamente, illogicamente e sulla base di una erronea assunzione di fatti insussistenti, sul presupposto che l’ex marito avesse interrotto di contribuire ai bisogni della famiglia sin dal 2011 – abbia affermato che I’importo di € 55.000 prelevato dalla donna sia stato integralmente destinato dalla stessa al mantenimento delle figlie e della casa coniugale negli anni successivi.
Per la Corte, però, la doglianza non supera il vaglio di ammissibilità.
La Suprema Corte lo spiega bene riportando per esteso alcuni brani della sentenza:
Poiché non è stato dimostrato che il conto corrente fosse destinato al soddisfacimento dei soli bisogni primari fondamentali della famiglia, allo stesso ben poteva attingere la moglie per esigenze, anche non di strettissima necessita, sia delle due figlie, sia proprie, non potendosi per contro rimettere in discussione ogni voce di spesa di cui ciascun coniuge si sia fatto carico nel corso della convivenza matrimoniale.
I doveri dei coniugi titolari del conto corrente
Non si tratta quindi di ammettere che sarebbe sufficiente a uno dei cointestatari di qualunque conto corrente bancario cointestato versare un euro nel conto per appropriarsi di tutta la giacenza residua quanto piuttosto di riconoscere la sussistenza di specifici doveri di solidarietà familiare e di assistenza tra coniugi, alla cui logica, anche in considerazione della scelta di indirizzo familiare compiuta tra il (marito) e la (moglie), sembrano pienamente riconducibili le spese in contestazione.
Come già ritenuto dal Tribunale di prime cure, molte delle spese che l’attore vorrebbe qualificare come voluttuarie sono infatti risultate in verità riguardare l’ordinaria gestione della vita familiare. A titolo di esempio, il Tribunale ha ricostruito come alcune spese fossero per:
- acquisto di medicinali o abbigliamento,
- pagamento di bollette,
- pagamento di collaboratori domestici,
- spese scolastiche
- esigenze di salute delle figlie o della donna.
Per i giudici, tali considerazioni trovano applicazione anche in relazione all‘assegno circolare di euro 55.000,00 emesso a giugno 2011. La somma è stata integralmente destinata dalla donna al mantenimento delle figlie e della casa coniugale negli anni successivi.
La Corte d’appello ha pertanto correttamente agito in linea con il costante indirizzo giurisprudenziale secondo cui le spese effettuate per i bisogni della famiglia e riconducibili alla logica della solidarietà coniugale, in adempimento dell’obbligo di contribuzione di cui all’art. 143 c.c. (che qui traggono provvista in un conto cointestato) non determinano alcun il diritto al rimborso.
Per questi motivi il ricorso va rigettato.