Conto corrente aperto con documenti falsi – guida rapida
- L’apertura di un conto corrente da parte di ignoti
- La posizione della banca
- La competenza per materia
- La qualificazione della natura del cliente
- I furti di identità nelle operazioni bancarie
- Il concetto di cliente per il Collegio di Coordinamento
- Le conclusioni
- La domanda risarcitoria
- La quantificazione del danno
Di chi è la competenza per il ricorso presentato da una vittima di furto di identità? A indicarlo è la decisione n. 6070 del 21 maggio da parte del Collegio di coordinamento dell’Arbitro Bancario Finanziario (ABF), che si è espresso su una controversia che riguardava un conto corrente aperto con documenti falsi.
L’apertura di un conto corrente da parte di ignoti
Il caso trae origine dal ricorso di un uomo che si è rivolto all’ABF esponendo che ignoti avrebbero sottratto la sua identità e aperto un conto corrente online a suo nome, su cui hanno poi accreditato somme provenienti da reato.
A causa di tutto ciò, il correntista ignaro ha dovuto subire un lungo procedimento penale per truffa, sostenendo una serie di costi per la difesa legale e danni alla propria reputazione.
Riporta il ricorrente come il conto è stato aperto online senza la presenza fisica del cliente. L’identificazione sarebbe infatti avvenuta con autoscatto e carta di identità che ritraevano soggetti palesemente diversi. Sul contratto non è poi stata apposta alcuna firma.
Dunque, per il ricorrente la responsabilità sarebbe imputabile all’intermediario, che non avrebbe adempiuto con la dovuta diligenza agli obblighi di adeguata verifica della clientela come individuati dalla normativa vigente e, in particolare, dal d.lgs. 231/2007.
Alla luce di ciò il ricorrente aveva fatto richiesta di risarcimento dei danni subiti, riscontrata negativamente dall’intermediario. Il ricorrente domanda così all’ABF di dichiarare l’intermediario tenuto al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti.
La posizione della banca
Dal canto suo, l’intermediario ha affermato di avere adempiuto diligentemente agli obblighi di adeguata verifica del cliente.
In particolare, la banca sostiene che stante l’assenza di un contatto fisico diretto con il richiedente e in considerazione del rischio frodi, ha adottato misure rafforzate di verifica dell’identità del cliente.
Precisa così come il cliente sia stato identificato acquisendo un documento in corso di validità e un selfie in tempo reale, scattato in occasione della registrazione in corso.
In questa fase il documento è risultato conforme e privo di elementi sintomatici di una contraffazione. Era stata poi verificata la corrispondenza dei tratti biometrici tra l’autoscatto e la foto del documento.
Ancora, l’intermediario aveva condiviso come fossero stati verificati i dati indicati dal richiedente con quelli presenti sul documento tramite il servizio Fraud Analyzer Evolution senza che emergesse alcuna anomalia.
Infine, al momento dell’apertura del conto corrente non era stato denunciato lo smarrimento né il furto del documento utilizzato. L’intermediario ha perciò chiesto il rigetto del ricorso.
La competenza per materia
Esaminando il ricorso, il Collegio di Milano ha ritenuto necessario valutare preliminarmente se la controversia rientri nella competenza per materia dell’Arbitro Bancario Finanziario o meno.
Il Collegio ha infatti rilevato come nella specie è chiaro e pacifico come non vi sia mai stato alcun rapporto contrattuale o relazione diretta tra ricorrente e intermediario. La responsabilità invocata dal ricorrente dovrebbe dunque avere natura extracontrattuale.
È sempre il Collegio rimettente a sottolineare come vi siano precedenti di recenti Collegi territoriali i quali ritengono che nel concetto di “cliente” legittimato a sottoporre all’arbitro controversie relative a operazioni e servizi bancari e finanziari rientrano non soltanto coloro che hanno concluso un contratto con un intermediario, ma anche quei soggetti che sono entrati con esso in una relazione anche non contrattuale ma pur sempre finalizzata alla prestazione di servizi bancari o finanziari.
Nel far ciò, il Collegio osserva però che
una cosa è quando un soggetto deduca una pretesa verso l’intermediario affermando di avere avuto un rapporto di fatto assimilabile a un contratto, oppure di avere concluso un contratto che si sia rivelato giuridicamente nullo, o ancora di avere intrattenuto una relazione finalizzata, senza esito, alla conclusione di un contratto (casi tutti agevolmente riconducibili a un rapporto di clientela in senso lato);
un’altra potrebbe ritenersi quella, aderente al caso di specie, in cui si avanzi una pretesa risarcitoria (collegata ai danni materiali e non patrimoniali derivanti dalla vicenda penale insorta per effetto della parvenza di un contratto di conto corrente concluso da un terzo) fondata sulla “negazione” esistenziale di una relazione, di fatto e di diritto, con l’intermediario bancario”.
Il Collegio di Milano domanda al Collegio di Coordinamento di esprimersi sulla questione preliminare relativa alla sussistenza della competenza per materia dell’Arbitro Bancario Finanziario.
La qualificazione della natura di cliente
Il Collegio di Coordinamento ricorda dunque come la controversia abbia ad oggetto la richiesta di risarcimento dei danni subiti dal ricorrente, vittima di furto d’identità, per via della mancata osservanza, da parte dell’intermediario delle misure di adeguata verifica a distanza della clientela previste dal d.lgs. n. 231/2007.
L’intermediario ha infatti reso possibile l’apertura di un conto online a nome del ricorrente. Su di esso sono stati fatti confluire i proventi di attività fraudolente. Ne è conseguito che il ricorrente è stato coinvolto in un procedimento penale per truffa e, per questo, chiede oggi il risarcimento dei danni patiti e il rimborso delle spese legali.
In via preliminare il Collegio di Coordinamento si occupa della questione sollevata d’ufficio dal Collegio di Milano sulla possibilità di qualificare il ricorrente come “cliente” dell’intermediario, considerato che nella specie è pacifico che tra le parti non solo non è mai stato concluso un contratto, ma neppure vi è stato alcun rapporto, nemmeno di fatto. La pretesa avanzata dal ricorrente è fondata sulla negazione di qualsiasi relazione con l’intermediario.
La qualificazione del ricorrente come cliente è aspetto fondamentale della questione, considerato che l’art. 128-bis TUB sottolinea come i clienti “aderiscono a sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie con la clientela”.
Le fonti secondarie
Il concetto di “cliente” è poi precisato da alcune fonti secondarie. Si pensi alla delibera del CICR 29.7.2008, che definisce come tale “il soggetto che ha o ha avuto con un intermediario un rapporto contrattuale avente ad oggetto la prestazione di servizi bancari e finanziari”.
Ancora, le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari individuano il cliente nel “soggetto che ha o ha avuto un rapporto contrattuale o è entrato in relazione con un intermediario per la prestazione di servizi bancari e finanziari, ivi compresi i servizi di pagamento”, precisando poi come “tra le ipotesi di relazione con l’intermediario per la prestazione di servizi bancari e finanziari rientrano anche le trattative precontrattuali, che possono dar luogo a controversie concernenti il rispetto delle norme in materia di trasparenza, indipendentemente dall’effettiva conclusione di un contratto”.
I furti di identità nelle operazioni bancarie e nel conto corrente
Si rileva inoltre come per ciò che concerne il caso sottoposto alla valutazione del Collegio, deve essere ricordato come i Collegi territoriali abbiano ripetutamente affrontato le questioni relative ai furti d’identità, in relazione al quale possono individuarsi due diverse tipologie di casistica.
La prima ipotesi (diversa da quella ora in esame) è il furto d’identità subito dal terzo destinatario di un pagamento disposto dal ricorrente. In altri termini, quest’ultimo agisce nei confronti dell’intermediario del beneficiario, con cui non esiste alcun rapporto contrattuale.
In tali fattispecie, i Collegi territoriali reputano sussistente la competenza dell’Arbitro. Vi è infatti un rapporto sociale qualificato tra ricorrente e intermediario e si sottolinea la sussistenza di una relazione tra le parti legata alla prestazione di servizi di pagamento.
La seconda ipotesi è quella del furto d’identità subito dal ricorrente. Costui – come nel caso di specie – si è visto aprire un rapporto a suo nome presso l’intermediario convenuto. Ha dunque subito le conseguenze pregiudizievoli delle attività illecite poste in essere dal truffatore mediante il conto. Anche su queste fattispecie i Collegi territoriali attribuiscono la competenza per materia dell’Arbitro.
Il concetto di cliente per il Collegio di Coordinamento
Si rileva inoltre come la questione della definizione del concetto di “cliente” in rapporto a ipotesi di responsabilità aquiliana è stata affrontato anche dal Collegio di Coordinamento.
Con la decisione n. 7283/2018, infatti, il Collegio di Coordinamento affermò che “la definizione [di cliente] fa riferimento, come si può notare, non alla conclusione del contratto, come atto, bensì al “rapporto” contrattuale da cui può discendere una responsabilità. La Cassazione ha più volte ribadito che il rapporto contrattuale e la responsabilità contrattuale vanno oltre il contratto come atto (Cass., Sez. un., 26 giugno 2007, n. 14712; Cass., I sez. civ., sent. 12 luglio 2016, n. 14188). Non ricomprendendo, però, ovviamente la responsabilità derivante dalla violazione del generale obbligo di neminem laedere”.
In quell’occasione il Collegio ABF preciso anche che
la relazione con l’intermediario, rilevante ai fini della definizione di cliente del ricorrente, si ha nelle ipotesi in cui vi siano controversie “concernenti il rispetto di norme”. Il riferimento palese è alle controversie relative alla violazione di obblighi di protezione aventi fonte legale e cioè a quel “contatto sociale qualificato”, da cui scaturiscono obblighi.
In altre parole, il Collegio di Coordinamento giunse alla conclusione che
ai sensi della disciplina volta a definire la competenza dell’ABF, è cliente il soggetto a cui favore esistano specifici obblighi di protezione da parte dell’intermediario.
Le conclusioni
In questa decisione il Collegio ha ribadito la posizione sopra espressa. Che, però, non comporta l’esclusione della competenza dell’Arbitro.
Di fatti, non sembra essere del tutto condivisibile la ricostruzione proposta dal Collegio rimettente, soprattutto laddove rileva come la responsabilità dell’intermediario invocata dal ricorrente avrebbe natura necessariamente extracontrattuale.
Si osserva infatti come la disciplina posta dal d.lgs. n. 231/2007 e dalla normativa secondaria ad esso collegata non si limita ad assolvere ad una indubitabile finalità principale di tutela dell’interesse pubblico relativo al controllo del fenomeno del riciclaggio, ma è anche tesa a fronteggiare il crescente “rischio di frodi connesse al furto di identità elettronica”.
La complessità funzionale della normativa in questione induce così a ritenere che gli obblighi di adeguata verifica e di identificazione del cliente siano tesi anche a tutelare i consociati dal rischio di vedersi coinvolti in vicende fraudolente, nonché che essi rivestano un grado di specificità tale da consentire di considerare sussistente il “contatto sociale qualificato” tra l’intermediario e il soggetto che formalmente risulta titolare del rapporto che può dunque ben rivolgersi all’Arbitro lamentando le conseguenze dannose della violazione dei suddetti obblighi.
Insomma, il Collegio di Coordinamento afferma il seguente principio di diritto:
Integra una “controversia con la clientela” ai sensi dell’art. 128-bis t.u.b. – e, quindi, rientra nella competenza dell’Arbitro Bancario Finanziario – l’ipotesi nella quale la parte ricorrente chieda il risarcimento dei danni subiti per effetto di una truffa che abbia comportato l’apertura a suo nome di un conto corrente fittizio mediante furto di identità.
La domanda risarcitoria sul conto corrente aperto con documenti falsi
Una volta così archiviata la questione preliminare, si può passare all’esame del merito della controversia. Sulla base di questo, il Collegio ritiene che la domanda risarcitoria proposta dal ricorrente sia meritevole di parziale accoglimento. Ma perché?
Per il Collegio è innanzitutto sussistente l’illiceità della condotta dell’intermediario per violazione degli obblighi di adeguata verifica posti a suo carico dal d.lgs. 231/2007. Inoltre, i danni lamentati dal ricorrente risultano soltanto in parte dimostrati nella loro esistenza ed entità.
Per quanto poi concerne la condotta dell’intermediario, si rileva come al momento dell’apertura del rapporto fosse in vigore il provvedimento della Banca d’Italia del 3 aprile 2013 – Disposizioni attuative in materia di adeguata verifica della clientela, ai sensi dell’art. 7, comma 2, del d.lgs. 21 novembre 2007, n. 231.
Gli obblighi rafforzati di adeguata verifica per l’apertura del conto corrente
Nel provvedimento si indica che gli intermediari sono sottoposti a obblighi rafforzati di adeguata verifica in alcune specifiche ipotesi. Tra di esse rientrano anche i casi di operatività a distanza.
In questi casi gli intermediari sono tenuti a:
- acquisire i dati identificativi
- effettuare il riscontro su una copia di un documento di identità non scaduto
- compiere un’ulteriore verifica dei dati acquisiti secondo le modalità ritenute più opportune in relazione al rischio specifico.
Ora, nella fattispecie, l’identificazione del cliente è avvenuta a mezzo della acquisizione di un documento di riconoscimento del richiedente in corso di validità e di un selfie acquisito in modalità “real time” ritraente lo stesso richiedente con in mano il documento di identità.
Ancora, la banca afferma di aver consultato il servizio “Fraud Analyser Evolution”, fornito da Crif spa, che ha dato come esito “Nessuna segnalazione di rilievo”.
Tuttavia, il Collegio dichiara che l’intermediario non ha provveduto all’adeguata verifica con il dovuto rigore. In particolare, il selfie prodotto mostra una persona che ha il viso in parte coperto da cerotti e risulta ictu oculi diversa da quella ritratta nella foto del documento.
Pertanto, in mancanza del ricorso a strumenti ulteriori per la verifica dell’identità del cliente, si deve ritenere che l’intermediario non abbia adempiuto agli obblighi di adeguata verifica posti a suo carico.
La quantificazione del danno
Per quanto riguarda la quantificazione del danno, abbiamo già sottolineato come il ricorrente chieda il risarcimento del pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale derivante dall’essere stato coinvolto in un procedimento penale, con relativo esborso economico per le spese legali e patimento personale.
Il Collegio rammenta come sia noto che “alla mancata prova del danno non può sopperire la valutazione equitativa dello stesso, considerato che l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa […] presuppone che sia dimostrata l’esistenza di danni risarcibili, ma che risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile, provare il danno nel suo preciso ammontare, fermo restando dunque l’onere della parte di dimostrare l’an debeatur del diritto al risarcimento” (Cass., 30 ottobre 2020, n. 24146).
Ebbene, in rapporto al danno patrimoniale, il ricorrente afferma di avere sostenuto esborsi per la difesa nel procedimento penale. Non produce però alcun elemento a supporto delle proprie allegazioni. Di conseguenza, la domanda in tale punto non può trovare accoglimento. Anche la richiesta di rifusione delle spese legali risulta priva di adeguato supporto probatorio.
Per quanto riguarda il danno non patrimoniale, invece, il ricorrente lamenta il patimento derivante dall’essere stato ingiustamente coinvolto in un giudizio penale.
Il Collegio, valutato il tutto, ritiene tale voce di danno sussistente e suscettibile di liquidazione in via equitativa.