La prova della ricognizione del debito – guida rapida
- Il debito della de cuius
- L’omesso esame di fatto decisivo e l’onere della prova
- Gli errori della Corte territoriale
Con ordinanza n. 23285 del 28 agosto 2024, la Corte di Cassazione ha ribadito che sulla base di quanto previsto dall’art. 1988 c.c., la ricognizione del debito esonera il creditore dalla prova del rapporto fondamentale.
Spetta dunque alla parte debitrice dimostrare l’inesistenza del rapporto sottostante.
Il debito della de cuius
La vicenda trae origine dalla condotta di Andrea e Giuliana, nella qualità di eredi di Diana, che hanno proposto nei confronti di Fabrizio un’azione di accertamento negativo di credito, domandando una declaratoria di insussistenza di ogni e qualsiasi obbligazione della de cuius nei confronti del convenuto.
Nel resistere, Fabrizio dispiega domanda riconvenzionale di condanna degli attori al pagamento della somma di euro 213.810, sulla base di una scrittura di ricognizione di debito sottoscritta dalla defunta Diana.
I giudici di prime cure hanno però rigettato la domanda attorea e hanno accolto quella riconvenzionale, condannando così Andrea e Giuliana, ciascuno in proporzione alla propria quota ereditaria, al pagamento in favore di Fabrizio della somma di euro 213.810, oltre interessi.
Andrea e Giuliana interpongono appello e ottengono la riforma della pronuncia di primo grado, che dichiara che nulla è dovuto da Diana e, per essa, dai suoi aventi causa appellanti, a Fabrizio. Ricorre per cassazione Fabrizio.
L’omesso esame di fatto decisivo e l’onere della prova sulla ricognizione del debito
Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia l’omesso esame di un fatto ritenuto decisivo per il giudizio ex art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., per avere il giudice territoriale del tutto trascurato gli esiti della c.t.u. grafologica esperita, che sarebbe invece decisiva per la verifica della genuinità della sottoscrizione apposta sulla scrittura di ricognizione del debito.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., l’errata applicazione dell’art. 1988 cod. civ. in ordine al riparto dell’onere probatorio, elemento centrale del nostro approfondimento. Allegata l’esistenza di un credito in base ad una ricognizione di debito ad opera del creditore, questi è dispensato dalla prova del rapporto fondamentale, la cui inesistenza va invece dimostrata dalla parte che contesta il riconoscimento.
La fondatezza del motivo per la ricognizione del debito
Per i giudici di Cassazione il secondo motivo è fondato, con assorbimento del primo.
I giudici di legittimità ricordano infatti come per consolidato orientamento, la ricognizione di debito, al pari della promessa di pagamento, non costituisce autonoma fonte di obbligazione, determinando invece un’astrazione meramente processuale della causa debendi, comportante una semplice relevatio ab onere probandi, per la quale il destinatario o beneficiario della ricognizione di debito è dispensato dall’onere di provare l’esistenza del rapporto fondamentale.
I giudici di ricordano quindi che la ricognizione di pagamento ha effetto confermativo di un preesistente rapporto fondamentale, la fonte della obbligazione di pagamento dichiarata nella promessa. Atteso il carattere processuale e non sostanziale dell’astrazione insita nella ricognizione, la mera indicazione del rapporto fondamentale da parte del promissario (o beneficiario) non importa rinuncia al vantaggio della dispensa dall’onere della prova.
La rinuncia al vantaggio probatorio che è contemplato dall’art. 1988 cod. civ. richiede dunque un’inequivoca manifestazione di volontà abdicativa, che è configurabile in via implicita se il beneficiario nell’azionare il credito deduca oltre alla promessa di pagamento o alla ricognizione di debito, anche il rapporto ad esse sottostante e chieda sua sponte ed in via autonoma di provarlo, ma non già quando lo stesso beneficiario formuli detta istanza istruttoria per reagire alle eccezioni o contestazioni del promittente.
Gli errori della Corte territoriale
Gli Ermellini si soffermano poi sugli errori della Corte territoriale, che degli enunciati princìpi di diritto non ha fatto buon governo per la propria decisione.
La Corte, infatti, qualificata la scrittura posta a fondamento del credito azionato da Fabrizio come ricognizione di debito e riconosciuta in forza della perizia espletata come autografa di Diana la sottoscrizione di essa, ha concluso infatti per l’inesistenza di qualsivoglia obbligazione a carico degli eredi del de cuius.
A questo scopo, rilevato che Fabrizio aveva indicato come ragione causale del riconoscimento del debito la vendita di gioielli, ha evidenziato che la scrittura non faceva menzione dell’acquisto di preziosi (né di altra causale) e che Fabrizio
a fronte delle puntuali contestazioni degli eredi della signora Bozzi, ha omesso di fornire una descrizione dei gioielli, di spiegare per quale motivo ed a quale titolo si trovasse in possesso di preziosi, nonché del perché ne facesse commercio
aggiungendo inoltre che della supposta compravendita di preziosi le deposizioni testimoniali assunte, vaghe e generiche, non offrivano sufficiente riscontro.
In tale ragionamento, proseguono poi i giudici della Suprema Corte, si rileverebbe una trasgressione dei criteri di distribuzione dell’onere probatorio indicati.
Nella fattispecie de qua, Fabrizio, reagendo alla iniziativa processuale degli eredi della promittente (attori in accertamento negativo), ha proposto domanda riconvenzionale di condanna basata su una scrittura di ricognizione del debito pura, altresì allegando il titolo giustificante l’obbligazione assunta di Diana (la vendita di gioielli).
Proprio in forza dell’astrazione processuale ex art. 1988 cod. civ., egli non era tenuto a
chiarire la natura o specificare ulteriormente le vicende del rapporto fondamentale, né tampoco a fornire dimostrazione dello stesso, tanto meno con la specificità impropriamente richiestagli dalla Corte territoriale.
Di contro, per i giudici di legittimità gravava invece sugli originari attori l’onere di provare, con ogni mezzo istruttorio possibile, l’inesistenza del rapporto sottostante la ricognizione, al fine di veder accolta la propria domanda di accertamento negativo e rigettata l’avversa istanza di condanna.