Immissioni acustiche da aree pubbliche, chi decide? – guida rapida
- Il ricorso di ANAS contro la decisione d’appello
- La proposta di definizione accelerata
- Il rigetto del ricorso: le motivazioni della Corte
Nel caso di immissioni acustiche da aree pubbliche, appartiene alla giurisdizione ordinaria la controversia che ha per oggetto la domanda di condanna della Pubblica Amministrazione a provvedere. Così si è espressa la Corte di Cassazione con ordinanza 29 agosto 2024 n. 23361, ora in commento.
Il ricorso di ANAS contro la decisione d’appello sulle immissioni acustiche
L’ANAS ha avanzato ricorso, sulla base di tre motivi, sulla pronuncia della Corte d’appello di Bologna, che ha confermato il parziale accoglimento della domanda proposta 43 persone tra proprietari o eredi di immobili ubicati in prossimità della strada E45, nello specifico la S.S. 3-bis Tiberina, condannando la società ad installare, nel tratto stradale prospiciente la proprietà privata dei già attori, delle barriere antirumore, e a corrispondere a ciascuno un indennizzo annuo di 15 mila euro.
L’ANAS riferisce in particolar modo di essere stata convenuta in giudizio dai soggetti, che lamentavano illegittime immissioni rumorose, non tollerabili, in ragione dell’elevato traffico veicolare sul tratto di strada in questione.
Gli attori proponevano dunque domanda di eliminazione delle immissioni acustiche, nonché di risarcimento dei danni e, in ogni caso, di liquidazione dell’indennizzo ex art. 844, comma 2, cod. civ., a fronte della quale la convenuta, nel contestare ogni loro pretesa
la presenza di un piano nazionale di contenimento e abbattimento del rumore, ossia un piano pluriennale di risanamento, che includeva le aree oggetto di discussione prevedendo la realizzazione di una pavimentazione fonoassorbente, da realizzarsi nel tempo e secondo le priorità e i criteri previsti dalla legge, in base anche alle assegnazioni finanziarie, dato l’impegno complessivo per ANAS pari ad almeno 1,679 MLN €.
All’esito dell’istruttoria, il giudicante accoglieva la domanda nei termini sopra indicati, indicando
la tipologia di intervento da fare nel tratto di superstrada oggetto di accertamento, vale a dire l’installazione di barriere dirette a mitigare il rumore proveniente dall’alta circolazione veicolare in orari diurni e notturni.
L’ANAS lamenta nel suo ricorso come
il giudice di primo grado si fosse ingerito nella valutazione discrezionale riservata alla Pubblica Amministrazione sulla modalità di abbattimento del rumore, già oggetto di un piano nazionale di opere infrastrutturali volte a contenere le immissioni acustiche cagionate dal traffico veicolare individuate per le aree in questione nella posa di asfalto fonoassorbente da eseguire secondo l’indice di priorità stabilito dal piano.
Ancora, il giudice d’appello ha respinto il mezzo, osservando come ANAS avesse
già programmato la posa delle barriere acustiche stradali per cinquecentocinquanta metri lineari della corsia Sud nel tratto E 45, essendosi, poi, determinata ad estendere l’opera nel tratto viario interessato dalle abitazioni degli appellati”, fermo, però, restando che il protratto inquinamento acustico è di per sé indice dell’eccesso di potere e della violazione di legge della Pubblica Amministrazione, la cui discrezionalità è esercitabile fin quando assicura il raggiungimento dello scopo che è tenuto a perseguire e che, nel caso de quo, non ha realizzato.
Contro la sentenza della Corte d’appello ANAS propone dunque ricorso per cassazione sulla base di tre motivi. Vediamoli rapidamente.
Il primo motivo denuncia un omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.
Assume la ricorrente che il giudice d’appello avrebbe omesso di considerare la
sussistenza, nel Piano Nazionale di Contenimento ed Abbattimento del Rumore (o anche PNCAR), che si occupava, a livello, appunto, nazionale, delle opere infrastrutturali necessarie per contenere immissioni rumorose provenienti dall’intera rete stradale, di uno specifico intervento per le aree in questione, ovvero la realizzazione di una pavimentazione fonoassorbente.
Per la società ricorrente la Corte avrebbe dunque formato il proprio convincimento omettendo l’esame di tale fatto,
affermando (al contrario) che ANAS S.p.a. aveva già programmato la posa delle barriere acustiche stradali per cinquecentocinquanta metri lineari della corsia Sud nel tratto E45, essendosi, poi, determinata ad estendere l’opera nel tratto viario interessato dalle abitazioni degli appellati, e quindi fondando il proprio convincimento su una asserita determinazione di ANAS ad estendere il progetto di installazione di barriere antirumore per il tratto di strada oggetto di giudizio.
In questo modo però la Corte territoriale non avrebbe considerato che proprio per il tratto di strada in questione ANAS
avesse già predisposto una diversa tipologia di intervento (posa di asfalto fonoassorbente) e che proprio per tale ragione ciò che doveva essere accertato in sede di gravame non era tanto la valutazione della opportunità della valutazione dell’amministrazione sulla idoneità dell’intervento previsto,
ma piuttosto
la correttezza o meno di una pronuncia che, a fronte della programmazione di una tipologia di intervento (posa di asfalto fonoassorbente), aveva condannato la parte convenuta a metterne in atto uno differente (installazione di barriere antirumore).
La ricorrente rileva poi come non ricorra l’ipotesi della c.d. “doppia conforme di merito”, giacché
i fatti da cui partono i due giudici di merito sono differenti: il Tribunale di Forlì ha dato atto della sussistenza del PNCAR, ed ha poi ritenuto di accogliere le conclusioni cui era arrivato il CTU circa l’opportunità di installare delle barriere per il rumore; la Corte d’appello, invece, ha tratto le proprie conclusioni dalla circostanza (invero errata) della predisposizione proprio da parte di ANAS del progetto di installazione delle summenzionate barriere.
Per la ricorrente, tanto basterebbe pertanto a ritenere non precluso l’esame del motivo, anche perché l’art. 360, comma 4, cod. proc. civ. attualmente in vigore prevede l’impossibilità di censurare, in sede di legittimità, l’omesso esame di un fatto solo quando
la pronuncia di appello conferma la decisione di primo grado per le stesse ragioni, inerenti ai medesimi fatti, poste a base della decisione impugnata, ovvero quando la sentenza di secondo grado sia interamente corrispondente a quella di primo grado, per essere le due statuizioni fondate sul medesimo iter logico argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa.
Il secondo motivo denuncia invece la violazione e falsa applicazione dell’art. 4 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E), per illegittima ingerenza in attività amministrativa.
In particolare, ANAS sostiene che il giudice di secondo grado,
partendo peraltro come si è detto da un presupposto errato (essendo incontestato in giudizio che ANAS avesse inserito l’area in questione nel PNCAR, con un programma di intervento per la posa di pavimentazione fonoassorbente) ha comunque effettuato una valutazione di opportunità che lo ha indotto a condannare la convenuta ad adottare le specifiche misure indicate, condanna posta in essere in sfregio al principio di separazione dei poteri.
Viene dunque ribadito come gli interventi “antirumore”, dei quali saranno destinati a beneficiare anche gli attori/appellanti, sia stato predisposto in base alla legge 26 ottobre 1995, 447, al d.m. 29 novembre 2000 e al d.P.R. 30 marzo 2004, n. 142, comportando un impegno finanziario per ANAS pari ad almeno 1.679 MLN di euro e risultando “redatto in ragione di criteri di priorità e tipologia di intervento dettagliati dalla normativa di riferimento di cui il Piano nazionale è espressione”, criteri in forza dei quali, per il caso in esame, è stato individuato un indice di priorità che è di 497,70, con conseguente posizione in graduatoria nazionale al numero 1567 e in quella regionale al numero 124.
Per la società sarebbe dunque evidente
come la tipologia dei lavori, gli indici e i criteri di priorità non possano essere messi in discussione dal giudice, come fatto nella sentenza oggetto di censura, costituendo espressione della funzione amministrativa.
Arriviamo così al terzo e ultimo motivo, con cui ANAS denuncia la violazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 132, comma 2, n. 4), cod. proc. civ. per difetto assoluto di motivazione o motivazione apparente.
In particolare, lamenta la ricorrente che
i giudici di secondo grado non hanno in alcun modo chiarito né le ragioni dell’asserito eccesso di potere in cui sarebbe incorsa l’amministrazione competente, né il motivo per cui la predisposizione delle barriere antirumore sarebbe preferibile rispetto alla posa di asfalto fonoassorbente.
Sottolinea poi ancora la ricorrente che
la motivazione della pronuncia non consente di chiarire nemmeno la seguente ed ulteriore problematica, ovvero se l’amministrazione – una volta avvenuta l’installazione delle barriere antirumore così come ordinato dai giudici di merito – possa in ogni caso trovarsi a dover (in attuazione del PNCAR) effettuare anche l’intervento a suo tempo programmato, e la cui realizzazione ben potrebbe essere sollecitata da ulteriori soggetti interessati nonché dall’Autorità vigilante e che comporterebbe di fatto una indebita duplicazione di interventi i cui costi graverebbero sempre su ANAS.
La proposta di definizione accelerata
In relazione a tale ricorso è stata formulata una proposta di definizione accelerata che viene così motivata:
considerato che: il primo motivo (…) è inammissibile per la preclusione che deriva (…) dall’avere la Corte d’appello deciso in modo conforme alla sentenza di primo grado (…): diversamente da quanto postulato in ricorso la circostanza dell’avere l’Azienda ricorrente programmato la posa di asfalti fonoassorbenti è stata espressamente considerata dalla Corte d’appello (…) e giudicata, come dal primo giudice, irrilevante, in adesione alle conclusioni del c.t.u. circa l’opportunità di installare delle barriere per il rumore; il secondo motivo (…)
è manifestamente infondato alla luce del principio secondo cui «in tema di immissioni acustiche provenienti da aree pubbliche, appartiene alla giurisdizione ordinaria la controversia avente ad oggetto la domanda, proposta da cittadini residenti nelle zone interessate, di condanna della P.A. a provvedere, con tutte le misure adeguate, all’eliminazione o alla riduzione nei limiti della soglia di tollerabilità delle immissioni nocive, oltre che al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, patiti, atteso che l’inosservanza da parte della P.A. delle regole tecniche o dei canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei propri beni può essere denunciata dal privato davanti al giudice ordinario non solo per conseguire la condanna della P.A. al risarcimento dei danni, ma anche per ottenerne la condanna ad un facere, tale domanda non investendo scelte ed atti autoritativi della P.A., ma un’attività soggetta al principio del neminem laedere (…);
il terzo motivo (…) è parimenti infondato: ciò che vi si deduce esula dal contenuto che al detto paradigma hanno attribuito (…) secondo le quali: «La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (…) deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al ‘minimo costituzionale’ del sindacato di legittimità sulla motivazione.
Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella ‘mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico’, nella ‘motivazione apparente’, nel ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’ e nella ‘motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile’, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ‘sufficienza’ della motivazione»; nel caso di specie la motivazione è perfettamente comprensibile.
Il rigetto del ricorso: le motivazioni della Corte
Il ricorso viene rigettato con motivazioni in parte diverse da quelle citate nella proposta di definizione accelerata.
In primo luogo, l’inammissibilità del primo motivo deriva dalla violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6), cod. proc. civ. e non dall’applicazione dell’art. 348-ter cod. proc. civ.
Si evidenzia infatti che tale ultima norma è abrogata con effetto dal 28 febbraio 2023 e con applicazione ai procedimenti pendenti a tale data. La possibilità di dichiarare inammissibile il presente motivo di ricorso per c.d. “doppia conforme”, è dunque assoggettata alle condizioni di cui al nuovo testo dell’art. 360, comma 4, cod. proc. civ., come introdotto dall’art. 3, comma 27, lett. a), del già citato d.lgs. n. 149 del 2022, norma che ha effetto a decorrere dal 1° gennaio 2023 e si applica ai giudizi di legittimità introdotti con ricorso notificato a decorrere da tale data.
Il novellato testo del comma 4 dell’art. 360 cod. proc. civ. così recita:
Quando la pronuncia di appello conferma la decisione di primo grado per le stesse ragioni, inerenti ai medesimi fatti, poste a base della decisione impugnata, il ricorso per cassazione può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui al primo comma, numeri 1, 2, 3 e 4. Tale disposizione non si applica relativamente alle cause di cui all’articolo 70, primo comma.
La ricorrente sostiene che la preclusione della doppia conforme opererebbe ormai solo quando
la sentenza di secondo grado sia interamente corrispondente a quella di primo grado
e ciò che sarebbe da escludere nel caso in esame.
Le misure previste dal PNCAR
Sostiene infatti ANAS che mentre la sentenza di primo grado ha escluso che la misura prevista dal Piano Nazionale di Contenimento ed Abbattimento del Rumore (PNCAR), ovvero la posa di pavimentazione fonoassorbente fosse idonea a garantire soddisfazione al diritto dei già attori a non subire immissioni acustiche intollerabili, la sentenza d’appello, ignorando addirittura le prescrizioni del Piano, ha sostenuto che Anas aveva già programmato la posa delle barriere acustiche stradali per cinquecentocinquanta metri lineari della corsia Sud nel tratto E 45, essendosi, poi, determinata ad estendere l’opera nel tratto viario interessato dalle abitazioni degli appellati.
La Corte di Cassazione reputa di doversi esimere dall’affrontare la questione sulla coincidenza, o meno, della nozione di “doppia conforme”, come delineata dall’abrogato art. 348-ter e dal novellato art. 360, comma 4, cod. proc. civ.
In tal proposito valgono infatti le seguenti considerazioni, a cominciare che dal rilievo che il vizio denunciato neppure sembra riconducibile alla fattispecie dell’omesso esame di un fatto, apparendo piuttosto, un errore revocatorio perché la Corte d’appello avrebbe scambiato le misure “de futuro” del PNCAR con quella – ritenuta addirittura “de praeterito” che consiste nella estensione delle barriere acustiche anche nel tratto di strada oggetto del giudizio.
Si rileva dunque che l’ANAS, nel formulare tale censura, non si sia attenuta ai presupposti di ammissibilità individuati dalla giurisprudenza di questa Corte, non avendo precisato dove i temi suddetti siano stato introdotti in primo grado e dove, poi, in appello.
La denuncia del vizio di “omesso esame” esige l’indicazione non solo di quale sia il fatto “omesso”, ma anche del “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, e del “come” e del “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale.
L’omissione di fatto decisivo?
Sempre nei termini di inammissibilità del motivo, bisogna rimarcare il fatto di cui si assume essere stato omesso l’esame, ovvero che anche il tratto di sede stradale interessato dalle abitazioni degli attoiri/appellati formasse oggetto dell’intervento programmato dal PNCAR. Non è tuttavia un fatto che si presenta come “decisivo”, vale a dire “idoneo a determinare un esito diverso della controversia”, essendo a carico del ricorrente dimostrare “il rapporto di derivazione diretta tra l’omesso esame e la decisione, a lui sfavorevole, della controversia”.
Nella fattispecie, ciò che i giudici territoriali hanno rimarcato la non procrastinabilità dell’intervento necessario per contenere le immissioni, senza pertanto dover attendere l’esecuzione delle misure programmate, sulla scorta delle osservazioni formulate dall’Agenzia regionale per la protezione ambientale che, dopo aver “riscontrato livelli di pressione sonora 4 volte superiori al livello massimo consentito”, evidenziava “una situazione di criticità per tutti gli edifici che sono posti entro i 50/60 metri dal limite della carreggiata, con costante superamento del limite assoluto di immissione nel periodo notturno”, concludendo che, “malgrado gli interventi di mitigazione proposti”, quali specificamente la “posa di asfalti fonoassorbenti” e “la posa in opera di barriere fonoisolanti/fonoassorbenti”, si registrasse “il permanere di situazioni non sanate completate”.
L’indifferibilità delle misure imposte per le immissioni acustiche
La stessa ANAS si è d’altronde doluta del fatto che gli indici e i criteri di priorità fissati dal PNCAR non possano essere messi in discussione dal giudice, riferendo, altresì, che all’intervento destinato ad interessare il tratto di strada per cui è giudizio è stato conferito un indice di priorità che è di 497,70, con conseguente posizione in graduatoria nazionale al numero 1567 e in quella regionale al numero 124, finendo poi con il confermare l’indifferibilità delle misure imposte dai due giudici di merito.
Il secondo motivo è invece ritenuto non fondato, come da proposta.
Trova qui applicazione il principio già enunciato dalla stessa Corte secondo cui
l’inosservanza da parte della P.A. delle regole tecniche o dei canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei propri beni può essere denunciata dal privato davanti al giudice ordinario non solo per conseguire la condanna della P.A. al risarcimento dei danni, ma anche per ottenerne la condanna ad un facere, tale domanda non investendo scelte ed atti autoritativi della P.A., ma un’attività soggetta al principio del neminem laedere.
D’altra parte, si osserva ancora, non è certo senza rilievo il fatto che i due giudici di merito si siano astenuti dal sovvertire l’ordine di priorità nell’effettuazione di tale intervento previsto dal PNCAR.
Anche il terzo motivo è ritenuto non fondato, ancora come da proposta.
Su tale punto si rammenta come il sindacato della Corte di legittimità sia destinato ad investire la parte motiva della sentenza solo entro il minimo costituzionale.
Il difetto di motivazione sembra pertanto essere ipotizzabile solamente nel caso in cui la parte motiva della sentenza risulti “meramente apparente”, un’evenienza configurabile quando essa
benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento
o ancora connotata da affermazioni inconciliabili, mentre resta irrilevante il semplice difetto di sufficienza della motivazione, fermo restando in ogni caso la necessità che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata.
Nel caso in esame la motivazione – benché scarna – è del tutto intellegibile, né evidenzia aspetti di irriducibile contraddittorietà o di inconciliabilità logica, sicché il motivo è da rigettare.
Per questi motivi la Corte rigetta il ricorso.