L’espropriazione per pubblica utilità – indice:
L’articolo 42 della Costituzione stabilisce che “La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati. La
proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale”. Nel riconoscere e garantire il diritto di proprietà la Costituzione al contempo ne affievolisce la portata individuando al terzo comma dei limiti. Questi coincidono con la facoltà data allo Stato di espropriarla per motivi di interesse generale. Ulteriori limiti sono individuati all’articolo 43 della Costituzione che individua un’ulteriore ipotesi di espropriazione. Si tratta di quella specificatamente individuata per la collettivizzazione delle imprese.
C’è una vastità di norme relative agli espropri e indennizzi, talvolta anche molto complesse. Per tale motivo ci sono diverse cause che determinano controversie con enti e imprese appaltatrici di opere di pubblica utilità. Il legislatore pone delle norme a tutela dell’espropriato, che avrà modo e interesse ad accertarsi che il provvedimento amministrativo in questione sia assunto in conformità alla normativa vigente e nel rispetto dei principi anche costituzionali fissati.
Le fonti principali che regolano l’espropriazione per pubblica utilità sono il codice civile e il Testo Unico Espropri (D.P.R. 327/2001).
Cos’è l’espropriazione per pubblica utilità
L’espropriazione per pubblica utilità è un istituto giuridico che consente allo stato di trasferire la proprietà privata di un bene nella sfera giuridica propria o di altri quando c’è un interesse pubblico. Tale sacrificio subito dal soggetto espropriato viene ricompensato con una indennità.
Le due norme cardine da cui ha avuto origine l’istituto sono l’articolo 42 della Costituzione, sopra riportato, e l’articolo 834 c.c. Questa seconda norma stabilisce che “Nessuno può essere privato in tutto o in parte dei beni di sua proprietà se non per causa di pubblico interesse, legalmente dichiarata, e contro il pagamento di una giusta indennità. Le norme relative all’espropriazione per causa di pubblico interesse sono determinate da leggi speciali“.
In entrambe le norme emergono i due pilastri dell’espropriazione per pubblica utilità:
- il compito della legge (speciale od ordinaria) di definire i casi in cui può essere utilizzato tale istituto;
- il diritto dell’espropriato di essere equamente indennizzato.
Tali principi sono stati fissati anche dal Testo Unico Espropri all’articolo 2. Tale raccolta normativa è stata introdotta nel 2001 per regolare organicamente l’istituto.
L’espropriazione per pubblica utilità si concretizza con un procedimento la cui messa in atto è affidata alla pubblica amministrazione, con il quale si trasforma così un diritto reale (il diritto di proprietà) in un credito nei confronti dello stato (assolto con l’indennità). La pubblica amministrazione dunque, in virtù di un interesse pubblico, meritevole di maggior tutela, può sacrificare un interesse privato ed esercitare il cosiddetto potere ablatorio.
Opera pubblica e opera di pubblica utilità
L’articolo 1 del T.U. espropri stabilisce che lo stato può espropriare “beni immobili o diritti su tali beni per l’esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità. Si considera opera pubblica o di pubblica utilità anche la realizzazione degli interventi necessari per l’utilizzazione da parte della collettività di beni o di terreni, o di un loro insieme, di cui non è prevista la materiale modificazione o trasformazione”.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha distinto i due concetti di opera pubblica e di opera di pubblica utilità.
La prima si identifica in qualcosa fruibile collettivamente e indistintamente dai cittadini i quali traggono dalla stessa un’apprezzabile utilità. Non persegue inoltre fini commerciali o industriali.
L’opera di pubblica utilità invece è un’opera privata che soddisfa gli interessi di singoli individui ma allo scopo di perseguire un interesse collettivo. Il godimento dell’opera pertanto è individuale e non collettivo.
Con l’espropriazione di pubblica utilità si può affermare dunque che lo stato sottrae ad un soggetto privato o pubblico ed acquisisce a sua volta il diritto di proprietà su un bene immobile o un diritto minore della proprietà sullo stesso alternativamente per:
- realizzare opere pubbliche o di pubblica utilità;
- realizzare l’utilizzazione da parte della collettività di beni o terreni.
Lo fa con un decreto di espropriazione e in cambio concede un indennizzo al soggetto espropriato.
Quali beni possono essere espropriati e quali no
I beni che possono essere oggetto di espropriazione per pubblica utilità sono i beni immobili.
L’art. 4 del T.U. espropri tuttavia cita alcuni beni che non sono espropriabili ed altri che lo sono in condizioni particolari. Si tratta in particolare dei beni:
- appartenenti al demanio pubblico, che non sono espropriabili fino alla loro sdemanializzazione;
- gravati dall’uso civico che non possono essere espropriati o asserviti coattivamente se non viene pronunciato il mutamento di destinazione d’uso, fatte salve le ipotesi in cui l’opera pubblica o di pubblica utilità sia compatibile con l’esercizio dell’uso civico;
- appartenenti al patrimonio indisponibile dello stato o di altri enti pubblici. Questi possono essere espropriati solo se la loro destinazione d’uso è funzionale al soddisfacimento di un interesse pubblico più rilevante di quello assolto con la destinazione precedente;
- di proprietà della Santa sede come elencati agli articoli 1, 14 , 15 e 16 della legge 810/1929 se precedentemente non si stipula un accordo con la stessa;
- i luoghi di culto salvo preventivi accordi con vari istituti religiosi.
Il procedimento di espropriazione per pubblica utilità
Prima del DPR 327/2001 il procedimento di espropriazione era disciplinato da varie norme. Ora invece la sua disciplina è interamente contenuta nel T.U. espropri e si applica a tutte le espropriazioni.
Il procedimento si articola in tre fasi che si concludono o con un contratto di cessione volontaria o con l’adozione di un decreto di esproprio. Queste sono descritte all’art. 8 del T.U. espropri e sono:
- l’effettuazione di un piano di intervento urbanistico da cui risulti l’apposizione al bene da espropriare del vincolo preordinato all’esproprio;
- l’adozione del provvedimento che dispone la dichiarazione di pubblica utilità;
- il calcolo provvisorio dell’indennità di esproprio.
Il vincolo preordinato all’esproprio
La prima fase del procedimento di espropriazione è funzionale all’individuazione del luogo dove dev’essere realizzata l’opera pubblica o di pubblica utilità. L’intenzione di procedere con l’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio dev’essere comunicata con avviso personale al proprietario del bene oggetto di esproprio nelle modalità previste agli artt. 11 e 16 del T.U. espropri.
Il bene diventa vincolato quando, ai sensi dell’art. 10 del T.U., diventa efficace l’atto di approvazione del piano urbanistico generale, ovvero una sua variante, che prevede la realizzazione di un’opera pubblica o di pubblica utilità. Il vincolo dura 5 anni ed entro la loro scadenza dev’essere adottato il provvedimento di pubblica utilità.
L’apposizione del vincolo sembra essere il presupposto necessario affinché la pubblica amministrazione possa procedere all’esproprio. In sua mancanza in realtà il terzo comma dell’articolo 12 del T.U., come integrato dal Dlgs 302/2007, prevede che “Qualora non sia stato apposto il vincolo preordinato all’esproprio la dichiarazione di pubblica utilità diventa efficace al momento di tale apposizione a norma degli articoli 9 e 10”. In altre parole significa che il vincolo può essere apposto anche dopo l’adozione del provvedimento che dichiara la pubblica utilità. Questo tuttavia rimarrà inefficace fino a quel momento.
La dichiarazione di pubblica utilità
Con la dichiarazione di pubblica utilità il diritto di proprietà sui beni da espropriare si affievolisce e diventa interesse legittimo. È pertanto indispensabile che una tale degradazione dipenda da un interesse collettivo rilevante.
Tale dichiarazione, come già accennato, dev’essere assunta entro 5 anni dall’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio. Questa si considera assunta, ai sensi dell’art. 12 T.U. espropri quando:
- l’autorità espropriante approva a tale fine il progetto definitivo dell’opera pubblica o di pubblica utilità, ovvero quando sono approvati il piano particolareggiato, il piano di lottizzazione, il piano di recupero, il piano di ricostruzione, il piano delle aree da destinare a insediamenti produttivi, ovvero quando è approvato il piano di zona;
- in ogni caso, quando in base alla normativa vigente equivale a dichiarazione di pubblica utilità l’approvazione di uno strumento urbanistico, anche di settore o attuativo, la definizione di una conferenza di servizi o il perfezionamento di un accordo di programma, ovvero il rilascio di una concessione, di una autorizzazione o di un atto avente effetti equivalenti.
Il provvedimento che dispone la pubblica utilità dell’opera, ai sensi del primo comma dell’art. 13 T.U. espropri, può essere emanato fino a quando non sia decaduto il vincolo preordinato all’esproprio. Nel provvedimento che comporta la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera può essere stabilito il termine entro il quale si debba emanare il decreto di esproprio.
Il calcolo provvisorio dell’indennità di espropriazione e il decreto
L’articolo 20, primo comma, del T.U. espropri dispone che “Divenuto efficace l’atto che dichiara la pubblica utilità, entro i successivi trenta giorni il promotore dell’espropriazione compila l’elenco dei beni da espropriare, con una descrizione sommaria, e dei relativi proprietari, ed indica le somme che offre per le loro espropriazioni“.
Una volta che si è proceduto con la notifica a ciascun interessato dell’elenco e una volta data la possibilità a ciascuno di integrare documenti od osservazioni scritte l’autorità espropriante procede alla loro valutazione. Se lo ritiene opportuno, la pubblica autorità procede ad accertare, anche con l’ausilio di altri uffici, il valore dell’area e a determinare in via provvisoria la misura della indennità di espropriazione. L’importo viene comunicato al proprietario e al beneficiario dell’esproprio nelle forme previste degli atti processuali civili.
Se il proprietario accetta l’ammontare così determinato dell’indennità di espropriazione ammette l’autorità espropriante a procedere con l’immissione nel possesso. Riceverà pertanto l’80% dell’indennità lui dovuta dopo aver depositato la dichiarazione sulla piena e libera proprietà del bene entro 60 giorni dall’accettazione dell’importo dell’indennità. Una volta corrisposta l’indennità si possono verificare due ipotesi:
- il proprietario e il beneficiario, d’accordo sull’ammontare dell’indennità, stipulano un contratto di cessione volontaria;
- viene emesso e reso esecutivo il decreto di esproprio se il proprietario si rifiuta di stipulare l’atto di cessione ovvero se aveva omesso l’esistenza di diritti di terzi sul bene oppure su iniziativa del beneficiario dell’esproprio.
I criteri per valutare la legittimità di un provvedimento di espropriazione per pubblica utilità
Un bene immobile può essere espropriato solo nei casi in cui vi sia un interesse pubblico superiore sotteso. Quando un bene, o nel caso di un terreno, anche una parte di esso, viene espropriato, diventa proprietà dello Stato e il cittadino, nel corso di un procedimento amministrativo ablatorio, ne perde definitivamente la proprietà.
Al cittadino espropriato spetta solo il diritto di controllare la regolarità del procedimento attraverso il quale è privato di un proprio diritto. Ciò nonostante sono frequenti nella pratica casi in cui, anche a seguito di un esproprio, enti come ad esempio i Comuni continuino a richiedere le imposte, come ad esempio ICI / IMU, come conseguenza al mancato aggiornamento dei dati e delle intestazioni catastali relative ai beni immobili espropriati. In questi casi è compito del catasto aggiornare le relative particelle di proprietà, il proprietario espropriato può quindi richiedere sia l’aggiornamento che il rimborso delle imposte versate ingiustamente.
Nell’ambito dei provvedimenti di espropriazione, il legislatore e la giurisprudenza prevedono dei necessari presupposti in difetto dei quali il provvedimento deve ritenersi illegittimo. Il primo passo del procedimento di espropriazione, come si diceva, è l’apposizione del vincolo sul bene. Questa può avvenire per disposizioni del piano urbanistico generale e o per varianti allo stesso. Possono poi essere previsti altri provvedimenti di natura territoriale, accordi di programma e così via.
I criteri per la determinazione del giusto indennizzo
Una volta definita la pubblica utilità, chi promuove l’espropriazione deve compilare un elenco dei beni con i relativi proprietari. Per ogni proprietà deve essere quantificato l’ammontare dell’indennità prevista dal provvedimento. Non si tratta né di un prezzo né di un risarcimento per eventuali danni arrecati alla proprietà, bensì di un “indennizzo”, che è sicuramente inferiore rispetto al prezzo commerciale del bene espropriato. Chi espropria determina un valore del bene, il proprietario ha un periodo di tempo di 60 giorni per condividere ed aderire a quanto stabilito dall’autorità procedente o per opporsi e fare ricorso.