La Corte di Cassazione ha recentemente pronunciato una sentenza che apporta un interessante chiarimento in materia di mantenimento dei diritti alla fruizione dei tre giorni di permesso retribuito ex l. 104/92 anche nel caso in cui il proprio rapporto di lavoro sia trasformato da full time a part time, sancendo così la supremazia dell’interesse ad assistere un familiare affetto da gravi handicap.
Permessi legge 104/92 in caso di part time
L’articolo 33, comma 3, della legge 104/92, riconosce il diritto a fruire di tre giorni di premesso retribuito mensili per poter assistere un familiare affetto da handicap.
Ebbene, con la sentenza n. 22925 la Corte di Cassazione ha compiuto un deciso chiarimento sulla possibilità di fruire di tali permessi anche in caso di trasformazione del rapporto di lavoro da full time a part time, stabilendo che il lavoratore ne ha comunque diritto anche nell’ipotesi in cui il proprio contratto sia stato cambiato, con riduzione dell’orario di lavoro a tempo parziale.
Per la Cassazione, infatti, la riduzione dell’orario di lavoro che è intervenuta nel contesto di un rapporto avviato con un orario a tempo pieno non può incidere rispetto alla possibilità di fruire dei permessi ex legge 104 per assistere un familiare portatore di disabilità. Tra i due interessi, per gli Ermellini non può che prevalere quello legato alla necessità di assicurare la continuità nell’assistenza del disabile in ambito familiare.
La sentenza della Corte
Con tale sintesi di fondo, la sentenza n. 22925 della Suprema Corte non può che rappresentare una sorta di innovazione nel panorama giurisprudenziale interno, visto e considerato che la pronuncia depositata lo scorso 28 settembre è la prima ad affermare in maniera così esplicita il diritto a mantenere per intero la fruizione dei tre giorni di permesso al mese (previsti dalla legge 104/1992), anche nell’ipotesi di trasformazione del proprio rapporto di lavoro da full time a part time.
La Corte precisa infatti che l’interesse a usufruire dei permessi non può essere compresso dalla successiva riduzione del monte ore lavorativo, e che dunque i tre giorni di permesso mensile retribuito, cui hanno diritto i lavoratori che assistono un familiare con handicap in situazione di gravità, è uno strumento di politica socio-assistenziale che ha le sue basi direttamente nella Carta Costituzionale, in quanto misura diretta alla tutela della salute del disabile in ambito familiare.
In tale contesto di riferimento, precisa la Corte, non potrà che essere verificato se la trasformazione in part time del rapporto di lavoro a tempo pieno possa o meno condurre al riproporzionamento dell’entità dei permessi mensili di cui è legittimato a fruire il lavoratore che assiste una persona colpita da condizione di handicap.
Ancora, a confermare ulteriormente la sussistenza del diritto da parte del lavoratore a conservare in maniera integrale il numero dei giorni mensili di permesso previsti dalla legge 104/92, vi è stato anche l’esplicito richiamo dei giudici della Corte al divieto di procedere a discriminazioni tra lavoratori a tempo pieno e lavoratori a tempo parziale, già sancito tra le altre norme dall’allora vigente articolo 4, comma 2, Dlgs 25 febbraio 2000 n. 61.
Proprio sulla base di tale norma, la Suprema Corte ha prodotto una distinzione generale tra gli istituti che hanno una connotazione espressamente patrimoniale, e rispetto ai quali è ben ammesso il riproporzionamento verso il basso, e gli istituti che invece sono riconducibili alla fruizione di diritti che non sono strettamente patrimoniali, rispetto ai quali opera il divieto di ridurre il contenuto della prestazione per effetto del regime orario a part time.
Intuibilmente, i permessi ex l. 104/92 devono essere collocati in questa seconda categoria (quella, per intenderci, dei diritti non strettamente patrimoniali), trattandosi di benefici previsti per assistere familiari con handicap in situazione di gravità. La conseguenza di quanto sopra è che rispetto a tali permessi non può operare il principio del riproporzionamento collegato alla riduzione dell’orario ordinario di lavoro.
L’interesse del datore di lavoro
A margine delle motivazioni di cui sopra, la Corte dimostra di occuparsi e preoccuparsi anche degli interessi del datore di lavoro e, in particolar modo, del fatto che la fruizione
integrale dei permessi ex l. 104 /92 non vada a tradursi in un sacrificio “irragionevole” a carico dell’azienda.
Per questo motivo, la Corte giunge alla conclusione per cui la riduzione dell’entità dei permessi per assistenza del familiare disabile non trova luogo nell’ipotesi in cui il part time preveda un’articolazione oraria superiore al 50% rispetto al tempo pieno, laddove viene ritenuta legittima una proporzionata riduzione dei tre giorni mensili di permesso per assistere il portatore di handicap se la misura del part time è inferiore a tale soglia percentuale.