La sospensione dell’assegno di separazione – indice:
La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 23322/2017, ha rigettato la richiesta di una donna separata che domandava l’aumento dell’assegno dell’ex coniuge. I giudici della Suprema Corte hanno infatti affermato che la donna non aveva diritto di richiedere l’aumento dell’assegno per intervenuta malattia, se tale patologia è precedente alla separazione e non le impedisce comunque di lavorare.
Ma vediamo di ricostruire la vicenda, e le motivazioni che hanno condotto gli Ermellini a formulare una singola pronuncia.
Un procedimento di modifica delle condizioni di separazione consensuale
La Corte d’Appello di Ancona aveva respinto il reclamo della donna, già respinto in primo grado dal Tribunale di Fermo, che ha negato la modifica delle condizioni della separazione consensuale, omologata dallo stesso Tribunale, disponendo la sospensione dell’assegno per la moglie sino alla cessazione da parte di quest’ultima dell’attività lavorativa svolta.
In quella occasione la Corte di merito aveva osservato come la malattia della donna si fosse manifestata già prima della separazione. La domanda di invalidità civile era stata proposta prima dell’omologa della separazione, la malattia allo stato non le impediva di prestare attività lavorativa ed era corretta la statuizione del Tribunale di Fermo circa la sospensione dell’assegno, così come l’assegno per il figlio, valutato che non erano stati rilevati elementi sopravvenuti altresì considerato il breve lasso temporale intercorso.
Dinanzi a tale valutazione la donna ha dunque proposto ricorso in Cassazione.
La sentenza della Cassazione: l’assegno non dovuto dal coniuge
Nelle sue motivazioni la Cassazione ha innanzitutto ricordato per poter validamente richiedere la revisione delle condizioni della separazione personale occorre la rappresentazione di “fatti diversi o nuovi“. Nel caso in esame, invece, la stessa donna indica passi della CTU dove viene rilevato che a seguito del ricovero ospedaliero era stata diagnosticata “una predominante componente miofasciale”, che è cosa diversa dal rilevare che invece la malattia sia insorta dopo la separazione. Inoltre, la parte – sottolinea ancora la Cassazione – avrebbe dovuto allegare e far valere nel giudizio di merito l’incidenza della malattia sulla capacità lavorativa. Come rilevato dalla Corte d’appello invece, la donna ha continuato a svolgere la propria attività lavorativa presso un Comune. Per il titolo professionale posseduto, avrebbe comunque potuto svolgere attività per i privati.
Insomma, la donna non aveva alcun titolo per richiedere l’aumento dell’assegno per malattia, considerato che questa è stata precedente alla separazione e che questa non le ha impedito comunque di lavorare.
L’orientamento giurisprudenziale in questione è in linea con quelli “più restrittivi” in essere in riferimento al versamento di assegni fra coniugi. L’orientamento più recente delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione ha infatti stretto le maglie sul riconoscimento e la quantificazione dell’assegno divorzile all’ex coniuge. La sentenza in commento oggi prosegue in questo senso: maggiore attenzione nel riconoscimento di diritti patrimoniali in favore del coniuge separato e soprattutto dell’ex coniuge.
Ad avviso delle più recenti Sezioni Unite, è in primo luogo necessario vagliare la susssitenza di un diritto di questo tipo. Solo in un secondo momento quantificarlo sulla base di parametri più restrittivi.
Avv. Bellato – diritto di famiglia e matrimoniale, separazione e divorzio