Il concordato preventivo e lo stato di crisi – indice:
- Cos’è il concordato preventivo
- Lo stato di crisi
- La riduzione del patrimonio netto al di sotto del minimo legale
Il concordato preventivo è lo strumento giudiziale con cui si cerca di risolvere una crisi mediante un accordo con i creditori, destinato ad essere perfezionato sotto la “protezione” del tribunale ed evitando quindi il fallimento.
Ma chi può ricorrere a questo strumento giudiziale? Quali sono i presupposti? E quali le caratteristiche?
Iniziamo con oggi una serie di approfondimenti dedicati a questo tema, occupandoci del principale presupposto del concordato preventivo: lo stato di crisi.
Il concordato preventivo nella legge fallimentare
Introdotto dall’art. 160 l.f., il concordato preventivo viene inquadrato nella legge fallimentare all’interno del Titolo III, dedicato non solamente a questo strumento di risoluzione giudiziale della crisi, quanto anche agli accordi di ristrutturazione.
Afferma l’articolo che:
L’imprenditore che si trova in stato di crisi può proporre ai creditori un concordato preventivo sulla base di un piano che può prevedere:
- a) la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei beni, accollo, o altre operazioni straordinarie, ivi compresa l’attribuzione ai creditori, nonché a società da questi partecipate, di azioni, quote, ovvero obbligazioni, anche convertibili in azioni, o altri strumenti finanziari e titoli di debito;
- b) l’attribuzione delle attività delle imprese interessate dalla proposta di concordato ad un assuntore; possono costituirsi come assuntori anche i creditori o società da questi partecipate o da costituire nel corso della procedura, le azioni delle quali siano destinate ad essere attribuite ai creditori per effetto del concordato;
- c) la suddivisione dei creditori in classi secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei;
- d) trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse.
La proposta può prevedere che i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, non vengano soddisfatti integralmente, purché il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione indicato nella relazione giurata di un professionista in possesso dei requisiti di cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d). Il trattamento stabilito per ciascuna classe non può avere l’effetto di alterare l’ordine delle cause legittime di prelazione.
Ai fini di cui al primo comma per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza.
In ogni caso la proposta di concordato deve assicurare il pagamento di almeno il venti per cento dell’ammontare dei crediti chirografari. La disposizione di cui al presente comma non si applica al concordato con continuità aziendale di cui all’articolo 186-bis.
Notiamo fin da questa parte introduttiva che il concordato preventivo contempla come presupposto, anziché lo stato di insolvenza, quello di “crisi”. In altri termini, come avremo modo di vedere nel prossimo paragrafo, si può ricorrere al concordato non solamente quando vi è la decozione totale dell’imprenditore, poiché è sufficiente una situazione economica negativa che faccia emergere le difficoltà dell’impresa nel soddisfare i suoi creditori.
Lo stato di crisi nel concordato preventivo
Come abbiamo anticipato poche righe fa, il presupposto del concordato preventivo, stando a quanto suggerisce l’art. 160 l.f., è lo stato di crisi. Ma cosa si intende per “stato di crisi”?
Sicuramente, rientra in questa etichetta lo stato di insolvenza. Tuttavia, se l’insolvenza è una manifestazione della crisi, non tutte le crisi sono necessariamente riconducibili all’insolvenza. In particolar modo, rientra in questo concetto una più generale “temporanea difficoltà di adempiere” e, soprattutto, il rischio di insolvenza (che è ovviamente diverso dallo stato di insolvenza già emersa), il sovraindebitamento e la riduzione del patrimonio netto al di sotto del minimo legale. Vediamoli nel dettaglio.
Rischio di insolvenza
Il rischio di insolvenza sussiste quando l’imprenditore, pure essendo in grado di adempiere ai debiti scaduti (si pensi a quelli con i dipendenti, i fornitori, il fisco, ecc.), è prevedibile che non sarà più in grado di farlo nel prossimo futuro, magari a causa di una eccessiva concentrazione di scadenze (una maxi rata di leasing, un mutuo, e così via).
Sebbene lo stato di crisi in questo caso non sia ancora emerso, il legislatore ha ritenuto utile ricondurre una simile ipotesi all’interno del presupposto oggettivo del concordato preventivo, “premiando” (il virgolettato è d’obbligo) il debitore che denuncia tempestivamente le proprie difficoltà, al fine di evitare un suo aggravamento e consentire sia la conservazione dei suoi complessi produttivi, sia il soddisfacimento dei creditori.
Alla luce di ciò, il rischio di insolvenza è ben in grado di rientrare all’interno delle definizioni utili per lo stato di crisi.
Sovraindebitamento
Il sovraindebitamento è una situazione di sbilancio patrimoniale con caratteristiche diverse da quelle tipiche dell’insolvenza. L’insolvenza implica infatti uno squilibrio tra la liquidità / credito da un lato, e i debiti esigibili dall’altro. Il sovraindebitamento implica invece uno squilibrio di natura patrimoniale, ovvero un’eccedenza del passivo sull’attivo. Lo sbilancio patrimoniale, se non viene tempestivamente fronteggiato mediante operazioni di ricapitalizzazione o finanziamenti sostitutivi di apporti di capitale, può mettere a rischio il soddisfacimento dei creditori.
Riduzione del patrimonio netto al di sotto del minimo legale
La riduzione del patrimonio netto al di sotto del minimo legale è un’ipotesi ancora diversa dallo sbilancio patrimoniale che qualche riga fa abbiamo avuto modo di contemplare. Si tratta infatti di una causa di scioglimento della società, che non può essere fronteggiata con finanziamenti sostitutivi di apporti di capitale (che invece possono essere utili per poter porre rimedio a squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto), ma solo con operazioni di ricapitalizzazione o con la trasformazione della società.
In caso contrario – d’altronde, i soci non possono essere costretti a ricapitalizzare o trasformare la società! – si rischia infatti di procedere verso la liquidazione, con conseguente rischio per il soddisfacimento dei creditori. In quest’ottica, sembra ammissibile la configurazione di una situazione di crisi, con conseguente sottoposizione potenziale in concordato.
Non sembra invece poter essere ricondotta all’interno del presupposto oggettivo del concordato lo stato di perdita di capacità reddituale, che è più che altro figlio di una condizione di declino, piuttosto che di crisi. In altri termini, una procedura concorsuale come quella del concordato preventivo non può certamente essere utilizzata e strumentalizzata per poter far pagare ai creditori il recupero della redditività.