La proposta e il piano di concordato preventivo – indice:
L’art. 160, comma 1, lett. a) della Legge fallimentare, prevede che il debitore possa proporre ai propri creditori un piano che preveda la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei creditori mediante qualsiasi forma, scongiurando dunque il fallimento.
Ma in che modo la legge disciplina tale proposta di concordato preventivo? E quali caratteristiche deve avere il piano di concordato preventivo?
Differenze tra proposta e piano
In primo luogo, cerchiamo di effettuare una distinzione di significati, considerato che apparirà presto molto evidente che proposta e piano hanno diverse interpretazioni.
In particolar modo, la proposta consiste sostanzialmente nel contenuto negoziale del concordato, mentre il piano ha la diversa funzione di illustrare la descrizione analitiche delle modalità e dei tempi con cui verrà adempiuta la proposta. Saranno proprio gli assunti del piano di concordato preventivo a dover essere attentamente valutati dall’attestatore in punto di fattibilità, e la sua redazione dovrà essere conforme ai principi della tecnica aziendale.
Considerato che si tratta di due elementi totalmente distinti, non è possibile certamente affermare che uno sia più importante dell’altro. Appare però veritiero che il legislatore abbia inteso far assumere un ruolo centrale al piano, con il quale il proponente si prefigge di poter risolvere la crisi di impresa mediante ristrutturazione dei debiti e soddisfazione dei crediti.
Il contenuto della proposta di concordato preventivo
Chiarito quanto precede, giova prolungare la conclusione del paragrafo precedente ricordando che il proponente il concordato preventivo ha l’obiettivo di risolvere la crisi di impresa mediante il ricorso (non sempre sostitutivo, bensì spesso contemporaneo) alla ristrutturazione dei debiti e alla soddisfazione dei crediti. Ma cosa significa?
Anche in questo caso, i due termini hanno un significato profondamente diverso. Ristrutturare un debito non significa estinguerlo o stralciarlo, ma solamente modificarne l’importo, la scadenza, il piano di ammortamento, le garanzie e altre caratteristiche, generalmente in linea con gli auspici di una ripresa della propria attività caratteristica.
Il contenuto della proposta determina pertanto in che modo sarà possibile procedere a una diversa classificazione del concordato, come concordato con continuità aziendale, o come concordato liquidatorio, ferma restando la possibilità di poter proporre all’ammissione un concordato misto. In maniera speculare, peraltro, il piano può essere un vero e proprio piano industriale di risanamento, volto a perseguire il recupero dell’equilibrio economico, oppure limitarsi a rendere conto della sostenibilità delle prospettazioni del debitore sulla percentuale di pagamento dei crediti chirografari, conseguibile con la provvista che potrebbe essere ottenuta mediante la cessione delle attività, sia in forma aggregata (come cessione dell’intera azienda o di suoi rami) sia in forma atomistica (con cessione separata dei singoli beni).
Per quanto invece riguarda le varie misure del piano industriale di risanamento, si pensi all’abbandono dei settori di attività che vengono ritenuti non più redditizi, alla riduzione del personale, alla sostituzione di figure manageriali al vertice dell’organizzazione, alla cessione di asset che non sono più considerati come strategici, all’ingresso in nuovi mercati, all’inserimento di nuovi prodotti, a nuovi investimenti in impianti e in attrezzature che possano permettere un recupero della produttività, e così via.
La soddisfazione dei creditori nella proposta di concordato preventivo
Stando alla finalità della proposta, la soddisfazione dei creditori può avvenire con modalità profondamente diverse, che possono andare dal semplice pagamento – anche dilazionato – di una somma di denaro (ricavata dalla liquidazione dei beni in caso di dismissione, oppure di flussi di liquidità che vengono generati dalle attività caratteristiche dell’impresa, determinate dalla continuità aziendale) a forme ben più complesse, come per esempio l’attribuzione di una partecipazione nella società oggetto di risanamento o di una nuova società che si è resa assuntrice del concordato.
Proprio tale ultima ipotesi è quella avvenuta nel concordato del gruppo Parmalat, sicuramente uno dei casi industriali più celebri degli ultimi 20 anni, nel quale tutti i creditori delle diverse società del gruppo alimentare italiano sono divenuti azionisti della nuova società che è stata assuntrice del concordato, ottenendo un numero di azioni proporzionale al rapporto di recupero dato dal rapporto fra attivo e passivo delle singole società assoggettate alla procedura prevista dalla legge Marzano.
Tornando al focus odierno, si rammenta come l’art. 160, comma 1, della Legge Fallimentare, fin dal suo esordio contenga un elenco sintetico ed esemplificativo di quali siano le misure che possono essere adottate per poter perseguire l’obiettivo della ristrutturazione dei debiti e della soddisfazione dei crediti.
L’utilità individuata per ciascun creditore
Ad ogni modo, qualunque sia il contenuto della proposta, la legge Fallimentare indica come essa debba indicare l’utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile che il proponente si obbliga ad assicurare a ciascun creditore. Si tenga conto che il riferimento al concetto di utilità non è casuale: si tratta infatti di un termine che richiama alla mente un valore più ampio rispetto a quello di soddisfazione che si sarebbe potuto ipotizzare di inserire nella norma richiamata, e che permette pertanto di poter ricondurre – ad esempio – anche l’utilità derivante dalla certezza dei tempi di esecuzione della proposta.
Non solo: si tenga anche conto che, così come è formulata, la norma indica come la proposta debba avere un contenuto minimo obbligatorio, da variare a seconda del contenuto concreto della proposta, che dovrà essere vagliato dall’attestatore del piano in punto di fattibilità, con la conseguenza che il suo inadempimento potrà determinare la risoluzione del concordato già omologato.