La Corte di Cassazione è appena intervenuta sulla necessità o meno di pagare la tassa rifiuti nel caso in cui l’immobile sia inutilizzato, giungendo a considerare che il contribuente che nella richiesta di esclusione del pagamento della Tia (tassa di igiene ambientale) indica l’inutilizzo dei locali del proprio immobile, non occupati e privi dei servizi essenziali, e dunque non idonei alla produzione di rifiuti, non è tenuto al versamento della stessa.
Con sentenza n. 13120/2018 la Suprema Corte, sezione tributaria, afferma inoltre come non sia necessario che la richiesta venga ripetuta ogni anno. In altre parole, una volta che è stata presentata, è necessario presentare la richiesta solamente se si sono verificati dei cambiamenti nella situazione precedente, poiché affermare una condizione contraria a ciò significherebbe condurre un aggravio per il contribuente, appesantendolo di un onere inutile e irragionevole, non funzionale rispetto a una corretta definizione dell’imposta.
Immobile inutilizzato non può produrre rifiuti
Per comprendere come la Suprema Corte sia arrivata alle conclusioni che tra breve approfondiremo, giova cercare di rammentare brevemente quale sia lo sviluppo della vicende, con il contribuente che lamenta l’illegittimità dell’applicazione della tariffa, essendo l’immobile inutilizzato. Secondo il contribuente, con una tesi poi accolta, l’immobile non utilizzato, documentalmente provato, sarebbe incapace di produrre rifiuti e, di conseguenza, farebbe venire meno il presupposto impositivo.
La tesi, accolta in primo grado, è poi stata confermata in appello dalla Commissione tributaria regionale, secondo cui era stato riconosciuto correttamente nella “disponibilità di locali idonei alla produzione di rifiuti” il presupposto della TIA. Nella fattispecie, l’immobile aveva da tempo perso l’idoneità a produrre rifiuti a causa dell’assenza di servizi essenziali e della mancata occupazione.
La Commissione, nella propria pronuncia, ha poi precisato che questa circostanza era stata sufficientemente e adeguatamente documentata dalla presenza della richiesta di esclusione della tariffa, che però non era stata ripetuta l’anno successivo, come invece era stato richiesto dal regolamento comunale in materia.
La mancata ripetizione della richiesta, per quanto fosse contraria a quanto stabilito dal regolamento comunale, è stata però ritenuta come un’incombenza eccessiva dai giudici tributari, che ne hanno sottolineato la contrarietà alla normativa statale sul punto, e allo Statuto del contribuente.
Pertanto, la Commissione ha ritenuto che anche in mancanza di questa comunicazione il contribuente possa ben dimostrare che la situazione precedentemente dichiarata abbia continuato a sussistere anche per l’anno successivo a quello cui si riferisce la pretesa impositiva.
Con il ricorso in Cassazione contro una simile decisione, da parte della società di gestione del servizio della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani del Comune, si giunge così alla pronuncia dei giudici della Suprema Corte.
Immobile vuoto e privo di servizi essenziali non è assoggettato a TIA
Secondo gli Ermellini, la pronuncia della Commissione tributaria regionale è corretta sotto diversi punti valutativi.
Innanzitutto, i giudici della Corte ricordano come la sentenza abbia congruamente affermato che i locali non avevano al tempo l’idoneità alla produzione dei rifiuti per assenza dei servizi essenziali e risultavano in effetti non occupati. La sentenza ha dunque ritenuto che
l’inidoneità alla produzione dei rifiuti, il cui onere della prova è stato correttamente posto a carico del ricorrente, dipendesse proprio dall’assenza dei servizi essenziali (ossia da obiettive condizioni di non utilizzabilità, come previsto dalla norma) e che la non occupazione dei locali fosse solo la conseguenza dell’assenza di tali servizi.
Ancora, ragionando su altro motivo di impugnazione gli Ermellini evidenziano come la sentenza abbia dato una interpretazione condivisibile e ragionevole quando ha ritenuto che le comunicazioni sull’inidoneità del locale alla produzione dei rifiuti debbano avvenire solamente quando vi siano delle variazioni, e non necessariamente ogni anno. Del resto,
la sentenza spiega che il contribuente ha dimostrato documentalmente che la condizione di mancato utilizzo continua a persistere senza variazioni anche (nell’anno successivo, ndr) per cui risulta adeguatamente dimostrata l’assenza del presupposto impositivo. Lo stesso art. 70 del d.lgs. n. 507 del 1993, la cui violazione è sostenuta dal ricorrente, afferma proprio testualmente che la denuncia ha effetto anche per gli anni successivi, qualora le condizioni di tassabilità siano rimaste invariate, che è proprio la tesi sostenuta dai giudici della Commissione tributaria regionale.
In altri termini, per gli Ermellini il fatto che l’imposta sia calcolata assumendo come base impositiva l’anno solare non implica come necessaria conseguenza che le denunce di variazione abbiano tale stessa cadenza in quanto non vi è ragionevolmente alcun bisogno che questa denuncia si faccia, se non si è verificato alcun cambiamento.
Infine, la Cassazione ha ritenuto come l’interpretazione fornita dalla CTR non sia in grado di ledere le prerogative delle autonomie locali, poiché l’imposta in questione, la TIA, va pur sempre a beneficio dell’ente comunale, il quale tuttavia non può pretendere di dettare specifiche regole (come ad esempio l’obbligo di denuncia annuale anche nell’ipotesi in cui non vi siano variazioni da comunicare) a meno che non rispondano a reali esigenze impositive, e che quindi, oltre ad andare contro i principi dettati dallo Statuto del contribuente, non rispondano nemmeno a criteri di ragionevolezza.