Indice:
- Quando l’adozione
- Le condotte pregiudizievoli
- Il ruolo dei servizi sociali
- Definizione di stato di abbandono
- La valutazione di idoneità del genitore
- Le patologie “psichiche”
- Il nesso di causalità
- I principi di diritto
In tema di adozione del minore, il giudice che dovrà valutare lo stato di abbandono – quale presupposto per la dichiarazione dello stato di adottabilità – dovrà compiere un’attenta analisi, specifica e attuale, basata su indagini e approfondimenti concreti (e non riferiti, ad esempio, alla situazione passata). Il fine è quello di comprendere (anche) lo stato psicologico del minore, la sua evoluzione, la presenza di problematiche non superate, gli eventuali rischi di una regressione o di un peggioramento. Dunque, un quadro di osservazione che va ben al di là della mera capacità del genitore, e che ha trovato non remota conferma d’approccio nella nota sentenza n. 22933/2017 da parte della Corte di Cassazione.
Giova dunque riassumere i passaggi principali di questa sentenza, al fine di comprendere quali devono essere le valutazioni rimesse all’analisi del giudice.
Adozione come extrema ratio
La Corte d’appello di Palermo, riforma la pronuncia del Tribunale per i minorenni della stessa città. Il Tribunale dei minorenni adito aveva infatti ritenuto il genitore della minore, per le patologie da cui era affetto, non consapevole dei bisogni della figlia e delle necessità di cura ed accudimento della stessa. Ha dunque revocato lo stato di adottabilità della minore, già disposto con la sentenza di primo grado, affermando che
alla luce dell’eccezionalità della misura dell’adozione (l’extrema ratio) e dell’obbligatorietà, da parte delle istituzioni, della messa in campo delle misure di sostegno alla genitorialità, non poteva più ritenersi sussistente lo stato di abbandono, nel caso esaminato.
Le condotte pregiudizievoli a danno del minore
Ricordiamo che la sentenza di primo grado era stata impugnata dal genitore, il quale aveva lamentato che nel corso del procedimento non erano emerse presunte sue condotte pregiudizievoli nei confronti della minore ma, al contrario, la cura tenuta verso la figlia (sia nei periodi in cui la madre era assente (per i ricoveri da patologie psichiatriche che l’affliggevano) e sia quando la minore era stata trasferita, nella prima fase, in una comunità), e che la patologia psichiatrica, da cui pure lui era affetto (una “psicosi schizofrenica cronica paranoidea” di tipo lieve), non avrebbe inciso sulla sua idoneità genitoriale.
Compiendo il nuovo accertamento dei fatti la Corte territoriale rovesciava a sua volta la sua precedente valutazione e concludeva affermando che gli elementi evidenziati dal primo giudice erano generici e lacunosi. In particolare, la malattia non poteva rilevare di per sè e, comunque, era di grado lieve sicchè essa poteva avere una effettiva incidenza nella specie solo ove ne fosse stata accertata l’interferenza con i doveri di “accudimento e cura della prole”, cosa che non sarebbe emersa in modo puntuale riguardo ai fatti osservati, risultando solo “scarne e poco approfondite” valutazioni espresse dagli operatori che non escluderebbero una “insuperabile incapacità di garantire alla minore le cure primarie” da parte del genitore.
Il ruolo dei servizi sociali
La CTU aveva inoltre concluso la possibilità di favorire l’empowerment delle competenze genitoriali necessarie al genitore mediante il supporto dei servizi sociali ed una sua “presa in carico psico-sociale” da parte dei servizi di salute mentale, unitamente all’affidamento temporaneo etero-familiare della minore, con possibilità di avere con lei contatti costanti e regolati, costituiva la ragione della diversa conclusione raggiunta dai giudici in ordine all’esclusione dello stato di abbandono.
In sostanza
il sincero e solido legame affettivo del padre con la minore, e la volontà di mantenere con lei un rapporto genitoriale, poteva costituire il motore del suo nuovo atteggiamento ed il catalizzatore di quella collaborazione che gli richiedeva la gestione del suo rapporto con la figlia, in un ambito allargato e con la presenza di più attori legittimati ad interloquire.
Contro tale sentenza propongono ricorso in Cassazione l’avvocato della tutrice provvisoria della minore e il Procuratore generale presso la Corte d’appello di Palermo, mentre il genitore resiste con controricorso.
Lo stato di abbandono del minore
Nell’attenta e approfondita analisi del complesso caso, la Corte rammenta innanzitutto come abbia già affermato (sentenza n. 8527/2006) il principio di diritto secondo cui,
“perché si realizzi lo stato di abbandono che giustifica la dichiarazione di adottabilità di un minore, devono risultare, all’esito di un rigoroso accertamento, carenze materiali ed affettive di tale rilevanza da integrare, di per sè, una situazione di pregiudizio per il minore, tenuto anche conto dell’esigenza primaria che questi cresca nella famiglia di origine, esigenza che non può essere sacrificata per la semplice inadeguatezza dell’assistenza o degli atteggiamenti psicologici e/o educativi dei genitori, con la conseguenza che, ai fini della dichiarazione di adottabilità, non basta che risultino insufficienze o malattie mentali dei genitori, anche a carattere permanente, essendo in ogni caso necessario accertare se, in ragione di tali patologie, il genitore sia realmente inidoneo ad assumere e conservare piena consapevolezza dei propri compiti e delle proprie responsabilità e ad offrire al minore quel minimo di cure materiali, calore affettivo e aiuto psicologico indispensabili per un’equilibrata e sana crescita psicofisica”.
Come deve essere svolta la valutazione di idoneità del genitore
Considerato quanto sopra, gli Ermellini aggiungono come sia certo che la tale valutazione di idoneità del genitore ad assicurare il minimo esigibile nei confronti del figlio minore deve essere, necessariamente, compiuta attraverso un controllo della relazione intrafamiliare e non già esclusivamente sulla persona dell’unico genitore avente qualche risorsa educativa (il padre).
In tale ambito la Suprema Corte conferisce ragione alla parte ricorrente, che lamenta come l’accertamento sulla capacità genitoriale sia stata inefficacemente eseguito osservando la figura del padre della minore, senza che sia stata tenuto in debito conto anche lo stato psichico e comportamentale della minore (già affetta da ritardo psicomotorio, disturbi gravi dell’attenzione e del linguaggio, iperattività e i disturbi dismorfici), registrandone le cause, i progressi (o regressi) compiuti e, soprattutto, la possibilità – nel contesto familiare monoparentale – di poter conseguire quella crescita minima necessaria per il raggiungimento della sua autonomia e per la sua collocazione nella società nella quale essa vive.
La valutazione di un eventuale quadro patologico pregresso
La bambina, infatti, risultava aver avuto (se non ha ancora in atto) seri problemi psico-patologici, quali il non uso del linguaggio, l’emissione di suoni al posto delle parole, l’espressione a gesti, uno stato di persona non deambulante che sembrerebbero (non avendo formato oggetto di un apposito accertamento peritale) superati dall’attenzione positiva che vi avrebbero riposto i servizi sociali e, soprattutto, gli affidatari provvisori sicchè oggi – nella fase della preadolescenza – la minore sarebbe in grado di parlare in modo comprensibile, di praticare uno sport e di relazionarsi positivamente sia con i coetanei che con gli adulti di riferimento
sostiene la Corte, che poi precisa come la valutazione relativa alla sussistenza dello stato di abbandono (o la sua ricaduta) può essere completamente esclusa poiché è altresì radicalmente escluso che le patologie gravi che riguardavano la bambina non siano dipese dalla limitata capacità educativa del suo genitore, affetto dalle riscontrate patologie, anch’esse abbisognevoli di cure ed integrazioni e sostegni.
Il nesso di causalità fra patologie psicologiche del minore e la condotta dei genitori
Accertato che i seri inconvenienti che hanno afflitto la minore nei primi anni di vita non siano causalmente dipesi dal comportamento genitoriale e, soprattutto, che dallo stato di questo non possano conseguire, in ragione di un rinnovato rapporto con la figlia ricadute o regressioni, la Corte rammenta anche il principio espresso con la sentenza n. 24445/2015, secondo cui, “in tema di adozione del minore, il giudice, nella valutazione della situazione di abbandono, quale presupposto per la dichiarazione dello stato di adottabilità, deve fondare il suo convincimento effettuando un riscontro attuale e concreto, basato su indagini ed approfondimenti riferiti alla situazione presente e non passata, tenendo conto della positiva volontà di recupero del rapporto genitoriale da parte dei genitori”, bensì anche compiendo un’osservazione attenta sullo stato psicologico ed evolutivo della minore.
I principi di diritto in tema di adozione del minore
In conclusione, gli Ermellini accolgono il ricorso, cassano la sentenza e rinviano la causa alla Corte a quo per un nuovo esame alla luce dei seguenti principi di diritto:
- in tema di adozione del minore, il giudice, nella valutazione della situazione di abbandono, quale presupposto per la dichiarazione dello stato di adottabilità, deve fondare il suo convincimento effettuando un riscontro attuale e concreto, basato su indagini ed approfondimenti riferiti alla situazione presente e non passata, tenendo in considerazione non solo la figura genitoriale ma anche lo stato psicologico-evolutivo del minore, la sua evoluzione, il permanere di problematiche non superate e gli eventuali rischi di regressioni o peggioramenti, attraverso un’osservazione non solo della figura genitoriale ma anche di quella del minore;
- ai sensi della L. n. 184 del 1983, art. 5, comma 1, u.p., come inserita dalla modifica apportata dalla L. n. 173 del 2015 (Modifiche alla L. 4 maggio 1983, n. 184, sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare), la necessità della convocazione dell’affidatario o della famiglia collocataria nel corso del procedimento giurisdizionale relativo alla dichiarazione di adottabilità di un minore, è imposta a pena di nullità dalla richiamata disposizione di legge, avente natura processuale e perciò immediatamente applicabile ai procedimenti in corso, anche se instaurati a seguito della cassazione con rinvio.