Il danno da ritardata diagnosi – indice:
- La ritardata diagnosi
- La lesione della libertà di scelta
- La perdita di chance
- La pluralità di opzioni di danno
- La libertà dell’individuo
La Corte di Cassazione è tornata su un argomento piuttosto annoso, sul quale più volte ci siamo soffermati negli ultimi mesi, quale quello della responsabilità medica che scaturisce dai danni da diagnosi ritardata.
Come noto, il ritardo nella diagnosi di una patologia può condurre a danni di particolare rilievo. Danni che possono essere risarciti sotto vari profili, essendo il comportamento del personale sanitario produttivo non solo di pregiudizi all’integrità fisica del paziente.
Con la sentenza n. 10424/2019 della Corte di Cassazione, gli Ermellini intervengono su questo tema, assumendo un’interessante e chiara posizione.
Ritardata diagnosi e qualità della vita
Soffermandoci sul solo aspetto di ricorso di maggiore rilievo per questo nostro approfondimento, ricordiamo come gli Ermellini ben rammentino come già in passato la stessa Cassazione, in riferimento a fattispecie di omessa tempestiva diagnosi di patologie oncologiche ad esito infausto, abbia ritenuto come sia erroneo affermare che una condotta di ritardata diagnosi non possa incidere negativamente sulla qualità di vita del paziente.
Aderire a una simile affermazione, di fatti, non farebbe tenere in debita considerazione la possibilità che nell’arco temporale che è trascorso tra la diagnosi errata e quella esatta, il paziente abbia visto “perdurare il suo stato di sofferenza fisica senza che ad esso potesse essere apportato un qualche pur minimo beneficio perché vi era stata quella diagnosi erronea.
Nel ricorso in esame, viene poi sottolineato dagli stessi ricorrenti come considerare che “da una diagnosi esatta di una malattia ad esito ineluttabilmente infausto consegue che il paziente, oltre ad essere messo nelle condizioni per scegliere, se possibilità di scelta vi sia, «che fare» nell’ambito di quello che la scienza medica suggerisce per garantire la fruizione della salute residua fino all’esito infausto, è anche messo in condizione di programmare il suo essere persona e, quindi, in senso lato l’esplicazione delle sue attitudini psico-fisiche nel che quell’essere si esprime, in vista di quell’esito“.
Nella fattispecie in esame, la Corte d’Appello aveva dunque compiuto un approccio errato nel ritenere che la domanda risarcitoria non potesse essere accolta poiché mancava una prova del fatto che la ritardata diagnosi della patologia abbia compromesso chance di guarigione del paziente, o quantomeno, di maggiore (e migliore) sopravvivenza.
Lesione della libertà di scelta
Prendendo spunto da quanto sopra, la Suprema Corte sottolineava dunque come in sede di Appello i giudici avessero ignorato che il ritardo diagnostico abbia determinato la perdita diretta di un bene reale, certo ed effettivo, che non può essere configurabile alla stregua di un «quantum» di possibilità di un risultato o di un evento favorevole, ma che sia apprezzabile con immediatezza quale correlato del diritto di determinarsi liberamente nella scelta dei propri percorsi esistenziali in una condizione di vita affetta da patologie ad esito certamente infausto.
Dunque, è la lesione di questa libertà ad esser rimasta priva di ogni considerazione da parte della sentenza impugnata. Ovvero, la lesione della libertà di scegliere come affrontare l’ultimo tratto del proprio percorso di vita. Una situazione che il legislatore ritiene meritevole di tutela, “al di là di qualunque considerazione soggettiva sul valore, la rilevanza o la dignità, degli eventuali possibili contenuti di tale scelta”.
Perdita di chance
La Corte di Cassazione ha poi colto l’occasione per sottolineare l’autonomia di tale danno rispetto a quello più noto di perdita di chance, di opportunità.
Viene dunque richiamata la sentenza n. 5641/2018, secondo cui se “la condotta colpevole del sanitario non ha avuto alcuna incidenza causale sullo sviluppo della malattia, sulla sua durata e sull’esito finale, rilevando di converso, «in pejus», sulla sola (e diversa) qualità ed organizzazione della vita del paziente“, si è in presenza di un “evento di danno” e di un “danno risarcibile”. Che, in questo caso, è rappresentato da una diversa e peggiore qualità della vita. Un deterioramento che i giudici intendono come una mancata predisposizione e organizzazione materiale e spirituale del proprio tempo residuo. E, tutto ciò, senza che, ancora una volta, sia lecito evocare la fattispecie della chance.
Pluralità di opzioni di danno
Insomma, nel caso di ritardi nella diagnosi di patologie ad esito infausto, l’area dei danni risarcibili è ben più ampia del solo pregiudizio alla integrità fisica del paziente. Va infatti a coinvolgere una serie di opzioni con le quali affrontare la prospettiva della fine ormai prossima. Non solamente l’eventuale scelta di procedere all’attivazione di una strategia terapeutica. O ancora alla determinazione per la possibile ricerca di alternative d’indole meramente palliativa. Bensì, anche alla stessa decisione di vivere le ultime fasi della propria vita nella cosciente e consapevole accettazione della sofferenza e del dolore fisico. E, dunque, senza ricorrere all’ausilio di alcun intervento medico) in attesa della propria fine.
Per i giudici della Suprema Corte ogni scelta, con il proprio valore e la propria dignità, al novero delle alternative esistenziali.
Libertà dell’individuo
In conclusione, la Suprema Corte cita anche alcuni interventi del legislatore per poter dare rilievo e tutela alla libertà dell’individuo.
In tale contesto viene citata soprattutto la legge 15 marzo 2010, n, 38. La legge, recante Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore, ha tra gli obiettivi anche quello di tutelare e promuovere la qualità della vita fino al suo termine. Ancora, viene citata la legge 22 dicembre 2017, n. 219, recante Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento. Un intervento che riconosce anche ad ogni persona maggiorenne e capace di intendere e volere, “in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi e dopo avere acquisito adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle sue scelte“, la possibilità sia di “esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari“. Per tali aspetti è inoltre possibile procedere alla nomina di un fiduciario.