Gli accordi di riservatezza – indice:
Nella pratica contrattuale, soprattutto fra aziende che si accordano per concludere affari insieme, è frequente l’utilizzo di accordi di riservatezza. Tali accordi assumono, a seconda dei vari ambiti in cui vengono utilizzati, svariate denominazioni. Vengono infatti chiamati anche patti di non divulgazione, clausole di riservatezza, accordi di confidenzialità o, in inglese, “non disclosure agreement“. Il modello su cui vengono strutturati è per lo più di origine anglosassone.
Possono essere contenuti all’interno di documenti propedeutici alla fase negoziale principale oppure essere direttamente inseriti all’interno di contratti. Possono in alternativa essere degli accordi autonomi. In ogni caso lo scopo per cui vengono utilizzati è quello di vincolare una parte o entrambe le parti partecipanti all’accordo a mantenere segrete determinate informazioni che le parti o una parte ha interesse a mantenere “riservate“.
Tali accordi, soprattutto quelli autonomi rispetto al contratto principale, non sono stati tipizzati né dal legislatore né dalla giurisprudenza. La loro analisi pertanto parte e si costruisce in base a quanto avviene nella prassi.
L’inadempimento dell’accordo di riservatezza comporta per la parte inadempiente l’obbligo di risarcire il danno. Nella prassi spesso infatti l’accordo è accompagnato da una clausola penale.
Che cosa sono gli accordi di riservatezza
Gli accordi di riservatezza sono dei negozi giuridici di natura sinallagmatica stipulati tra due o più parti allo scopo di mantenere segrete alcune informazioni. Si tratta di veri e propri contratti, autonomi rispetto ad un altro principale, ovvero di clausole contenute all’interno degli stessi. Nel primo caso in genere vincolano una sola parte e saranno dunque accordi unilaterali. Nel secondo caso invece di solito vincolano entrambe le parti.
L’unilateralità o la bilateralità dell’accordo dipende dalla finalità per cui viene concluso. Ad esempio, solo una parte può avere interesse a che determinate informazioni (attinenti la stessa), e scambiate con l’altra, siano utilizzate per il solo scopo per cui vengono portate a conoscenza di questa, e dunque che non vengano divulgate. L’interesse può anche estendersi al fatto che tali informazioni non siano più a disposizione dell’altra parte una volta cessato l’interesse. In questi casi può venire vincolata solo la controparte di quella che nutre l’interesse alla segretezza, la quale si obbligherà alla riservatezza.
Quando invece si tratta di clausole inserite all’interno di un contratto in cui avviene lo scambio di informazioni riguardati, ad esempio, la conclusione o l’esecuzione dello stesso, l’interesse alla riservatezza è reciproco e pertanto entrambe le parti si vincolano alla riservatezza.
I soggetti dell’accordo di riservatezza
L’accordo di riservatezza prevede due parti tra le quali avviene lo scambio di informazioni:
- quella che fornisce le informazioni;
- quella che le riceve.
Tali parti devono essere indicate nel contratto. Maggiori cautele di solito vengono poste sulla figura del ricevente le informazioni piuttosto che su quella che le fornisce. Ci possono poi essere dei soggetti collaterali alle parti che vengono a conoscenza delle informazioni da tenere riservate, come, ad esempio, società soggette al controllo, personale dipendente, istituti di credito, personale dirigenziale, collaboratori e consulenti. Anche tali soggetti nella prassi è opportuno indicarli nell’accordo. Rispetto a tali soggetti la prassi mostra vari modi in cui questi vengono obbligati. Ad esempio, tramite la stipula di un ulteriore accordo di riservatezza oppure con una formula di rinvio a tali soggetti contenuta nello stesso accordo di riservatezza.
L’oggetto degli accordi di riservatezza: le informazioni riservate
L’accordo ha ad oggetto, come si è già detto, delle informazioni che le parti si scambiano. Ma quali informazioni possono essere oggetto dell’accordo?
Nella prassi le parti si accordano per tenere segrete informazioni sia scritte che orali e che possono avere come contenuto:
- economico;
- finanziario;
- operativo;
- amministrativo;
- di vendita;
- su trattative o intese nonché sulle loro modalità di esecuzione e sviluppo.
Tali informazioni si possono scambiare in fase precontrattuale o in quella di esecuzione e, rispetto a queste, si esplicita il fatto che sono da considerarsi confidenziali a prescindere da come vengono comunicate. In realtà, in sé considerate, tali informazioni non sono confidenziali, ma lo diventano per effetto dell’essere oggetto dell’accordo.
Oggetto dell’accordo è inoltre il dettaglio delle obbligazioni assunte dalle parti ovvero come tali informazioni devono essere trattate o meglio come devono essere tenute riservate e quindi come ne viene limitato l’uso. Il grado di dettaglio delle obbligazioni assunte dalle parti è di solito più elevato negli accordi autonomi e lo è di meno invece nelle clausole inserite nei contratti.
Le obbligazioni nascenti dagli accordi di riservatezza
L’accordo di riservatezza è un contratto ad effetti obbligatori fra le parti. Tra la parte che fornisce le informazioni e quella che le riceve nascono infatti delle obbligazioni. In capo alla parte che riceve le informazioni in particolare nascono i seguenti obblighi:
- custodire le informazioni, ovvero mantenerle riservate con la diligenza necessaria alla loro natura;
- non utilizzarle per scopi estranei alle trattative o all’esecuzione del contratto;
- non divulgarle a terzi o a soggetti che non sono menzionati nel contratto nemmeno parte di tali informazioni;
- obliare tali informazioni una volta cessati gli effetti del contratto.
Di custodia
L’obbligazione di custodia nascente in capo al soggetto ricevente le informazioni viene classificata dalla dottrina più autorevole come un’obbligazione di mezzi e di fare. La formula che più si utilizza nella prassi per la nascita di tale obbligazione trae ispirazione da quanto previsto dall’articolo 98 del codice della proprietà industriale con riguardo alla tutela dei segreti commerciali. In particolare la lettera c) del primo comma della norma stabilisce che le informazioni aziendali e le esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali “siano sottoposte, da parte delle persone al cui legittimo controllo sono soggette, a misure da ritenersi ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete“.
Tale obbligo di custodire le informazioni deve inoltre essere adempiuto con la necessaria diligenza. Non si intende quella “del buon padre di famiglia” bensì quella che si utilizzerebbe per custodire informazioni proprie della stessa natura.
Di oblio
L’obbligo della parte ricevente di obliare le informazioni ricevute durante le trattative o l’esecuzione del contratto può sorgere quando:
- le trattative si interrompono;
- viene meno l’interesse della parte che ha fornito le informazioni;
- cessano gli effetti del contratto.
L’adempimento di tale obbligo avviene mediante la restituzione delle informazioni ricevute in formato cartaceo o elettronico ovvero l’eliminazione delle stesse da supporti elettronici o archivi dai quali risultino disponibili.
Di non utilizzo per scopi estranei
L’insorgenza dell’obbligo di non utilizzo delle informazioni per scopi estranei è strettamente connesso a quello di non divulgazione. La questione del divieto di utilizzo tuttavia assume rilievo se bisogna considerare tale divieto in relazione al verificarsi di un evento dannoso per il soggetto che divulga le informazioni oppure se un utilizzo possa essere fatto qualora non arrechi un danno.
Per dare una risposta a tale questione si prendono come riferimento le interpretazioni dottrinali sulle norme che il codice civile, ed altre leggi speciali, pongono a tutela dei segreti aziendali. Tali interpretazioni sono orientate verso il ritenere che il significato del verbo utilizzare si intenda quale impiego potenzialmente nocivo al soggetto divulgante e ai soggetti collateralmente con esso coinvolti. I più ritengono pertanto che le informazioni ricevute non si debbano utilizzare per scopi estranei qualora possa da tale utilizzo derivare un danno. Anche il dato letterale della formula con cui sorge tale obbligazione che fa riferimento alle trattative o all’esecuzione del contratto conferma tale interpretazione.
Di non divulgazione delle informazioni
Come la precedente si tratta di un obbligazione di non fare. A differenza di quella precedente però l’inadempimento e dunque la mancata osservanza dell’accordo si verifica in ogni caso in cui si divulghino le informazioni riservate. A prescindere dal fatto che dalla loro divulgazione derivi un danno al titolare. Il danno infatti non è detto sia immediato, bensì potrebbe manifestarsi dopo un periodo di tempo anche lungo.
L’articolo 2105 del codice civile
L’unica fonte normativa che fa cenno agli accordi di riservatezza è l’articolo 2105 del codice civile. Questo recita: “Il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio”.
Questa è una regola di tutela della concorrenza introdotta dal legislatore del codice civile e che investe il personale di lavoro dipendente. Tale personale non deve non divulgare soltanto le informazioni esplicitamente previste dalla norma ma tutte quelle che hanno un valore aziendale e che possono essere utili alla concorrenza. L’osservanza di tale divieto da parte del lavoratore si protrae per tutta la durata del rapporto e viene meno con la sua cessazione. La norma individua tale divieto come adempimento dell’obbligo di fedeltà del dipendente.
L’inosservanza di tale divieto tuttavia può comportare, oltre alla violazione dell’articolo suddetto, anche l’integrazione delle fattispecie di reato di cui agli articoli 622 e 623 del codice penale. Si tratta rispettivamente del reato di rivelazione del segreto professionale ovvero del reato di rivelazione dei segreti scientifici e industriali.
La durata degli accordi di riservatezza
Non c’è una norma giuridica che impone una durata minima o massima di tali accordi. Si è già detto infatti che né il legislatore né la giurisprudenza hanno tipizzato il negozio giuridico. Bisogna pertanto, anche in merito a questo aspetto, rifarsi alla prassi.
Sono le parti di comune accordo a definire dei termini. In particolare le parti definiscono indicandoli nell’accordo:
- una data a partire dalla quale le informazioni non dovranno più essere tenute riservate;
- un termine entro cui l’accordo di riservatezza è valido.
L’inadempimento
Trattandosi di contratto ad effetti obbligatori, la clausola o l’accordo di riservatezza può essere accompagnato da una clausola penale con cui le parti convengono che in caso di inadempimento la parte debitrice dovrà risarcire il danno in via anticipata eseguendo una prestazione che in tal caso può consistere nel pagamento di una somma di denaro.
L’inadempimento segue le regole sull’inadempimento delle obbligazioni previste dal codice civile. Con l’inadempimento l’obbligazione originaria si estingue e se ne genera una nuova: quella del risarcimento del danno. È possibile tuttavia che il ricevente le informazioni non possa adempiere alle obbligazione di riservatezza per causa a lui non imputabile. In questo caso si applica l’articolo 1218 del codice civile sulla responsabilità del debitore, secondo cui “Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”.
Si può verificare tale ipotesi, ad esempio, nel caso in cui il ricevente non possa adempiere all’obbligazione di mantenere segrete le informazioni ricevute in quanto interviene un atto di una pubblica autorità che gli imponga di fornire e dunque divulgare quelle determinate informazioni.
Il danno risarcibile
Per quanto attiene al danno risarcibile si applica l’articolo 1223 del codice civile. Per cui il danno che dev’essere risarcito per l’inadempimento dell’obbligazione di riservatezza può configurarsi sia in un danno emergente che in un lucro cessante.
Se la parte ricevente è stata inadempiente per colpa e non per dolo si applica al danno la regola di cui all’articolo 1225 del codice civile secondo cui “Se l’inadempimento o il ritardo non dipende da dolo del debitore, il risarcimento è limitato al danno che poteva prevedersi nel tempo in cui è sorta l’obbligazione“.