L’errata trascrizione del pignoramento immobiliare dell’A.d.E. ed il risarcimento – indice:
Se l’Agenzia delle Entrate trascrive in maniera errata un pignoramento immobiliare a carico di un contribuente, dovrà risarcire i danni subiti dallo stesso. A sancirlo è una recente ordinanza da parte della Corte di Cassazione, che con sentenza n. 3428/2018 ha rigettato il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate, condannando invece il Fisco a pagare un risarcimento dei danni provocati.
L’agenzia delle Entrate ha trascritto un pignoramento di un decreto ingiuntivo non esecutivo
Il contribuente aveva convenuto in giudizio il Conservatore dei Registri Immobiliari territorialmente competente, l’Agenzia del Territorio e il Ministero dell’Economia e delle Finanze, esponendo che nel richiedere la stipula di un contratto di apertura di credito, su segnalazione dell’istituto bancario presso cui era correntista scopriva l’esistenza di una trascrizione di pignoramento immobiliare a suo carico.
Approfondito il caso, la Conservatoria precisava che si trattava di trascrizione nulla, poiché basata su un decreto ingiuntivo non provvisoriamente esecutivo. Quindi, il contribuente domandava l’eliminazione, ovvero l’idonea annotazione, che potesse avere efficacia retroattiva sulla formalità, e faceva altresì domanda di risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, tenuto conto dell’attività di imprenditore commerciale e di sindaco.
Si costituivano quindi il Conservatore e l’Agenzia, rilevando che era stata adottata ogni iniziativa utile alla cancellazione dopo aver registrato l’errore, e non vi era prova che si fosse concretato alcun danno, atteso che nel tempo il contribuente non aveva esercitato attività di impresa, avendo ceduto una partecipazione nella società della quale aveva una quota.
Accoglimento della domanda risarcitoria
In primo grado, il tribunale di Cagliari aveva rigettato la domanda di danni, e la Corte d’Appello riformava la decisione accogliendo invece la domanda risarcitoria inerente al danno di immagine e alla reputazione. In quella sede, la Corte osservava infatti come il danno dovesse ritenersi provato in via presuntiva, atteso che lo stato di incertezza e di dubbio che derivava dall’errata trascrizione, non poteva che aver determinato un pregiudizio all’immagine a carico di un soggetto apparso insolvente agli occhi della banca, con ovvi riflessi in ordine all’accesso del credito. Si deduceva quanto sopra dalla lettera con la quale la banca, in risposta alla richiesta di stipula dell’apertura di credito, aveva subordinato il nuovo esame della stessa all’esito della cancellazione della nota di trascrizione, e da una successiva lettera con la quale si domandavano chiarimenti sull’esistenza della formalità.
La Corte d’appello, infine, escludeva che potesse considerarsi ostativa alla deliberazione positiva della domanda risarcitoria, una successiva lettera con cui il contribuente precisava di non voler subordinare l’apertura di credito a una garanzia ipotecaria, e di non ritenere inciso il rapporto fiduciario esistenze con l’odierno resistente, dalla ricognizione della trascrizione, poiché non poteva negarsi che le richieste dell’imprenditore avessero registrato in prima battuta un rigetto.
La Cassazione conferma la risarcibilità del danno
La Corte di Cassazione, su istanza dell’Agenzia, dichiara il motivo del ricorso infondato e inammissibile. Di fatti, nelle sue motivazioni dell’ordinanza, i giudici della Suprema Corte rammentano come la Corte d’appello non abbia evinto, dal materiale presuntivo, un danno consistente nel mancato accesso ai finanziamenti richiesti, bensì la prova che l’imprenditore era apparso come un debitore insolvente in specifiche relazioni, e che le richieste di finanziamento avevano registrato in prima battuta un arreso, e dunque un discredito creditizio.
La corte territoriale ha dunque da ciò desunto il pregiudizio all’immagine, senza né travisare il contenuto letterale delle missive, né omettere di considerare la complessiva condotta iniziale e successiva degli enti coinvolti. Deve quindi escludersi che vi siano state violazioni del regime legale dell’onere probatorio o dei canoni ermeneutici negoziali, o della disciplina legale delle presunzioni in relazione al danno non patrimoniale.
La prova del danno d’immagine
In tale contesto, l’Agenzia ha domandato alla Corte una rilettura del materiale probatorio, mirando a dare a quest’ultimo una diversa interpretazione da quella offerta dal giudicante di merito. La Corte di Cassazione non ha però condiviso le conclusioni del pm, e ha ribadito il principio secondo cui quando la prova addotta è costituita da presunzioni, le quali anche da sole possono formare il convincimento del giudice di merito, rientra nei compiti di quest’ultimo il giudizio sull’idoneità degli elementi presuntivi a consentire inferenze che ne discendano secondo il criterio dell’id quod plerumque accidit, essendo l’apprezzamento relativo sottratto al controllo in sede di legittimità, se sorretto da motivazione immune da vizi logici o giuridici.
I giudici evidenziano poi come il danno all’immagine, sebbene non in re ipsa, può essere provato allegando fatti da cui si può evincere – anche attraverso semplici presunzioni – la sua concreta sussistenza e non futilità. Si è in questo caso visto come la Corte d’appello abbia evinto la gravità dell’apprezzabile lesione alla reputazione, e il significativo pregiudizio alla vita di relazione, valorizzando non solamente una generica diffusione della notizia in forza della natura pubblica dei soggetti, bensì specifici contatti con operatori commerciali dell’ambiente territoriale del danneggiato.