L’apertura di credito – indice
L’apertura di credito bancario è un contratto molto frequente nella prassi bancaria, con cui un istituto di credito si obbliga a tenere a disposizione del proprio cliente una somma di denaro, per un periodo di tempo, o a tempo indeterminato, affinché possa fruirne in tutto o in parte, in un’unica o in più soluzioni, nei limiti consentiti.
Già da quanto sopra possiamo trarre alcune indicazioni. In particolare, che:
- si tratta di un contratto molto diffuso tra banche e clienti (persone fisiche e giuridiche);
- può essere a scadenza o a revoca;
- può essere personalizzato negli importi e nei termini di utilizzo;
- comporta diritti e obblighi per entrambe le parti.
Cerchiamo di saperne di più, partendo dalla definizione che il nostro codice civile attribuisce a questa forma contrattuale.
Cos’è l’apertura di credito bancario
A dirci cos’è l’apertura di credito bancario è l’art. 1842 c.c., secondo cui:
l’apertura di credito bancario è il contratto con il quale la banca si obbliga a tenere a disposizione dell’altra parte una somma di danaro per un dato periodo di tempo o a tempo indeterminato.
È evidente, da quanto sopra, che nella prassi bancaria il termine “apertura di credito bancario” è spesso assimilato a quello di “fido”. Attenzione, però: i due termini non sono sovrapponibili perché, nella sostanza e nella forma, indicano due concetti diversi.
In particolare, mentre il fido è un concetto più ampio, che è sottostante la decisione della banca di poter concedere credito a un proprio cliente, l’apertura di credito non è altro che una delle modalità con cui risulta possibile utilizzare il fido concesso.
In tal senso, dunque, un’apertura di credito bancario è un fido, ma non è l’unica forma di fido disponibile presso gli istituti di credito. Risulta essere pertanto errato utilizzare i due termini come sostituti l’uno dell’altro.
L’uso del credito
Uno degli elementi fondamentali dell’apertura di credito bancario è la possibilità di usare il credito in maniera flessibile.
Di fatti, le modalità di utilizzo dell’apertura di credito sono rimesse alla determinazione delle parti, che potranno personalizzare il rapporto nella misura che riterranno più opportuna. La volontà di banca e cliente sarà dunque l’unica determinante per poter stabilire le condizioni contrattuali di questo rapporto e, di conseguenza, in che modo il credito potrà essere utilizzato.
A titolo di esempio, e come già in parte accennato qualche riga fa, il cliente potrà:
- utilizzare l’intero importo messo a disposizione in una sola volta;
- usare l’intero importo con diversi prelevamenti parziali, uno successivo all’altro;
- eseguire rimborsi parziali e totali, potendo così reintegrare il credito originario in tutto o in parte, per poterne disporre di nuovo nel momento della necessità;
- effettuare molteplici operazioni di utilizzo e di ripristino, così come accade tipicamente nella procedura di apertura di credito in conto.
È evidente che nei primi casi di questo breve elenco potrà trovarsi attribuzione il concetto di apertura di credito semplice. Nell’ultimo e più frequente caso, si parlerà invece di una vera e propria apertura di credito in conto corrente.
Il rimborso dell’apertura di credito
Uno degli elementi che genera più confusione nella mente di coloro che si stanno avvicinando a questo argomento, è legato al rimborso dell’apertura di credito. La banca può chiedere l’immediato rimborso delle somme concesse? Può trattenere i versamenti effettuati dal cliente a titolo di rimborso dell’apertura di credito?
Il tema è in verità un po’ più complesso di quanto si possa pensare e, per poterlo comprendere pienamente, rimandiamo a un successivo approfondimento del quale ci occuperemo tra breve.
In questa sede, però, è utile osservare come l’effetto dell’apertura di credito sia la messa a disposizione di una somma di denaro e, dunque, la creazione di disponibilità finanziarie, in favore del cliente. È anche vero che l’uso del denaro concesso con l’apertura di credito in conto corrente è una fase eventuale del rapporto. In altri termini, l’accreditato ha il diritto di usare il credito secondo quanto stabilito dalle convenzioni e dalle forme d’uso.
Chiarito ciò, e passando al tema del rimborso delle somme utilizzate, si può compiere un distinguo.
Se l’apertura di credito in conto corrente è utilizzata regolarmente, e il fido non è stato superato, il correntista non ha alcun obbligo di restituzione del denaro. Può dunque effettuare versamenti sul conto per poter reintegrare la provvista e poterne ulteriormente disporre.
Se invece viene superato il limite del fido, e si verifichi uno scoperto, o non sussista nemmeno un’apertura di credito, allora esiste un obbligo di restituzione. Il versamento in conto è dunque in grado di rivestire il carattere di rimborso delle somme anticipate dalla banca, pur esistendo un onere a carico della banca di provare l’esistenza del contratto e i suoi limiti.
Torneremo sull’argomento con un approfondimento dedicato nei prossimi giorni.
L’apertura di credito garantita
Una forma particolare di apertura di credito è la c.d. apertura di credito garantita.
Ex art. 1844 co. 1 del codice civile, l’apertura di credito garantita è una apertura di credito su cui viene data una garanzia reale o personale. La garanzia può essere prestata:
- dallo stesso soggetto giuridico che gode dell’apertura di credito;
- da un terzo soggetto giuridico che interviene in garanzia altrui.
Come sostiene il codice, è importante notare che la garanzia non si estingue prima della fine del rapporto, solamente per il fatto che il titolare dell’apertura di credito cessa di essere debitore dell’istituto di credito.
In altre parole, il garante non è liberato dalla propria garanzia nei confronti della banca per la sola circostanza che in un dato momento il conto corrente non presenta un saldo a debito del cliente. La sua garanzia sarà dilatata sulla base dell’evoluzione del saldo del conto e, soprattutto, sarà limitata ad un importo massimo posto dalla banca, che potrà coincidere:
- con l’intero importo dell’apertura di credito in conto corrente;
- più raramente, con una parte dell’importo dell’apertura di credito in conto corrente.
È infine possibile che la banca possa chiedere un supplemento di garanzia se ritiene che sia diventata nel tempo insufficiente per le proprie tutele. È questo il caso – ad esempio – di una garanzia rilasciata tramite pegno su titoli azionari / fondi: se la banca ritiene che il valore dei titoli offerti in garanzia, a causa di sfavorevoli oscillazioni di mercato, può ben domandare un’integrazione del valore della stessa o, eventualmente, recedere dal contratto secondo le clausole in esso contenute.
La forma
L’art. 117 TUB affema al comma 1 che
i contratti sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti.
Attenzione, però. Quanto sopra non significa che non possa comunque riscontrarsi un’apertura di credito perfezionatasi in altro modo.
Senza voler eccedere con gli approfondimenti in tale scenario – ma ci occuperemo di ciò in separati focus – possiamo infatti rammentare come nella prassi bancaria spesso l’istituto di credito tolleri che il proprio cliente operi allo scoperto su un conto corrente anche in assenza di un fido. Oppure, che tolleri il fatto che il cliente effettui sconfinamenti rispetto all’importo della disponibilità accordata. E, si pensi, il tutto indipendentemente o meno dal fatto che vi sia stata una specifica richiesta del cliente.
Già l’art. 117 TUB, al secondo comma, sancisce che
Il CICR può prevedere che, per motivate ragioni tecniche, particolari contratti possano essere stipulati in altra forma.
Ma è soprattutto la giurisprudenza che nel corso degli anni ha dato adito a diverse sponde interpretative, ammettendo in diverse occasioni che l’elasticità di cassa frutto di una certa “tolleranza” della banca potrebbe essere idonea a dimostrare la conclusione di fatto di un contratto di apertura di credito.
L’orientamento della Cassazione
Per cercare di fornire un approccio orientativo in tale scenario, la Corte di Cassazione ha voluto ponderare diverse opinioni affermando che:
- da una parte “non può (omissis) ritenersi nullo per carenza del requisito della forma scritta il contratto di apertura di credito concluso con un’impresa correntista, allorquando l’originario contratto di conto corrente – regolarmente stipulato per iscritto – abbia già compiutamente disciplinato il contratto di apertura di credito” (così Cass., sez. I, 22/11/2017, n. 27836);
- dall’altra parte bisogna “escludersi che – promossa dal curatore dell’impresa azione revocatoria basata sull’asserita natura solutoria delle rimesse – la prova della stipulazione del contratto di apertura di credito possa essere fornita con la mera produzione della deliberazione interna relativa alla concessione del fido, registrata sul libro fidi, oppure possa essere desunta dalla tolleranza di fatto all’uso dell’affidamento, soprattutto quando dette circostanze non consentano neppure di determinare l’ammontare del fido asseritamente accordato” (così Cass., sez. I, 09/07/2005, n. 14470).
Naturalmente, la questione è di per sé molto complessa e merita una trattazione separata.
Sia sufficiente evidenziare la serie di conseguenze (anche, in sede fallimentare) che scaturirebbero dall’ammettere la possibilità di formalizzare un contratto di apertura di credito per semplici comportamenti di fatto.
Torneremo pertanto in un separato approfondimento a parlare degli elementi che possono costituire l’apertura di credito.
L’estinzione
Sono diverse le cause che possono portare all’estinzione del contratto di apertura di credito.
La più nota è certamente quella contemplata dall’art. 1845 c.c., che così recita:
Salvo patto contrario, la banca non può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se non per giusta causa.
Il recesso sospende immediatamente l’utilizzazione del credito, ma la banca deve concedere un termine di almeno quindici giorni per la restituzione delle somme utilizzate e dei relativi accessori.
Se l’apertura di credito è a tempo indeterminato, ciascuna delle parti può recedere dal contratto, mediante preavviso nel termine stabilito dal contratto, dagli usi o, in mancanza, in quello di quindici giorni.
Tuttavia, esistono anche altri casi che potrebbero porre fine al contratto di apertura di credito, e che possono direttamente discendere dalla stipula del contratto stesso.
In ogni caso, in linea di principio, l’estinzione del rapporto determina anche – in qualità di cessazione della facoltà di usare l’accredito – l’insorgenza per il cliente di restituire le somme utilizzate durante il periodo di vigenza del contratto di apertura di credito.
Naturalmente, è anche possibile che il contratto di apertura di credito possa disciplinare questo caso, individuando delle forme di restituzione dell’utilizzo dilazionate nel tempo (un c.d. piano di rientro).