L’assegno alimentare – indice:
Secondo quanto afferma la sentenza n. 9415/2017 della Corte di Cassazione, il figlio che ha bisogno di aiuto deve ricevere il supporto dei genitori a prescindere da quale sia la sua età. Sulla base di tale assunto, un’anziana signora si è vista confermare dalla Suprema Corte la condanna a versare in favore dei figlio over 50 un assegno alimentare di 300 euro al mese a titolo di alimenti.
Assegno alimentare e stato di bisogno
La vicenda ha inizio nel “lontano” 1995, quando un figlio unico si rivolse al tribunale di Roma chiedendo che fosse riconosciuto il suo diritto al mantenimento o, in subordine, a un assegno alimentare. Con l’occasione, il figlio chiese inoltre il risarcimento dei danni per l’allontanamento dalla casa familiare e per il comportamento ostile manifestato dai genitori nei suoi confronti.
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Il tribunale accolse la domanda relativa all’assegno alimentare, quantificato in 600 mila lire mensili. La sentenza era poi impugnata in via principale dall’attore e in via incidentale dai convenuti, alla Corte d’appello di Roma. Deceduto nel frattempo il padre, con sentenza del 2002 l’ammontare dell’assegno venne rideterminato in 500 mila lire, interamente a carico della madre.
La sentenza d’appello fu poi cassata dalla Corte, con rinvio, in accoglimento del ricorso incidentale della donna, attesa la inosservanza dell’art. 438 cod. civ. visto che gli alimenti possono essere chiesti solo da chi versa in stato di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento. Considerato che occorre valutare i suddetti necessari presupposti, la Corte ritenne dunque che il giudice d’appello non avesse tenuto conto del secondo di essi. Nuovamente, la Corte d’appello di Roma, pronunciandosi, accoglieva parzialmente il gravame del figlio condannando così la donna alla corresponsione dell’assegno alimentare mensile di 300 euro.
I presupposti dell’assegno alimentare secondo la Corte d’Appello di Roma
In sintesi, la Corte d’appello riteneva provato, alla luce della complessiva vicenda di vita del figlio, il presupposto del diritto alla prestazione alimentare
attesa la situazione di bisogno del predetto, non obiettivamente contestata, e stante l’impossibilità di provvedere altrimenti al proprio mantenimento. Ciò in considerazione delle infruttuose e pur comprovate: (i) disponibilità a tenere lezioni di violino e a svolgere attività di attacchinaggio; (ii) iscrizione all’ufficio di collocamento; (iii) richiesta, dopo la cessazione del servizio militare come ufficiale di complemento, di essere richiamato in servizio; (iv) partecipazione a un concorso bandito dal ministero della Giustizia.
In aggiunta a quanto sopra, la Corte d’appello indicava come sintomo dell’incapacità di provvedere al mantenimento anche la condizione soggettiva dell’uomo,
essendosi trattato di persona caratterizzata da seri problemi psicologici e di approccio con l’esterno, tanto da giustificare due richieste di t.s.o. con diagnosi di malattia psichiatrica. Osservava che altrettanto serie difficoltà relazionali erano emerse dall’excursus sugli studi universitari, che (omissis) non aveva completato presso la facoltà di giurisprudenza dell’università di Roma dopo il positivo superamento di tutti gli esami, per la sopravvenienza di un “blocco” psicologico al momento della preparazione della tesi.
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Quanto sopra sarebbe stato sufficiente – afferma la Corte – per poter soddisfare l’onere della prova a carico del figlio, potendo così rideterminarsi altresì l’assegno per gli alimenti, tenendo conto la complessiva situazione di fatto rappresentata dall’effettivo bisogno dell’alimentando e dalle condizioni economiche e patrimoniali della madre, titolare di congrua pensione, sicuramente in parte adeguata al costo della vita, e proprietaria della casa di abitazione.
Requisiti dell’assegno alimentare secondo la Cassazione
Nel 2013 la donna propone un nuovo ricorso in Cassazione. Il figlio ha replicato con controricorso. Vediamo brevemente i quattro motivi del ricorso.
Con il primo, la donna denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 384 cod. proc. civ. e 2909 cod. Civ. . Per la madre, la Corte d’d’appello avrebbe stravolto il principio di diritto enunciato dalla sentenza di Cassazione, sostenendo infatti che la Suprema corte era avvenuta in ragione della eclatante contraddizione della sentenza in quella sede impugnata, che aveva riconosciuto l’assegno alimentare nonostante l’attribuzione al figlio della responsabilità e volontarietà del mancato conseguimento di un’autonomia economica.
Con il secondo motivo, la donna denunzia invece la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza, avendo la Corte d’appello dato rilievo a una serie di circostanze che, quanto meno per il profilo attinente ai problemi psicologici e ai disturbi di natura psichiatrica, nemmeno il beneficiario aveva dedotto a fondamento della domanda.
Con il terzo motivo, sono ulteriormente dedotte la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza, in ordine alla valutazione della capacità economica di essa ricorrente.
Con il quarto motivo, infine, la donna denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. e l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza, quanto alla statuizione in materia di spese processuali.
Per quanto interessa il presente focus, i primi tre motivi, esaminati congiuntamente, sono stati dichiarati infondati per la ragione che segue.
Il chiarimento della Cassazione sull’assegno alimentare
La Corte ricorda che “gli alimenti possono essere chiesti solo da chi versa in stato di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento“, imponendo al giudice di valutare, in ordine all’an di tale corresponsione, gli imprescindibili presupposti sia dello stato di bisogno sia della impossibilità di mantenersi, mentre il giudice di secondo grado non aveva tenuto conto di tale secondo, indispensabile requisito.
La Suprema Corte precisava inoltre come “il diritto agli alimenti è legato alla prova non solo dello stato di bisogno, ma anche dell’impossibilità di provvedere in tutto o in parte al proprio sostentamento mediante l’esplicazione di un’attività lavorativa, tanto che ove l’alimentando non provi la propria invalidità al lavoro per incapacità fisica o l’impossibilità, per circostanze a lui non imputabili, di trovarsi un’occupazione confacente alle proprie attitudini e alle proprie condizioni sociali, la relativa domanda deve essere rigettata“.
Dinanzi a tale principi, pronunciati già con il primo ricorso in Cassazione, la Corte d’appello di Roma si è uniformata svolgendo l’accertamento che si richiedeva. E giungendo alla conclusione che la prova, di cui era onerato il figlio, era stata fornita nei termini riportati in precedenza.