L’assegno divorzile ed il suo calcolo – indice:
- Cos’è
- L’assegno di mantenimento
- Il tenore di vita
- Superamento del criterio
- I precedenti orientamenti
- I presupposti
- La materiale applicazione
- Calcolo una tantum
- Perdita del diritto
L’assegno divorzile quando spetta? Come si calcola? La disciplina dell’istituto trae fonte da poche righe della legge sul divozio, ma ha dato spazio ad ampi ed annosi dibattiti soprattutto in giurisprudenza. Tanto la Corte di Cassazione quanto i tribunali territoriali hanno infatti, nel corso degli anni, espresso posizioni ondivaghe in riferimento tanto ai presupposti quanto alla quantificazione dello stesso. In questo percorso che ha ormai mezzo secolo, le posizioni e le pronunce hanno più volte manifestato posizioni opposte fra loro. Partiamo quindi dalla norma, per analizzare i punti di vista evolutisi nel corso degli anni.
Cos’è l’assegno di divorzio
Il diritto all’assegno divorzile è previsto dall’articolo 5 della legge numero 898 del 1970 che al sesto comma dispone:
“Il tribunale … dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”
Tale diritto sussiste fintantoché il beneficiario non passi a nuove nozze oppure l’obbligato muoia. In quest’ultimo caso il tribunale potrà comunque attribuire un assegno periodico a carico dell’eredità.
A chiarire autorevolmente il criterio interpretativo “definitivo” da applicarsi, soccorre la sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, numero 18287 dell’11 luglio del 2018. L’interpretazione giurisprudenziale della norma non è infatti mai stata univoca.
Differenze con l’assegno di mantenimento nella separazione
L’assegno divorzile ha una disciplina diversa rispetto all’assegno di mantenimento in sede di separazione giudiziale. L’assegno di mantenimento a vantaggio del coniuge economicamente più debole trova infatti fonte nel codice civile, all’articolo 156. La differenza tuttavia non è soltanto terminologica, ma sostanziale. Mentre infatti i presupposti dell’assegno di mantenimento sono quelli legati all’esistenza del vincolo coniugale non ancora cessato, e quindi alla sussistenza di un rapporto di coniugio, con il divorzio (o, per meglio dire, la cessazione degli effetti civili del matrimonio), la situazione cambia. I coniugi infatti sono sono più tali, e ciò ha rilievo soprattutto in riferimento a quel criterio di “tenore di vita” quasi mai messo in discussione per l’assegno di mantenimento in sede di separazione, mentre oggetto di vivace dibattito nell’ambito dei criteri di quantificazione dell’assegno divorzile.
Il “tenore di vita” per l’assegno divorzile dopo la sentenza “Grilli”
Le Sezioni Unite hanno oggi superato la posizione della stessa Cassazione che, con sentenza della Prima Sezione numero 11504 dell’11 maggio 2017 (la famosa sentenza “Grilli”) aveva accantonato il “tenore di vita” per la quantificazione dell’assegno divorzile. La sentenza “Grilli” aveva operato l’analisi dell’articolo 5 comma 6 della legge 898 del 1970 secondo le seguenti due fasi:
- La prima, inerente alla valutazione sul “se” esista il diritto al versamento dell’assegno divorzile a vantaggio del coniuge debole. “… quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”.
- La seconda è invece inerente alla quantificazione dell’assegno. ” … tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio”.
Il giudice, nella valutazione di cui alla seconda fase, inerente alla quantificazione dell’assegno, doveva dunque tenere conto non del rapporto matrimoniale quale “parametro economico” sulla base del quale commisurare l’obbligazione. Doveva piuttosto, tenendo conto della mera preesistenza del vincolo matrimoniale occorso ma estinto, riconoscere tale diritto soltanto ove l’ex coniuge non disponesse di mezzi adeguati o non fosse in grado di procurarseli.
Perché il tenore di vita era stato superato dall’ora superata sentenza Grilli
Ad avviso della Cassazione, che si era espressa con pronuncia 11504 del 11 maggio 2017, il parametro relativo alla corresponsione dell’assegno divorzile correlato al “tenore di vita” avuto dal coniuge debole in costanza di matrimonio collideva con più principi di diritto e con l’istituto stesso del divorzio. Ecco perché:
- Con la setenza che pronuncia il divorzio in primo luogo il matrimonio si estingue e vengono dunque meno i rapporti patrimoniali ed assistenziali inderogabili a livello matrimoniale, ma non successivamente. Il tenore di vita “matrimoniale” dunque non può che essere tale soltanto nel corso del matrimonio, non successivamente.
- In secondo luogo l’assegno divorzile è riconosciuto non più al coniuge come tale, ma allo stesso come persona indipendentemente dal rapporto matrimoniale preesistente.
- Ove il giudice prendesse in considerazione il tenore di vita matrimoniale dovrebbe necessariamente omettere di analizzare la questione relativa alla sussistenza del diritto al assegno e cioè all’impossibilità di procurarsi mezzi idonei al mantenimento. Ciò determinerebbe inoltre un’indebita commistione fra le due fasi sopra descritte.
- La coscienza sociale ha superato la concezione di matrimonio come di “vincolo indissolubile”. Il parametrare dunque la corresponsione dell’assegno divorzile al tenore di vita matrimoniale era frutto di un temperamento dell’effetto avuto con lo scioglimento del vincolo matrimoniale fino ad allora ritenuto “indissolubile”, anche dal punto di vista patrimoniale. Ad oggi si tratta di una concezione superata dalla prassi.
- Le finalità del legislatore nel non erano affatto quelle di commisurare l’entità economica dell’assegno dalle sostanze patrimoniali dell’obbligato (il coniuge tenuto alla corresponsione). La legge aveva piuttosto il fine di tenere in stratta considerazione le necessità del soggetto creditore.
Tale orientamento è ora, come detto, superato dalla Cassazione a Sezioni Unite, che ha a sua volta elaborato il cosiddetto “criterio composto”.
Gli orientamenti anteriori alla sentenza “Grilli” dell’11 maggio 2017
A sua volta, la sentenza Grilli del 2017 si contrapponeva ad un precedente e consolidato orientamento ben rappresentato dalla sentenza numero 1564 del 1990 della Cassazione. In questo caso invece, lo stesso criterio del tenore di vita era eletto quale nettamente principale per la quantificazione dell’assegno divorzile. Alcune pronunce avevano poi escluso il diritto alla corresponsione dell’assegno nella circostanza in cui la relazione coniugale fosse stata particolarmente breve (Cass. 7295 del 2013 e 6164 del 2015). Oggi non è più così: tutte queste precedenti decisioni possono dirsi superate, e il tenore di vita ritorna ad essere oggetto di esame per l’assegno, non come singolo, ma come uno dei tanti criteri di calcolo presi in considerazione. Vediamo in che modo ed assieme a quali altri.
I presupposti dell’assegno divorzile: l’orientamento di oggi e il calcolo
Il riconoscimento e la quantificazione dell’assegno divorzile, ad avviso delle Sezioni Unite (numero 18287 di luglio 2018), ad oggi l’orientamento prevalente), devono oggi essere esaminati sotto diversi profili e valutati attraverso i seguenti fattori:
- Le rispettive condizioni economiche e patrimoniali;
- Il tenore di vita avuto in costanza di matrimonio. Tale elemento, prima escluso (dalla già citata sentenza della Cassazione numero 11504 del 2017) rientra oggi a pieno titolo quale elemento per la quantificazione dell’assegno;
- Il contributo effettivo che il coniuge richiedente ha dato alla vita patrimoniale, l’eventuale e conseguente sacrificio “delle aspettative professionali e reddituali del coniuge richiedente”;
- La durata del rapporto matrimoniale;
- Le potenzialità professionali e reddituali al termine della vita di matrimonio, anche in considerazione dell’età di chi richiede l’assegno e più in generale del mercato del lavoro. Questo criterio deve poi essere calato nel contesto sociale all’interno del quale i coniugi vivono ed hanno vissuto.
Per l’individuazione dei predetti fattori, la Cassazione cita in particolare l’articolo 3 della Costituzione in riferimento all’effettività del principio di uguaglianza, non già formale bensì sostanziale. Come precisato dalla Cassazione, il principio di uguaglianza sostanziale si declina anche nei suoi aspetti legati alla vita familiare e matrimoniale, come del resto sancito all’articolo 29 della Costituzione.
Come materialmente si calcola l’assegno divorzile
Non può dirsi ad oggi consolidata alcuna prassi giurisprudenziale applicativa dei principi sanciti dalle Sezioni Unite. L’astrattezza dei vari criteri considerati dalla Cassazione deve ora materialmente trovare una operatività nel caso concreto. È facile dunque aspettarsi un temperamento su base equitativa e calibrata dei principi fissati dalla Cassazione. Questi lasciano ampio margine discrezionale al giudice che potrà operare una scelta in ordine alla prevalenza degli uni sugli altri con grande libertà. Non sono dunque stati fissati dei parametri granitici ed inderogabili, ma delle linee guida che necessiteranno di una concreta e materiale attuazione, ed è questa probabilmente la volontà del giudice di legittimità.
L’assegno “una tantum” in un’unica soluzione
L’ottavo comma dell’articolo 5 della legge sul divorzio, prevede la possibilità di corrispondere l’assegno in un’unica soluzione:
“Su accordo della parti la corresponsione può avvenire in unica soluzione ove questa sia ritenuta equa dal tribunale. In tal caso non può essere proposta alcuna successiva domanda di contenuto economico”.
La norma lascia ampio margine di discrezionalità al giudice, che tendenzialmente potrà fare riferimento alle operazioni di calcolo del valore attuale della rendita. Con alcune operazioni di matematica finanziaria è possibile calcolare la cosiddetta “annuity” per cui moltiplicare l’importo annuale della rendita ed ottenerne così l’attualizzazione. Più alto sarà il rischio (attualizzato al momento del versamento “una tantum”) legato al venire meno del diritto all’assegno negli anni, più basso sarà il valore dell’annuity.
L’operazione sarà la seguente:
(1-((1/tasso di interesse)elevato al numero di anni potenziali di rendita))/tasso di interesse
Nel caso in cui, ad esempio, vi siano due coniugi cinquantenni, uno dei quali abbia diritto a percepire un assegno annuale di 2500 euro ed il rischio possa ritenersi giustificativo di un interesse pari al 5%, per attualizzare il valore della rendita, dando per “possibile” un’aspettativa di vita di ottant’anni il calcolo sarà il seguente:
(1-((1/1,05)^30))/0,05 = 15,372
15,372 sarà il valore pari all’annuity, per cui moltiplicare il valore della rendita annuale di 2500 euro ed il risultato sarà dunque di 38.430 euro.
Quello sopra descritto è il calcolo scientifico per ottenere il valore attuale della rendita, e quindi dell’assegno divorzile. Ciò che tuttavia può essere ritenuto “equo” dal tribunale non necessariamente deve discendere dalla suddetta operazione.
La perdita del diritto a percepire l’assegno divorzile
Il diritto a percepire l’assegno divorzile cessa quando il coniuge che lo percepisce passa a nuove nozze. La giurisprudenza più recente in tema di perdita del diritto dell’assegno divorzile, chiarisce come anche in caso di convivenza con il nuovo partner tale diritto venga meno. La convivenza deve tuttavia essere stabile e non temporanea: è sufficiente la prova in ordine ad un periodo di convivenza stabile protrattasi per un arco di tempo rilevante successivo al divorzio.
Avv. Bellato – diritto di famiglia e matrimoniale, separazione e divorzio