Atteggiamenti ostruzionistici al lavoro, legittimo il licenziamento – guida rapida
- I fatti e il reclamo del lavoratore
- I motivi del ricorso
- La decisione della Corte di Cassazione
- La nozione di insubordinazione
È legittimo il licenziamento del dipendente che pone in essere atteggiamenti ostruzionistici rispetto all’operato aziendale. ad affermarlo è l’ordinanza n. 18296 del 4 luglio 2024 da parte della Corte di Cassazione.
Vediamo insieme quali sono stati i fatti all’attenzione della Suprema Corte e le motivazioni che hanno permesso l’assunzione di tale posizione.
I fatti e il reclamo del lavoratore
Riassumendo brevemente quanto accaduto, partiamo dalla pronuncia del Tribunale di prime cure, che ha accolto la domanda del lavoratore nei confronti della società per azioni di cui era dipendente con mansioni di autista addetto al conferimento dei rifiuti. Il Tribunale ha infatti dichiarato illegittimo il licenziamento intimato, con reintegrazione nel posto di lavoro e condanna della società al risarcimento del danno pari a 10 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto ricevuta.
La Corte di appello di Napoli ha accolto il reclamo rigettando la originaria domanda del lavoratore.
Questo il comportamento del lavoratore durante l’episodio contestato:
- essersi rifiutato di conferire i rifiuti contenuti nel mezzo di grossa portata da lui condotto, adducendo ragioni contraddittorie, quali il ritardo nell’avanzamento delle operazioni di sversamento e poi ragioni di salute;
- aver ignorato i ripetuti inviti del suo diretto superiore;
- essere rientrato con il camion pieno di rifiuti in azienda, esponendo la datrice di lavoro a sanzioni per la violazione delle norme del TU Ambientale e della normativa SISTRI.
Per i giudici di seconde cure la condotta non era sussumibile nel concetto di mera insubordinazione. Si tratta invece di un comportamento caratterizzato da un grave e consapevole inadempimento, tale da rendere irreversibile la fiducia del datore di lavoro.
Peraltro, la gravità del fatto risulta essere desumibile anche dalla funzione e dalla attività svolta dal datore di lavoro.
Contro tale deduzione ha proposto ricorso per Cassazione con un solo motivo. Resiste la società datore di lavoro, che presenta ricorso incidentale sulla base di un motivo.
I motivi del ricorso e gli atteggiamenti ostruzionistici
Come sopra citato, il ricorrente presenta ricorso con un solo articolato motivo, con cui sostiene che erroneamente la Corte di appello non aveva valutato la condotta addebitata e provata come insubordinazione, punita dal CCNL con sanzione conservativa, considerato che il codice aziendale prevedeva il recesso unicamente nei casi di insubordinazione seguita da vie di fatto. Invece, il lavoratore aveva compiuto oltre al rifiuto di adempiere ad un suo dovere, giustificato da uno stato di malessere come riferito dalle informazioni raccolte che non erano state tenute in debita considerazione.
La decisione della Corte di Cassazione
Per i giudici della Suprema Corte, il ricorso non è fondato.
La Corte distrettuale – a fondamento dell’impianto decisorio della propria sentenza e disattendendo le statuizioni del primo giudice – aveva infatti escluso che la condotta addebitata al lavoratore potesse costituire una semplice insubordinazione, punita dalla contrattazione collettiva e dal Codice disciplinare con mera sanzione conservativa. Ha invece ricondotto la fattispecie nell’ambito del recesso sorretto da giusta causa e come tale ritenuto legittimo.
Dunque, il problema che viene sottoposto alla Corte di legittimità è verificare se il comportamento del lavoratore, oggetto di contestazione, possa essere o meno sussunto nella ipotesi della insubordinazione e, in particolare, avendo riguardo alla disciplina del Codice disciplinare aziendale.
I richiami ai Contratti Nazionali
Il Codice, infatti, richiamandosi all’art. 2 al mancato rispetto dei doveri previsti dal punto 4 della lett. b), d) ed e) dell’art. 69 del CCNL 21.3.2012 (o alla omologa disposizione del CCNL 2016 ratione temporis applicabile), prevede che ove
il mancato rispetto dell’’ordine gerarchico sia accompagnato da minacce dirette o indirette ed integri gli estremi di una vera e propria insubordinazione verrà applicata la sanzione della sospensione da cinque a dieci giorni ovvero, nei casi di particolare gravita, di violenza o di vie di fatto, il licenziamento senza preavviso e con indennità di cui al punto f) dell’art. 72 del CCNL 21.3.2012.
Ancora, i giudici di legittimità rammentano come sia lo stesso Codice disciplinare a prevedere che
quando la gravita delle mancanze sia tale da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro neppure in via provvisoria e sempreché ricorra la giusta causa, può essere disposto il licenziamento in tronco.
In analogia con quanto previsto dal CCNL, che sanziona con il licenziamento senza preavviso e TFR il personale colpevole di mancanze relative a doveri le quali siano di tale entità da non consentire la prosecuzione anche provvisoria del rapporto di lavoro, come ad esempio l’insubordinazione seguita da vie di fatto, furto, condanna per reati infamanti.
Si deve pertanto accertare se il comportamento assunto dal dipendente possa essere inteso come insubordinazione, insubordinazione caratterizzata da particolare gravità o mancanza di entità tale da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro.
La nozione di insubordinazione e gli atteggiamenti ostruzionistici
Per giungere alla comprensione delle motivazioni dei giudici di legittimità è opportuno innanzitutto ribadire i concetti di insubordinazione e di giusta causa elaborati dalla stessa giurisprudenza in Cassazione.
In particolare, in tema di licenziamento disciplinare, la nozione di insubordinazione non è limitata al rifiuto di adempimento delle disposizioni dei superiori. Ricomprende invece ogni comportamento che è finalizzato a pregiudicare l’esecuzione e il corretto svolgimento delle suddette disposizioni nel quadro dell’organizzazione aziendale.
La giusta causa di licenziamento
Passando al concetto di giusta causa di licenziamento, tale – ex art. 2119 cod. civ. – deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro. In particolare, deve impattare su quello della fiducia che deve necessariamente sussistere fra le parti.
Per effettuare tale valutazione, si deve procedere con l’analisi con riferimento non al fatto astrattamente in sé considerato, bensì agli aspetti concreti di esso, afferenti alla natura e alla qualità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, nonché alla portata soggettiva del fatto stesso, ovvero alle circostanze del suo verificarsi, ai motivi ed all’intensità dell’elemento intenzionale o di quello colposo, in quanto, trattandosi della più grave delle sanzioni applicabili al lavoratore, ad essa può procedersi solo quando, attraverso una attenta considerazione di tutte le circostanze del caso concreto, qualsiasi altra sanzione risulti insufficiente a tutelare l’interesse dell’azienda, rispetto al comportamento del lavoratore medesimo.
Per la sentenza, inoltre, la previsione in sede di contrattazione collettiva, di specifiche inadempienze del lavoratore subordinato come giusta causa di licenziamento, non esime il giudice dalla necessita di accertare, anche d’ufficio, in concreto la reale gravita del comportamento di quest’ultimo, che impone di valutare se tale comportamento appaia idoneo a ledere gravemente e irrimediabilmente la fiducia che il datore di lavoro deve riporre nel proprio dipendente.
Le conclusioni del Collegio sugli atteggiamenti ostruzionistici del lavoratore
Tutto ciò premesso, il Collegio ritiene che il comportamento del lavoratore non possa essere considerato come una insubordinazione diretta a pregiudicare l’esecuzione ed il corretto svolgimento delle disposizioni dei superiori.
Per il Collegio, infatti, si è in presenza di un grave e consapevole inadempimento dei compiti assegnati. Un inadempimento che è caratterizzato da una condotta ostruzionistica del lavoratore al momento della commissione del fatto. Il lavoratore si è poi successivamente tentato di giustificare con problematiche di salute non idoneamente dimostrate. Il tutto, nell’assolvimento di funzioni particolarmente delicate per l’attività svolta dall’impresa datrice di lavoro, esposta peraltro a violazioni civili ed amministrative in tema di tracciabilita e di conferimento di un ingente carico di rifiuti.
Pertanto, per il Collegio il comportamento del lavoratore non si è caratterizzato solo per il rifiuto ad adempiere ai propri compiti, quanto anche l’opposizione ad attendere un suo eventuale cambio, come autista, proposto dai suoi superiori, al fine di ovviare al problema da lui sollevato circa i lunghi tempi di attesa necessari per il conferimento dei rifiuti nonché la decisione di avere abbandonato la struttura con il camion carico, vanificando, conseguentemente, lo scarico dei rifiuti che doveva avvenire in giornata.
Si tratta dunque di un comportamento articolato e complesso, la cui natura commissiva e omissiva non può inquadrarsi nel mero rifiuto ad adempiere alle direttive dell’impresa o in una correlata condotta finalizzata unicamente a pregiudicare il corretto svolgimento delle disposizioni aziendali. Si caratterizza invece per un atteggiamento volutamente ostruzionistico, non ragionevole e non disponibile, potenzialmente foriero di conseguenze pregiudizievoli e pericolose per la salute pubblica. In quanto tale, costituente senza dubbio una grave negazione del vincolo fiduciario.
Per questo motivo la Corte rigetta il ricorso principale.