L’autoriciclaggio – indice
Introdotto nel nostro ordinamento di recente (l. 186/2014), l’autoriciclaggio è un reato commesso da colui che impiega, sostituisce, trasferisce in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, denaro, beni o altre utilità che provengono dalla commissione di un delitto non colposo, per poter ostacolare nel concreto l’identificazione della loro provenienza delittuosa.
Dedicheremo a questo tema una serie di approfondimento. Cominciamo oggi con una panoramica generale di tale delitto contro il patrimonio, soffermandoci sulla definizione e sui principali elementi di configurabilità.
Cos’è l’autoriciclaggio
Per definire l’autoriciclaggio giova rammentare il dispositivo dell’art. 648 ter del Codice penale, secondo cui
si applica la pena (…) a chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa. (…)
Ci troviamo dunque dinanzi a un reato:
- plurioffensivo: la norma codifica un delitto che oltre al patrimonio tutela altri beni giuridici come l’amministrazione della giustizia, l’ordine pubblico, l’ordine economico-finanziario;
- proprio: il reato può essere commesso solamente dall’autore del reato presupposto o dal concorrente nel medesimo, contrariamente ai reati comuni che possono essere commessi da chiunque;
- la cui condotta deve essere idonea nel concreto ad ostacolare l’identificazione dell’origine delittuosa dei beni. Come sancito chiaramente dal dispositivo, la condotta consiste nell’impiego, nella sostituzione, nel trasferimento in attività economiche di denaro, beni o altra utilità di provenienza illecita, in modo da ostacolarne l’identificazione, da parte di chi abbia commesso lo stesso delitto presupposto o da parte del concorrente nello stesso. Non è invece punibile la condotta di colui che si limita alla mera utilizzazione o al mero godimento personale.
Ci troviamo dunque dinanzi a una norma che vuole evitare e scoraggiare comportamenti incongrui nell’economia legale, sanzionando l’autore del delitto presupposto, che autoricicla i proventi del delitto che ha precedentemente commesso.
Non sfugge infatti come spesso le risorse ottenute tramite il delitto presupposto sia investite in attività economiche lecite. Dunque, si realizza un vero e proprio inquinamento potenziale nell’economia legale.
Elemento soggettivo e oggettivo dell’autoriciclaggio
Costituisce elemento soggettivo del reato di autoriciclaggio il dolo generico. Il soggetto agente deve infatti avere la coscienza e la volontà di impiegare, di sostituire o di trasferire in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità che provengano dalla commissione di un delitto non colposo che è stato anteriormente commesso.
Per quanto attiene invece l’elemento oggettivo, è necessario, ai fini della punibilità penale, che le attività poste in essere abbiano la caratteristica di essere idonee a ostacolare concretamente l’identificazione della provenienza delittuosa dei beni o delle altre utilità.
Il riferimento all’avverbio concretamente non sembra essere casuale. Secondo orientamento giurisprudenziale largamente prevalente, infatti, il legislatore avrebbe utilizzato tale termine per poter delineare una condotta che sia dotata di evidente capacità dissimulatoria. Dunque, non sarebbe penalmente rilevante quella condotta che ha solo “rallentato” la procedura di identificazione della provenienza illecita dei beni.
Non sembrano poi esserci dubbi sul fatto che per attività economica si può intendere quanto previsto dal codice civile al noto art. 2082 c.c., secondo cui
è imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi.
Per quanto invece riguarda il riferimento all’attività finanziaria, ci si può ben riferire a quanto introdotto dall’art. 106 d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385 (Testo Unico Bancario).
Il momento della consumazione del reato
Quello di autoriciclaggio è evidentemente un reato a consumazione istantanea. Sebbene, in sostanza, si possa ammettere che le condotte che configurano il delitto siano realizzate in maniera multipla e in tempi diversi. Tuttavia, in questo caso, solo alcune di esse integreranno la fattispecie di cui parliamo all’odierno approfondimento.
Peraltro, non sfugge come possa sorgere una diversa analisi a seconda del momento della consumazione del reato, se questo è realizzato con più condotte.
Il reato è infatti in vigore nel nostro ordinamento solo dal 1 gennaio 2015. Dunque, se il primo atto di reimpiego delle somme avviene dopo questa data, e si è protratto nel tempo, la consumazione dovrebbe coincidere con la data dell’ultimo reimpiego dotato di capacità ostacolatoria della provenienza illecita.
Risulta evidente e di particolare rilevanza rammentare come individuare con certezza il momento della consumazione del reato sia di interesse anche per poter calcolare la decorrenza della prescrizione.
In tale ambito, sottolineiamo come secondo le norme generali dell’art. 157 c.p., cui si può ricorrere in questa ipotesi di delitto, il reato si estingue decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge.
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Le sanzioni dell’autoriciclaggio
Concludiamo questo breve approfondimento introduttivo sull’autoriciclaggio con un breve richiamo sulle sanzioni.
L’art. 648 ter afferma infatti che la condotta di cui sopra viene punita con la reclusione da due a otto anni e con la multa da 5.000 a 25.000 euro. La stessa pena è applicata se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da un delitto commesso “con le condizioni o le finalità di cui all’articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, e successive modificazioni”.
I commi successivi a quello già introdotto rammentano però che:
si applica la pena della reclusione da uno a quattro anni e della multa da euro 2.500 a euro 12.500 se il denaro, i beni o le altre utilità provengono dalla commissione di un delitto non colposo punito con la reclusione inferiore nel massimo a cinque anni.
Gli ultimi commi del dispositivo concludono che
fuori dei casi di cui ai commi precedenti, non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale.
La pena è aumentata quando i fatti sono commessi nell’esercizio di un’attività bancaria o finanziaria o di altra attività professionale.
E infine che
la pena è diminuita fino alla metà per chi si sia efficacemente adoperato per evitare che le condotte siano portate a conseguenze ulteriori o per assicurare le prove del reato e l’individuazione dei beni, del denaro e delle altre utilità provenienti dal delitto.