La bancarotta fraudolenta – indice:
- Che reato è
- I presupposti
- La bancarotta patrimoniale
- Quella documentale
- I soggetti attivi del reato
- Propria e impropria
- Il patrimonio
- L’elemento soggettivo: il dolo
- Circostanze aggravanti e attenuanti
- La bancarotta preferenziale
- Le sanzioni
- Quando si prescrive
- Bancarotta e patteggiamento
La bancarotta fraudolenta è un reato fallimentare che trova la propria disciplina nella legge fallimentare, in particolare all’articolo 216. La legge fallimentare tuttavia disciplina altre fattispecie di bancarotta: la bancarotta semplice, ad esempio, che si differenzia dalla bancarotta fraudolenta per l’elemento soggettivo del reato. La bancarotta fraudolenta può essere propria o impropria a seconda di chi riveste la posizione di soggetto attivo del reato. Il reato infatti può essere commesso non solo dall’imprenditore bensì dalla società o meglio dalle persone che la amministrano e la gestiscono. La bancarotta fraudolenta infine può essere patrimoniale o documentale e può essere pre-fallimentare o post-fallimentare a seconda che le condotte illecite vengano poste in essere prima o dopo la sentenza che dichiara il fallimento.
L’imprenditore è quel soggetto che esercita la propria attività imprenditoriale mediante l’utilizzo del capitale a ciò preposto. Per accrescerlo, spesso ha investito denaro e contratto obbligazioni con soggetti terzi ai quali ha dovuto offrire opportune garanzie. Il suo patrimonio, pertanto, diventa la formula che garantisce ai creditori il soddisfacimento dei propri interessi. In tale contesto si inserisce il reato di bancarotta, che può essere fraudolenta o semplice, come forma di depauperamento della garanzia patrimoniale nei confronti dei creditori. In questa sede ci si occupa della prima tipologia definita dall’articolo 216 della legge fallimentare.
Cos’è la bancarotta fraudolenta
La bancarotta fraudolenta è un reato fallimentare attribuibile all’imprenditore individuale, dichiarato fallito, che pone in essere, prima o durante la procedura fallimentare, una condotta di diminuzione del proprio patrimonio a svantaggio dei creditori.
Si realizza dunque un’offesa nei confronti dei creditori che può essere reale o fittizia. È reale se le condotte costituiscono azioni di concreta diminuzione del patrimonio dell’imprenditore. È fittizia se la diminuzione è simulata da azioni che occultano o mascherano il patrimonio. In tal caso infatti queste attività possono essere smascherate e può essere fatta riemergere la parte di patrimonio occultata.
È opportuno operare, congiuntamente alla distinzione tra offesa reale e fittizia nei confronti dei creditori, la distinzione tra bancarotta patrimoniale e bancarotta documentale. Le due tipologie si differenziano per l’oggetto materiale della condotta. Sono descritte rispettivamente ai numeri 1) e 2) del primo comma dell’articolo 216 della legge fallimentare. Nel primo tipo viene materialmente aggredito il patrimonio dell’imprenditore. Nel secondo il patrimonio viene rappresentato contabilmente in modo non rispondente al vero. In entrambi i casi tuttavia la legge mira a tutelare gli interessi economici dei creditori.
I presupposti del reato di bancarotta fraudolenta
Il reato di bancarotta fraudolenta ha come presupposto principale la dichiarazione di fallimento.
La sentenza che dichiara il fallimento del reo è una condizione obbiettiva di punibilità del reato. L’articolo 44 del codice penale introduce il concetto di condizione di punibilità affermando che “Quando, per la punibilità del reato, la legge richiede il verificarsi di una condizione, il colpevole risponde del reato, anche se l’evento, da cui dipende il verificarsi della condizione, non è da lui voluto”.
Le condotte del reato di bancarotta fraudolenta, ai sensi dell’articolo 216 della legge fallimentare, possono essere poste in essere prima o dopo la sentenza dichiarativa di fallimento. Il reato si perfeziona ma la sua punibilità si genera solo al verificarsi di una condizione che è la dichiarazione di fallimento.
Le condotte della bancarotta fraudolenta patrimoniale
Ai sensi dell’articolo 216, comma 1, numero 1, della legge fallimentare “È punito con la reclusione da tre a dieci anni, se è dichiarato fallito, l’imprenditore, che: 1) ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti”.
La norma descrive le condotte che danno origine alla bancarotta fraudolenta patrimoniale. La bancarotta fraudolenta patrimoniale è un reato di pericolo il cui elemento psicologico è il dolo specifico. Il pericolo versa sulla garanzia patrimoniale dei creditori ed è sufficiente ad integrare il reato indipendentemente dalla condotta adottata.
La stessa pena prevista dal primo comma si applica alle condotte di cui al numero 1) del primo comma dell’articolo 216 della legge fallimentare tenute durante la procedura fallimentare. A stabilirlo è il secondo comma dell’articolo 216.
Distruzione
Fra le attività elencate dalla norma la più grave appare la distruzione in quanto rimuove completamente e definitivamente il patrimonio dall’attenzione dei creditori. Secondo l’opinione prevalente questa consisterebbe nell’attività di eliminazione o riduzione del valore di un bene potenzialmente utile al soddisfacimento dei creditori. Si tratta dunque di comportamenti commissivi e non omissivi o inerti. Non rientra in tale attività la sottrazione di beni privi di valore che non porterebbero alcun vantaggio ai creditori.
Dissipazione
La dissipazione consiste nel comportamento tenuto dall’imprenditore che sperpera il proprio patrimonio assumendo impegni economici ed effettuando spese sproporzionate rispetto allo stesso. Dottrina e giurisprudenza riconoscono in tali spese due caratteristiche: la non necessarietà e la consistenza significativa rispetto all’entità patrimoniale.
Distrazione
Altrettanto pregiudizievole al soddisfacimento dei creditori è la distrazione, con la quale si intende l’utilizzo da parte dell’imprenditore dei propri beni per scopi estranei all’esercizio dell’attività imprenditoriale. Si tratta dunque di una condotta di danno e non di mero pericolo in quanto la diminuzione del patrimonio è effettiva.
La Cassazione è intervenuta con la sentenza 7437/2020 chiarendo la differenza tra le condotte di dissipazione e di distrazione del patrimonio del fallito. Così recita la massima della sentenza: “In tema di bancarotta fraudolenta, la condotta di “distrazione” si concreta in un distacco dal patrimonio sociale di beni cui viene data una destinazione diversa da quella di garanzia dei creditori, non rilevando se in quel momento l’impresa versi in stato di insolvenza, mentre quella di “dissipazione” consiste nell’impiego dei beni in maniera distorta e fortemente eccentrica rispetto alla loro funzione di garanzia patrimoniale, per effetto di consapevoli scelte radicalmente incongrue con le effettive esigenze dell’azienda, avuto riguardo alle sue dimensioni e complessità, oltre che alle specifiche condizioni economiche ed imprenditoriali sussistenti”.
Occultamento e simulazione
L’occultamento e la dissimulazione sono delle condotte con cui l’imprenditore nasconde i propri beni. Nel primo caso lo fa materialmente utilizzando mezzi giuridici idonei ad occultare il patrimonio. Nel secondo caso lo fa apparentemente facendo apparire il trasferimento dei beni nella sfera giuridica di altro soggetto.
Esposizione e riconoscimento di passività inesistenti
Infine si hanno le condotte di esposizione o riconoscimento di passività inesistenti. La prima condotta consiste nel rivelare un stato patrimoniale passivo più consistente di quanto lo sia realmente. Ad esempio caricando i debiti o le altre passività. La seconda consiste nel non contestare un credito vantato da terzi per aumentare dunque il conto debiti del passivo dello stato patrimoniale e quindi riconoscere l’esistenza di quel credito che in realtà potrebbe non essere dovuto.
La bancarotta fraudolenta documentale
La seconda fattispecie di bancarotta fraudolenta è quella documentale, individuata dal numero 2) del comma 1 dell’articolo 216 della legge fallimentare. La norma recita come segue: “È punito con la reclusione da tre a dieci anni, se è dichiarato fallito, l’imprenditore, che: 2) ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari”.
Si tratta di condotte che impediscono alla procedura fallimentare, rivolta a soddisfare i creditori, di ricostruire esattamente e realmente la situazione patrimoniale dell’imprenditore. L’impedimento dev’essere assoluto e non consistere in una mera difficoltà di ricostruzione della situazione patrimoniale. La norma distingue due casi di bancarotta documentale:
- quella specifica, che si manifesta con la sottrazione, distruzione o falsificazione dei libri e scritture contabili;
- quella generica, che si ha quando i documenti vengono tenuti in modo da impedire la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.
Sottrazione, distruzione e falsificazione
Per sottrazione si intende la condotta dell’imprenditore che, rimuovendo i documenti sociali e contabili dal luogo abituale di tenuta, tenta di impedire agli organi della procedura fallimentare di accedervi.
La distruzione consiste invece nella materiale eliminazione dei libri e delle scritture contabili.
Nell’attività di falsificazione si ritengono comprese sia la falsificazione materiale delle scritture, cioè della procedura che porta alla loro formazione (ad esempio vengono redatte ex novo), sia la falsificazione ideologica delle stesse, ovvero il loro contenuto.
Quali scritture contabili?
Dottrina e giurisprudenza, analizzando la relazione ministeriale alla legge fallimentare, hanno definito come oggetti materiali di reato tutte le scritture contabili esistenti, sia obbligatorie che facoltative.
I soggetti attivi del reato
Possono essere soggetti attivi del reato:
- l’imprenditore che può essere dichiarato fallito;
- il direttore generale d’azienda;
- gli amministratori e i sindaci di società;
- i liquidatori di società;
- l’institore;
- i soci illimitatamente responsabili dichiarati falliti.
A seconda del soggetto attivo del reato si può distinguere il reato in bancarotta propria o impropria.
La bancarotta fraudolenta propria e impropria
Si ha bancarotta fraudolenta propria quando a commettere il reato è l’imprenditore individuale o i soci illimitatamente responsabili. In questo caso si configura l’ipotesi di cui all’articolo 216 della legge fallimentare.
Il reato si dice di bancarotta impropria, o societaria, quando viene commesso dai soggetti che compongono, amministrano, gestiscono o controllano la società ovvero amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori e l’institore. Questa ipotesi dà luogo alla fattispecie disciplinata dall’articolo 223 della legge fallimentare secondo cui:
“Si applicano le pene stabilite nell’art. 216 agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci e ai liquidatori di società dichiarate fallite, i quali hanno commesso alcuno dei fatti preveduti nel suddetto articolo.
Si applica alle persone suddette la pena prevista dal primo comma dell’art. 216, se:
1. Hanno cagionato, o concorso a cagionare, il dissesto della società, commettendo alcuno dei fatti previsti dagli articoli 2621, 2622, 2626, 2627, 2628, 2629, 2632, 2633 e 2634 del codice civile.))
2) hanno cagionato con dolo o per effetto di operazioni dolose il fallimento della società.
Si applica altresì in ogni caso la disposizione dell’ultimo comma dell’art. 216″.
L’oggetto del reato: il patrimonio dell’imprenditore
A questo punto è necessario capire bene quale sia l’essenza del patrimonio dell’imprenditore ai fini dell’integrazione del reato di cui si parla.
La nozione ricomprende non solo i beni di proprietà del fallito, ma anche tutti gli strumenti finanziari utili ad acquistare altri beni. Si aggiungono i beni materiali e immateriali, i beni strumentali, i beni in leasing, i rapporti di lavoro.
Non è possibile venga fatto oggetto di distrazione del patrimonio del fallito l’avviamento commerciale. Si è espressa in tal senso la Cassazione, nella sentenza n. 11053/2018, affermando che: “ai fini della configurabilità del reato di bancarotta fraudolenta è necessario che oggetto di distrazione siano rapporti giuridicamente rilevanti ed economicamente valutabili e non mere aspettative di ricchezza”.
Lo stesso concetto vale per lo sviamento della clientela. Questa, per essere oggetto di reato di bancarotta fraudolenta, dev’essere già formata e consolidata e non un nucleo potenzialmente sviluppabile che induca a una mera aspettativa.
Una recente e consolidata giurisprudenza ricomprende fra i beni presenti nella disponibilità del patrimonio anche quelli di provenienza illecita. In particolare sostiene la tesi per cui il patrimonio vada considerato nella sua “consistenza obbiettiva, prescindendo dai modi della sua formazione”.
L’elemento psicologico nella bancarotta fraudolenta
L’elemento psicologico del reato in questione è senza dubbio il dolo. Dottrina e giurisprudenza assumono orientamenti diversi sulla qualità del dolo, in parte ritenuto eventuale e in parte specifico. L’opinione prevalente tuttavia sembra ritenere rilevante il dolo specifico. La ragione di tale indirizzo si spiega nel fatto che bisogna operare un collegamento tra elemento materiale e psicologico del reato. L’elemento materiale infatti costituisce non una semplice condotta di sottrazione di beni dal patrimonio ma fraudolenta e quindi artificiosa. Di conseguenza lo stesso dolo non potrà essere solamente eventuale. Talvolta l’essenza del dolo dipende anche dalla fattispecie di reato in esame. Non tutte le fattispecie previste dall’articolo 216 della legge fallimentare sono realizzate con dolo specifico.
Si potrebbe escludere la presenza del dolo nel caso in cui l’agente del reato ponga in essere una condotta volta alla diminuzione del pericolo che vi sia in futuro un pregiudizio a danno dei creditori. Si ritiene che l’elemento psicologico non sia il dolo anche se l’esito di tali comportamenti dovesse essere negativo ma l’intenzione quella di diminuire il pericolo.
In base all’elemento psicologico (soggettivo) del reato di bancarotta si distinguono le fattispecie della bancarotta fraudolenta ex articolo 216 e della bancarotta semplice ex articolo 217 della legge fallimentare. Nella prima il reato si configura con l’elemento del dolo nella seconda con quello della colpa.
Bancarotta fraudolenta aggravata e circostanze attenuanti
L’articolo 219 della legge fallimentare individua le circostanze aggravanti e attenuanti del reato di bancarotta. La norma recita:
“Nel caso in cui i fatti previsti negli articoli 216, 217 e 218 hanno cagionato un danno patrimoniale di rilevante gravità, le pene da essi stabilite sono aumentate fino alla metà.
Le pene stabilite negli articoli suddetti sono aumentate:
1) se il colpevole ha commesso più fatti tra quelli previsti in ciascuno degli articoli indicati;
2) se il colpevole per divieto di legge non poteva esercitare un’impresa commerciale.
Nel caso in cui i fatti indicati nel primo comma hanno cagionato un danno patrimoniale di speciale tenuità, le pene sono ridotte fino al terzo”.
La bancarotta preferenziale
Si parla di bancarotta preferenziale con riferimento al terzo comma dell’articolo 216 della legge fallimentare. La norma stabilisce che “È punito con la reclusione da uno a cinque anni il fallito, che, prima o durante la procedura fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione”. In questo caso la pena è ridotta e compresa tra uno e cinque anni di reclusione.
Ricorre in tutto il testo della norma, come è evidente nelle righe appena scritte, l’offesa ai creditori quale diminuzione della garanzia patrimoniale loro spettante. Il fallito, infatti, simulando un titolo di prelazione o effettuando un pagamento in favore di uno dei creditori nega agli altri di ricevere quanto gli sarebbe spettato. Il danno subito dai creditori inoltre va considerato singolarmente per ciascuno e non valutato con riferimento alla massa. La prestazione di eseguire un pagamento infatti non ha effetto immediato sul patrimonio del fallito il cui attivo rimane pressoché inalterato. Un pagamento infatti estingue un debito, quindi diminuisce una passività, ma corrispondentemente implica una diminuzione di liquidità dello stato patrimoniale attivo.
Il reato di bancarotta preferenziale può essere consumato prima o dopo la procedura fallimentare a seconda che la condotta si manifesti prima o durante la procedura.
Quali sanzioni penali?
Il reato di bancarotta fraudolenta è punito con la pena principale della reclusione e con delle pene accessorie.
La sanzione penale prevista per il reato di bancarotta fraudolenta dall’articolo 216, commi 1,2 e 3 della legge fallimentare è la reclusione da tre a dieci anni nei casi di condotte più gravi o da uno a cinque anni nel caso di bancarotta preferenziale.
L’ultimo comma della suddetta norma introduce e disciplina la sanzione accessoria dell’inabilitazione all’esercizio di una nuova impresa commerciale dopo la condanna per il reato di bancarotta fraudolenta. La norma recita: “la condanna per uno dei fatti previsti nel presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa”. Si tratta di una pena accessoria la cui inosservanza può costituire una circostanza aggravante del reato con conseguente aumento della pena. Tale assunto si ricava dall’articolo 219 della legge fallimentare che disciplina le circostanze aggravanti e attenuanti del reato di bancarotta.
Tra le circostanze aggravanti che aumentano la pena abbiamo:
- il compimento di un danno patrimoniale di rilevante gravità. In questo caso la pena prevista dall’articolo 216 della legge fallimentare è aumentata fino alla metà;
- l’aver commesso più reati di bancarotta fraudolenta;
- L’esercizio dell‘impresa commerciale in vigenza del divieto suddetto.
Quando il danno patrimoniale derivante dal reato è di “speciale tenuità” le pene per i fatti previsti dall’articolo 216 sono ridotte fino a un terzo.
La prescrizione del reato di bancarotta fraudolenta
I reati di bancarotta fraudolenta sono procedibili d’ufficio.
Si ricorda che la prescrizione del reato è l’istituto giuridico in base al quale dopo un certo periodo di tempo stabilito dalla legge il reato non è più perseguibile. La norma che disciplina la prescrizione del reato è l’articolo 157 del codice penale secondo cui il reato si prescrive decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge.
Il reato di bancarotta fraudolenta pertanto si prescrive in dieci anni che decorrono dalla data della sentenza che ha dichiarato il fallimento.
Se si tratta di bancarotta preferenziale invece il termine di prescrizione è di sei anni. È vero che il tempo massimo della pena edittale previsto dall’articolo 216, terzo comma, del codice penale, è di cinque anni ma l’articolo 157 del codice penale stabilisce un tempo minimo di sei anni per la prescrizione dei delitti.
Bancarotta e patteggiamento
Il reato di bancarotta rientra fra i reati ammessi alla procedura di patteggiamento.
Con il patteggiamento l’imprenditore può ottenere uno sconto di pena fino ad un terzo, rinunciando tuttavia ad una serie di diritti fra i quali il diritto a provare la propria innocenza e a controvertere sulla qualificazione giuridica del fatto.