I beni esclusi dalla comunione legale – indice:
- Quali sono
- Categorie di beni
- Momento di acquisto e personalità
- Le donazioni indirette
- Destinazione del bene
- Mobili personali
- Immobili e mobili registrati
- Beni ed esercizio dell’impresa
La comunione legale dei beni è il regime patrimoniale del matrimonio che viene adottato quando i coniugi non dichiarano espressamente di voler scegliere il regime di separazione dei beni. Con esso, entrambe le parti assumono la proprietà di beni e diritti acquistati dopo le nozze. Ci sono tuttavia dei beni e dei diritti esclusi dalla comunione legale dei beni.
Quali sono i beni esclusi dalla comunione legale dei beni
Prima di approfondire quali sono i beni e i diritti esclusi dalla comunione legale dobbiamo distinguere tre categorie di beni:
- quelli che danno vita alla comunione immediata. Si tratta degli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio. Sono esclusi quelli relativi ai beni personali e quelli delle aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio (articolo 177, primo comma, lettere a e d, codice civile);
- i beni che diventano tali nel momento in cui la comunione viene sciolta. Questi comprendono i frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi e i proventi dell’attività separata di ciascuno dei coniugi. Entrambi devono essere stati percepiti e non consumati nel momento in cui viene sciolta la comunione. Si parla in questo caso di comunione residua dei beni(articolo 177, primo comma, lettere b e c, codice civile);
- i beni personali dei coniugi dei quali ciascuno mantiene la titolarità anche dopo la scelta del regime di comunione legale (articolo 179 del codice civile).
L’ultima categoria citata fa parte dei beni che non costituiscono oggetto della comunione legale né immediata né differita.
Il codice civile all’articolo 179 elenca quali sono i beni personali del coniuge di cui andiamo a vedere le categorie escluse.
Categorie di beni esclusi dalla comunione legale
I beni descritti all’articolo 179 del codice civile si possono distinguere per natura in:
- di rilevanza temporale, di cui i coniugi erano titolari anteriormente al matrimonio;
- acquisiti a un determinato titolo;
- che hanno una determinata destinazione economica.
Della prima categoria fanno parte i beni di cui il coniuge era proprietario prima del matrimonio o sui quali, allo stesso tempo, vantava un diritto reale di godimento (lettera a).
Nella seconda categoria troviamo i beni derivanti da donazioni o successioni nei quali atti non fosse specificata la loro pertinenza alla comunione (lettera b). Quelli acquisiti a titolo di risarcimento del danno, anche sotto forma di pensione relativa alla perdita totale o parziale della capacità lavorativa (lettera e) e quelli acquistati con il prezzo di trasferimento o di scambio di un bene personale se espressamente previsto nell’atto di acquisto (lettera f).
I beni che hanno una destinazione economica sono quelli di uso strettamente personale del coniuge e accessori ad essi (lettera c) e i beni destinati all’esercizio della professione personale del coniuge da lui esclusivamente esercitata (lettera d).
La qualità del bene come personale in relazione al momento di acquisto
Vediamo ora come il momento di acquisto del bene influisce sulla sua qualifica di bene personale. Alcuni casi fanno sorgere dei dubbi.
Un esempio è il contratto preliminare. Una parte della dottrina ritiene che il momento da considerare valido ai fini della personalità del bene oggetto del contratto sia la stipula del contratto definitivo. Solo con questo infatti si realizza il trasferimento della proprietà. Altra parte ritiene rilevante ai fini suddetti la sola situazione giuridica preliminare.
Altro caso dubbioso è l’esercizio del patto d’opzione. Se il coniuge stipula l’opzione prima del matrimonio questa farà parte del suo patrimonio. Se però il diritto viene esercitato dopo il matrimonio l’opzione ricadrà all’interno della comunione.
Abbiamo poi il contratto condizionato stipulato prima del matrimonio: se la condizione si verifica dopo che il matrimonio è stato celebrato i suoi effetti retroagiscono al momento della stipulazione qualificando il bene come personale.
Infine l’ultimo istituto discusso è la vendita a rate. Per parte della dottrina il pagamento dell’ultima rata che avvenga quando il regime di comunione è già stato adottato determina la caduta del bene oggetto di acquisto in comunione. L’opinione differente è sostenuta da chi invece ritiene come momento economico più rilevante quello del pagamento rateale precedente al matrimonio che fa dunque determinare il carattere personale del bene oggetto di vendita.
I beni derivanti da donazioni indirette esclusi dalla comunione legale
I beni acquistati per successione o donazione, come abbiamo già detto, sono esclusi dalla comunione legale dei beni. Non rientrano fra le donazioni le liberalità d’uso sulla base del disposto del secondo comma dell’articolo 770 del codice civile, che rientrano invece fra i proventi di cui alla lettera c dell’articolo 177 del codice civile. La stessa considerazione può essere fatta per quanto riguarda la donazione indiretta.
Ricordiamo che la donazione indiretta si verifica quando a uno dei due coniugi venga donato da parte di un familiare un bene che non è ancora di sua proprietà. In questo caso non è praticabile la donazione tipica di cui all’articolo 769 del codice civile che viene sostituita dalla liberalità indiretta. Quest’ultima può essere attuata nei modi seguenti:
- con la consegna al donatario del denaro per il pagamento del bene oppure
- nel pagamento diretto del prezzo del bene al venditore da parte di chi esercita la liberalità.
La Suprema Corte in merito si è espressa come segue:
“…il collegamento tra l’elargizione del danaro paterno e l’acquisto dell’immobile da parte del figlio porta a concludere che si è in presenza di una donazione indiretta dell’immobile stesso, e non già del danaro impiegato per il suo acquisto. Ne consegue che, in tale ipotesi, il bene acquisito successivamente al matrimonio da uno dei coniugi in regime di comunione legale è ricompreso tra quelli esclusi da detto regime, ai sensi dell’art. 179 c.c., lett. b)…”
La destinazione del bene
I beni si considerano destinati all’uso personale quando l’altro coniuge non li può utilizzare o quando il titolare se ne serva per bisogni suoi propri. Si considerano personali anche nell’ipotesi contemplata dalla lettera f) dell’articolo 179, ovvero quando il bene è acquistato tramite il corrispettivo di un bene personale ceduto. Ci sono dei casi tuttavia in cui è difficile capire se il bene è utilizzato personalmente dal titolare. È il caso dei beni mobili o degli immobili registrati la cui destinazione è variabile. Perciò, quando essi non vengono effettivamente utilizzati, cadono in comunione.
Si considerano inoltre personali i beni che sono destinati all’uso professionale. Affinché vi sia la loro esclusione dalla comunione dei beni devono sussistere le seguenti condizioni:
- l’attività dev’essere effettivamente esercitata e quindi abitualmente, in forma intellettuale e non;
- il bene dev’essere strumentale all’esercizio della professione.
La surroga dei beni mobili personali
Riprendendo il ragionamento sulla qualità personale dei beni acquistati mediante corrispettivo del prezzo o dello scambio di un bene personale di cui alla lettera f) dell’articolo 179, si qualifica il bene acquistato in tal modo come “surrogato”. In altre parole, il bene originario è sostituito con un altro bene che dà il vantaggio di mantenere il carattere della personalità. La norma in esame ha un duplice obbiettivo:
- tutelare il soggetto che acquista un bene nuovo dalla caduta dello stesso in comunione;
- favorire la circolazione dei beni per lo sviluppo dell’economia.
La corte di cassazione sul tema ha affermato infatti che il prezzo del bene personale venduto costituisce una somma di denaro che rimane nella disponibilità del coniuge alienante senza integrare un’ipotesi di acquisto di cui all’articolo 177 letta a). Tale conclusione si è raggiunta poiché la somma di denaro non determina un cambiamento concreto nel complesso dei beni patrimoniali del coniuge. Perciò tale importo economico può essere utilizzato ai fini della surrogazione di cui alla lettera f) dell’articolo 179 del codice civile.
Affinché il bene non rientri nella comunione dei beni però, è necessaria una dichiarazione che attesti l’acquisto del bene con il ricavato della vendita di un bene personale che apparteneva al coniuge. La dichiarazione può essere effettuata sia per iscritto che orale. Questa tuttavia deve espressamente indicare che il bene originario era personale. Il bene ceduto non deve necessariamente essere indicato anche se tale operazione sembra preferibile a fini probatori.
Se la dichiarazione di utilizzo del ricavato della vendita di beni personali non corrisponde al vero, perché ad esempio in realtà il coniuge disponente ha alienato un bene oggetto di comunione, il nuovo bene acquistato ricadrà nella stessa.
La Suprema Corte ha tuttavia ritenuto che la dichiarazione sia necessaria solo quando il denaro o bene ceduto per riscuoterne un prezzo non siano certamente riconducibili all’esclusiva proprietà del coniuge alienante. In caso contrario, ovvero quando è certa la personalità del bene, si produce automaticamente l’esclusione del bene acquistato dalla comunione senza necessità di dichiarazione.
I beni immobili e mobili registrati e la surroga
Il secondo comma dell’articolo 179 del codice civile afferma che: “L’acquisto di beni immobili, o di beni mobili elencati nell’articolo 2683, effettuato dopo il matrimonio, è escluso dalla comunione, ai sensi delle lettere c), d) ed f) del precedente comma, quando tale esclusione risulti dall’atto di acquisto se di esso sia stato parte anche l’altro coniuge”.
Si tratta dei beni immobili e dei beni mobili registrati acquistati dopo il matrimonio. Se questi sono destinati all’uso personale e rientrano nelle categorie di cui alle lettere c, d e f dell’articolo 179, la norma impone una condizione. Questa consiste nell’espressa previsione dell’esclusione dalla comunione nell’atto di acquisto se a questo ha partecipato anche l’altro coniuge. La partecipazione è intesa in senso prettamente assistenziale lungi dal rendere il coniuge assistente parte del negozio giuridico stesso.
Secondo la Corte di Cassazione, con sentenza numero 14226 del 2010, il coniuge non acquirente svolge il ruolo di dichiarare, anche non effettuando contestazione, il carattere personale del bene.
Nel caso in cui il bene oggetto di dichiarazione sia un bene surrogato, la dichiarazione assume natura confessoria di condizioni già note. Con riguardo ai beni di uso strettamente personale o destinati allo svolgimento della professione, la dichiarazione svolge il ruolo di conferma della volontà del coniuge acquirente.
La stessa Corte ha concluso che se si intraprende un accertamento sul carattere personale del bene e questo ha esito negativo, gli effetti nelle due ipotesi sopra descritte sono i seguenti:
- la revoca della confessione avvenuta mediante la dichiarazione quando si tratta di bene surrogato;
- viene verificata quale sia in concreto la destinazione del bene a prescindere da una valutazione sulla buona fede della volontà espressa con la dichiarazione.
Beni immobili e mobili destinati all’esercizio dell’impresa
L’articolo 178 del codice civile recita “I beni destinati all’esercizio dell’impresa di uno dei coniugi costituita dopo il matrimonio e gli incrementi dell’impresa costituita anche precedentemente si considerano oggetto della comunione solo se sussistono al momento dello scioglimento di questa”.
Questa è un’ipotesi di comunione “de residuo”. In essa i beni si qualificano in base alla loro effettiva destinazione, ovvero al loro utilizzo, dopo il matrimonio, nell’attività d’impresa, esercitata da solo uno dei due coniugi. Questi entrano in comunione solo alla scioglimento della stessa quindi senza certezza obbiettiva.
La Suprema Corte ha discusso la diversità di trattamento di tali beni rispetto a quelli destinati all’uso di un’attività di libera professione di cui alle lettera d) dell’articolo 179 del codice civile. Quest’ultimi avrebbero natura personale e rimarrebbero esclusi dalla comunione. È fatta eccezione per quelli di cui al secondo comma dell’articolo 179 che richiedono la dichiarazione del coniuge non acquirente ai fini dell’esclusione. Quelli destinati all’attività d’impresa, invece, rientrerebbero in comunione anche se in maniera posticipata e potenziale. Estendendo la portata del secondo comma dell’articolo 179 anche ai beni destinati all’impresa si potrebbe costituire una somiglianza di trattamento consentendo l’esclusione di quest’ultimi dalla comunione mediante l’assistenza del coniuge non acquirente. La corte tuttavia ha ritenuto tale estensione ingiustificata “non essendo adattabile”, afferma, “il requisito dell’assenso dell’altro coniuge all’esclusione al bene funzionale all’esercizio dell’attività imprenditoriale”.
Avv. Bellato – diritto di famiglia e matrimoniale, separazione e divorzio