Le modalità di pagamento delle buste paga:
È finalmente giunta all’esame della commissione lavoro della Camera la proposta di legge sulle modalità di pagamento delle retribuzioni ai lavoratori: un provvedimento presentato, in qualità di proposta di legge, nel “lontano” 2013, e ora forse in dirittura d’arrivo con lo scopo di contribuire a risolvere un annoso problema che affligge troppi lavoratori italiani: la corresponsione – spesso, sotto il ricatto del licenziamento – di una retribuzione inferiore ai minimi fissati dalla contrattazione collettiva, e la contemporanea firma al lavoratore di una busta paga in cui invece figura una retribuzione regolare…
Le buste paga false per eludere i minimi salariali
Fin dagli esordi della proposta di legge si intuisce come la finalità del provvedimento sia proprio quella di offrire “una soluzione a un problema che colpisce moltissimi lavoratori. È infatti noto che alcuni datori di lavoro, sotto il ricatto del licenziamento o della non assunzione, corrispondono ai lavoratori una retribuzione inferiore ai minimi fissati dalla contrattazione collettiva, pur facendo firmare al lavoratore, molto spesso, una busta paga dalla quale risulta una retribuzione regolare”. Una prassi evidentemente deprecabile, che non solamente rappresenta un danno economico per i lavoratori, bensì anche un danno alla loro dignità, oltre che una violazione costituzionale (il diritto a una giusta retribuzione). Al contrario, in buona evidenza, il tutto si traduce in un vantaggio illecito per il datore di lavoro.
Alla luce di quanto sopra, la proposta di legge a firma del deputato Di Salvo vuole introdurre “un semplice meccanismo antielusivo consistente nel rendere obbligatorio il pagamento delle retribuzioni attraverso gli istituti bancari o gli uffici postali”, con la scelta del sistema di pagamento che sarà rimessa direttamente al lavoratore, il quale potrà optare per l’accredito diretto sul proprio conto corrente, per l’emissione di un assegno oppure per il pagamento in contanti presso lo sportello bancario o postale” (al fine di non rendere obbligatoria, per il lavoratore, l’apertura di un conto in banca o alla Posta). Soprattutto, sottolinea la proposta, viene stabilito che “la firma della busta paga non costituisce prova dell’avvenuto pagamento della retribuzione”.
La comunicazione al centro per l’impiego
Ulteriormente, la proposta di legge prevede che
il datore di lavoro, al momento dell’assunzione, comunica obbligatoriamente al centro per l’impiego competente gli estremi dell’istituto bancario o dell’ufficio postale che provvederà al pagamento delle retribuzioni al lavoratore, nel rispetto delle norme poste dal codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo n. 196 del 2003. La comunicazione, per evitare di attribuire nuovi carichi burocratici ai datori di lavoro, sarà inserita nello stesso modulo che i datori di lavoro inviano obbligatoriamente al centro per l’impiego quando compiono nuove assunzioni.
La modulistica sarà opportunamente modificata entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge per permettere l’effettuazione corretta della comunicazione, che potrà essere inviata anche telematicamente, secondo quanto previsto dalle norme vigenti in materia. Allo stesso modo l’ordine di pagamento potrà essere annullato solo con trasmissione all’istituto bancario o all’ufficio postale di copia della lettera di licenziamento o delle dimissioni del lavoratore, rese secondo le modalità di legge. È fatto salvo l’obbligo di effettuare tutti i pagamenti dovuti al lavoratore dopo la risoluzione del rapporto di lavoro.
Le sanzioni
Infine, la proposta prevede delle sanzioni in carico a quei datori di lavoro che non ottemperano agli obblighi introdotti dalla legge. In particolare, la proposta sancisce che “chi non comunica al centro per l’impiego gli estremi dell’istituto bancario o dell’ufficio postale che effettuerà il pagamento delle retribuzioni è soggetto al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria di 500 euro e al successivo accertamento della direzione provinciale del lavoro, che verificherà se le retribuzioni sono corrisposte direttamente dal datore di lavoro al lavoratore, nel qual caso sarà comminata una sanzione amministrativa pecuniaria che varia da un minimo di 5.000 euro a un massimo di 50.000 euro”.