Carta dei docenti ai precari – guida rapida
- Cos’è la carta del docente
- La formazione e la didattica
- La legge n. 107/2015
- L’istituzione della Carta del docente
- La destinazione della Carta
- I parametri di attribuzione della Carta
- Tra diritto interno e diritto europeo
La Carta del docente spetta o no anche ai docenti precari? Una recente sentenza ce lo spiega in modo chiaro.
Cos’è la carta del docente
Un docente ha agito dinanzi al Tribunale esponendo di essere un esponendo di essere un insegnante assunto a tempo indeterminato alle dipendenze del Ministero dell’Istruzione e di avere in precedenza prestato servizio con diversi contratti di supplenza annuale o fino al termine delle attività didattiche per gli anni scolastici 2016/2017, 2017/2018 e 2018/2019, senza però ricevere il beneficio della Carta Docente, pari a 500 euro annui per l’acquisito di beni o servizi formativi, come previsto dall’art. 1, comma 121, della L. n. 107/2015.
In particolare, il docente sottolineava come la Corte di Giustizia con pronuncia del 18 maggio 2022 avesse ritenuto che la clausola 4 punto 1 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato allegato alla Direttiva 1999/70/CE fosse ostativa ad una normativa nazionale che riservasse al solo personale docente a tempo indeterminato il beneficio della menzionata Carta Docente. Il provvedimento rimarcava anche che ai sensi dell’art. 282 del d. lgs. n. 297/1994 e degli artt. 29, 63 e 64 del CCNL di comparto, anche i docenti precari avessero diritto alla formazione ed aggiornamento professionale.
Il ricorrente sosteneva inoltre come il suo diritto alla Carta del Docente derivi dalla clausola 6 del menzionato Accordo Quadro, secondo cui
i datori di lavoro dovrebbero agevolare l’accesso dei lavoratori a tempo determinato a opportunità di formazione adeguate, per aumentarne le qualifiche, promuoverne la carriera e migliorarne la mobilità occupazionale.
È sempre il ricorrente a evidenziare come il suo diritto derivi anche dall’art. 14 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, secondo cui
ogni persona ha diritto all’istruzione e all’accesso alla formazione professionale e continua
mentre l’art. 21, par. 2, del Trattato per il Funzionamento dell’Unione Europea era da intendersi nel senso che la parità di trattamento nell’accesso alla formazione professionale non riguardava soltanto gli obblighi imposti all’istituto didattico, ma vietava altresì ogni misura atta ad ostacolare l’esercizio del diritto.
Il contrasto con il diritto UE
Come ultima tesi a proprio sostegno, il ricorrente affermava che il diniego di accesso alla Carta Docente si poneva in contrasto anche con i «principi generali del diritto U.E. di uguaglianza e parità di trattamento e di non discriminazione in materia di impiego e dei diritti fondamentali consacrati negli articoli 14, 20 e 21 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea».
Dunque, il docente insisteva affinché fosse disapplicata la normativa interna in contrasto con tali principi e fosse accertato il suo diritto ad usufruire della Carta Docente.
Il Ministero dell’Istruzione e del Merito resisteva, e il giudice del lavoro pronunciava ordinanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di Cassazione ex art. 363-bis c.p.c., essendo questioni non ancora definite dalla Suprema Corte, domandando se si possa giustificare una differenziazione di trattamento in ragione della durata della supplenza nel singolo anno scolastico, se il beneficio abbia carattere retributivo o riparatorio, se quella derivante dalla Carta Docente sia obbligazione
pecuniaria o di quale altra natura, se abbiano rilievo i peculiari vincoli e modalità di esercizio che il DPCM 28 novembre 2016 pone rispetto all’esercizio del diritto da parte dei docenti di ruolo e infine se i diritti del docente, in ragione della natura dell’obbligazione, siano soggetti a prescrizione quinquennale ovvero decennale.
La formazione e l’aggiornamento dei docenti
La pronuncia parte dall’esame dell’istituto della Carta Docente, che deve essere inserito nel più ampio contesto del sistema della formazione degli insegnanti scolastici.
In particolare, l’art. 282 del d. lgs. n. 297/1994 stabilisce, al comma 1, che
l’aggiornamento è un diritto-dovere fondamentale del personale ispettivo, direttivo e docente (…) inteso come adeguamento delle conoscenze allo sviluppo delle scienze per singole discipline e nelle connessioni interdisciplinari; come approfondimento della preparazione didattica; come partecipazione alla ricerca e alla innovazione didattico-pedagogica.
In modo coerente, l’art. 63 del CCNL di comparto afferma che
La formazione costituisce una leva strategica fondamentale per lo sviluppo professionale del personale, per il necessario sostegno agli obiettivi di cambiamento, per un’efficace politica di sviluppo delle risorse umane
aggiungendo poi che
l’Amministrazione è tenuta a fornire strumenti, risorse e opportunità che garantiscano la formazione in servizio
e come tale formazione si realizzi
anche attraverso strumenti che consentono l’accesso a percorsi universitari, per favorire l’arricchimento e la mobilità professionale
precisando poi l’impegno a realizzare
una formazione dei docenti in servizio organica e collegata ad un impegno di prestazione professionale che contribuisca all’accrescimento delle competenze richieste dal ruolo.
L’art. 64 del medesimo CCNL afferma poi che
la partecipazione ad attività di formazione e di aggiornamento costituisce un diritto per il personale in quanto funzionale alla piena realizzazione e allo sviluppo delle proprie professionalità.
Partendo da ciò, il Consiglio di Stato, sez. VII, 16 marzo 2022, n. 1842 si è già espresso in modo chiaro in tal senso, evidenziando l’esigenza di formazione dell’intero corpo docente, di ruolo e non, necessaria per l’erogazione del servizio scolastico.
La legge n. 107/2015
Si è poi giunti alla l. n. 107/2015, il cui art. 1, co. 124 stabilisce che
nell’ambito degli adempimenti connessi alla funzione docente, la formazione in servizio dei docenti di ruolo è obbligatoria, permanente e strutturale
Si richiama anche il fatto che il principio, coerentemente con il diritto-dovere di base di cui all’art. 282 cit., non distingue tra obblighi del lavoratore ed obblighi datoriali.
Tutto ciò premesso, si osserva come la nota si focalizzi sugli obblighi del datore di lavoro in materia, affermando che
le attività di formazione sono definite dalle singole istituzioni scolastiche in coerenza con il piano triennale dell’offerta formativa e con i risultati emersi dai piani di miglioramento delle istituzioni scolastiche previsti dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 marzo 2013, n. 80, sulla base delle priorità nazionali indicate nel Piano nazionale di formazione, adottato ogni tre anni con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, sentite le organizzazioni sindacali rappresentative di categoria
L’istituzione della Carta Docente
È in questo quadro c he viene introdotta la Carta Docente, con la previsione di sostenere in tal modo la formazione continua dei docenti e valorizzarne le competenze professionali. Si tratta di uno strumento elettronico che dovrebbe contribuire all’aggiornamento e alla formazione del docente di ruolo delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, di importo pari a 500 euro annui per anno scolastico, da utilizzarsi per:
- l’acquisto di libri e di testi, anche in formato digitale, di pubblicazioni e di riviste comunque utili all’aggiornamento professionale
- l’acquisto di hardware e software
- l’iscrizione a corsi per attività di aggiornamento e di qualificazione delle competenze professionali, svolti da enti accreditati presso il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, a corsi di laurea, di laurea magistrale, specialistica o a ciclo unico, inerenti al profilo professionale, ovvero a corsi post lauream o a master universitari inerenti al profilo professionale
- rappresentazioni teatrali e cinematografiche
- l’ingresso a musei, mostre ed eventi culturali e spettacoli dal vivo, nonché per iniziative coerenti con le attività individuate nell’ambito del piano triennale dell’offerta formativa delle scuole e del Piano nazionale di formazione di cui al comma 124.
Ciò posto, la norma di legge evidenzia due profili che fondano l’attribuzione secondo il disegno del legislatore.
Da una parte, la Carta Docente sarebbe destinata ai soli insegnanti di ruolo, manifestando così un approccio che affonda le radici nella scelta di curare la formazione e l’aggiornamento del personale che rappresenta, proprio per il trattarsi di dipendenti a tempo indeterminato, la struttura di fondo attraverso cui viene fornito il servizio educativo.
Dall’altra parte, la presenza di un importo di 500 euro in misura annua e per anno scolastico evidenzia il collegamento temporale tra tale sostegno alla formazione e la didattica, calibrandolo in ragione di un tale periodo di durata di quest’ultima.
La connessione tra Carta Docente e didattica
La forte connessione tra Carta Docente e didattica viene messa in evidenza anche dall’incipit della norma istitutiva, ove si dice che la Carta è finalizzata a “sostenere la formazione continua dei docenti”, ma vi aggiunge anche il fine di “valorizzarne le competenze professionali”, che indirizza verso un obiettivo di migliore svolgimento del servizio nella sua interezza proprio attraverso l’incremento di professionalità del personale e della didattica su base annua cui esso è stato rivolto.
Infine, la connessione con la didattica annua è coordinata anche con i tempi della programmazione didattico educativa cui il singolo docente è tenuto. Un indirizzo che esprime da parte del legislatore una scelta di discrezionalità normativa, finalizzata al miglior perseguimento dell’interesse del servizio scolastico.
La scelta avrebbe dunque potuto essere anche opposta, indirizzando il sostegno della formazione autonoma dei docenti precari, o destinata a tutti ed in pari misura, o quant’altro ancora. È evidente come l’impostazione della norma sia stata differente, rivolgendosi a sostenere la didattica su un piano di durata almeno annuale.
Appare altrettanto evidente come sia errato l’approccio di chi ritiene che la Carta Docente sia l’unico strumento di formazione, in ogni caso e per ogni durata dell’impegno didattico, valutato che tale strumento non esaurisce certo l’ambito dei possibili interventi formativi, essendo previsto dalle norme un più ampio novero di misure destinabili dal datore di lavoro alle varie tipologie di dipendenti.
La destinazione della Carta Docente ai soli insegnanti di ruolo
Tutto ciò premesso, la destinazione della Carta Docente ai soli insegnanti di ruolo intercetta anche il tema del divieto di discriminazione dei lavoratori a termine.
La Corte di Giustizia 18 maggio 2022 ha già ritenuto che, in presenza di un “lavoro identico o simile” e quindi di comparabilità, il principio di non discriminazione non può riservare quel beneficio ai soli docenti a tempo indeterminato.
In breve, la Carta Docente, pur introdotta con quei fini generali di tutela di una certa dimensione temporale del servizio educativo, si deve integrare con il piano dei rapporti di lavoro dei singoli, con quanto ciò comporta sotto il profilo della cura della parità di trattamento in questo ambito.
Risulta così evidente che l’avere il legislatore riferito quel beneficio all’“anno scolastico” non permetta di escludere da un’identica percezione di esso quei docenti precari il cui lavoro abbia analoga taratura.
Quanto riassunto conduce infine nell’affermare che sono proprio le ragioni obiettive perseguite dal legislatore ad impedire che, quando si presenti il medesimo dato temporale, il beneficio formativo sia sottratto ai docenti precari. I docenti precari, se svolgono una prestazione lavorativa pienamente comparabile, devono consequenzialmente ricevere analogo trattamento.
I parametri per allargare la Carta Docenti ai precari
Consolidato l’assunto di cui sopra, l’indagine deve essere indirizzata verso la ricerca di quei parametri che consentano di individuare quali siano le supplenze rispetto alle quali vi sia sovrapponibilità di condizioni, in maniera tale che l’obiettivo del legislatore non possa essere perseguito se non assicurando al contempo parità di trattamento.
Da questo punto di vista, non sono idonei i criteri calibrati su situazioni didattiche e lavorative del tutto particolari.
Per esempio, un riferimento è al caso del docente part time di ruolo, che ovviamente durante l’anno svolge meno giornate di lavoro, calcolate dal giudice del rinvio in centocinquanta e addirittura riducibili, secondo un calcolo elaborato nelle difese del ricorrente, a novanta giorni.
In tal senso, come si desume dall’Ordinanza Ministeriale 446/1997, integrativa del CCNL di comparto, il part time settimanale, nelle sue varianti orizzontale e verticale, si tara sull’intero anno scolastico e rientra nel concetto di didattica “annua” su cui si sta argomentando e che non necessariamente ricorre per qualunque tipo di supplenza.
Il part time verticale
Per quanto concerne per esempio il part time verticale su periodi diversi, l’Ordinanza lo ammette sulla base della “progettazione educativa di ciascuna istituzione scolastica e alla conseguente programmazione dell’attività didattica” e dunque su situazioni del tutto particolari e potenzialmente assai differenziate da caso a caso, che non permettano un’assimilazione alle supplenze conferite per la conduzione ordinaria dell’anno scolastico.
In maniera analoga, non si possono valorizzare particolari condizioni (come inidoneità per motivi di salute; docenti comandati, distaccati; presa di servizio solo ad anno iniziato) nelle quali la Carta viene attribuita a docenti di ruolo nonostante essi non svolgano attualmente attività di insegnamento o non l’abbiano svolta per una parte dell’anno scolastico. Si tratta infatti ancora di situazioni peculiari, in cui il riconoscimento del beneficio trova fondamento sul trattarsi di docenti stabilmente inseriti nell’ambito del servizio scolastico, ma al contempo si riconnette a situazioni di fatto di solo provvisoria inattività didattica o di inizio successivo di essa, tali da escludere un idoneo paragone.
Per la pronuncia è altresì non idoneo il dato normativo dei 180 giorni, valorizzato da alcune norme del sistema scolastico. Si tratta infatti di norme che riguardano specifici fenomeni (come la ricostruzione della carriera al passaggio di ruolo), e che non si prestano, per la singolarità dei fini per i quali sono dettate, a costituire un valido metro di paragone per le valutazioni ora necessarie per la definizione del senso di annualità di una didattica.
Il disposto della l. 124/1999
Alla luce di ciò si deve altresì considerare il disposto dell’art. 4, commi 1 e 2, della L. 124/1999. Al primo comma si prevede che
alla copertura delle cattedre e dei posti di insegnamento che risultino effettivamente vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano prevedibilmente tali per l’intero anno scolastico, qualora non sia possibile provvedere con il personale docente di ruolo delle dotazioni organiche provinciali o mediante l’utilizzazione del personale in soprannumero, e sempreché ai posti medesimi non sia stato già assegnato a qualsiasi titolo personale di ruolo, si provvede mediante il conferimento di supplenze annuali, in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale docente di ruolo.
In questo caso, il richiamo all’annualità della supplenza è esplicito. Il secondo comma stabilisce poi che
alla copertura delle cattedre e dei posti di insegnamento non vacanti che si rendano di fatto disponibili entro la data del 31 dicembre e fino al termine dell’anno scolastico si provvede mediante il conferimento di supplenze temporanee fino al termine delle attività didattiche
compreso dunque il caso in cui vi sia necessità di copertura per ore di insegnamento che non concorrono a costituire cattedre o posti orario.
In sintesi, l’obiettivo di politica scolastica ed educativa che calibra quello speciale beneficio sul piano della “didattica annua” non permette, per i docenti a tempo determinato un diverso trattamento.
Tra diritto interno e diritto europeo
L’art. 1, co. 121 cit. è dunque in contrasto con il principio di parità di trattamento di cui all’art. 4, punto 1, dell’Accordo Quadro, che esclude qualsiasi disparità di trattamento che non sia obiettivamente giustificata nei confronti dei lavoratori a tempo determinato.
Nella fattispecie, però, la disapplicazione non deve essere totale, ma limitata all’esclusione dei lavoratori precari dal beneficio.
In altre parole, l’art. 1, co. 121 della L. 107/2015 deve essere disapplicato, in quanto si pone in contrasto con la clausola 4 dell’Accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE, nella parte in cui limita il riconoscimento del diritto alla Carta Docente ai solo insegnanti di ruolo e non lo consente rispetto agli insegnanti incaricati di supplenze annuali o fino al termine delle attività didattiche.
Dunque, anche ai docenti precari spetta ed in misura piena quello stesso beneficio.
Tutto ciò valutato, si esprimono i seguenti principi di diritto:
Primo punto
La Carta Docente di cui all’art. 1, comma 121, L. 107/2015 spetta ai docenti non di ruolo che ricevano incarichi annuali fino al 31.8, ai sensi dell’art. 4, comma 1, L. n. 124 del 1999 o incarichi per docenza fino al termine delle attività di didattiche, ovverosia fino al 30.6, ai sensi dell’art. 4, comma secondo, della L. n. 124 del 1999, senza che rilevi l’omessa presentazione, a suo tempo, di una domanda in tal senso diretta al Ministero.
Secondo punto
Ai docenti di cui al punto 1, ai quali il beneficio di cui all’art. 1, comma 121, L. n. 107/2015 non sia stato tempestivamente riconosciuto e che, al momento della pronuncia giudiziale sul loro diritto, siano interni al sistema delle docenze scolastiche, perché iscritti nelle graduatorie per le supplenze, incaricati di una supplenza o transitati in ruolo, spetta l’adempimento in forma specifica, per l’attribuzione della Carta Docente, secondo il sistema proprio di essa e per un valore corrispondente a quello perduto, oltre interessi o rivalutazione, ai sensi dell’art. 22, comma 36, della L. n. 724 del 1994, dalla data del diritto all’accredito alla concreta attribuzione.
Terzo punto
Ai docenti di cui al punto 1, ai quali il beneficio di cui all’art. 1, comma 121, L. n. 107/2015 non sia stato tempestivamente riconosciuto e che, al momento della pronuncia giudiziale, siano fuoriusciti dal sistema delle docenze scolastiche, per cessazione dal servizio di ruolo o per cancellazione dalle graduatorie per le supplenze, spetta il risarcimento, per i danni che siano da essi allegati, rispetto ai quali, oltre alla prova presuntiva, può ammettersi la liquidazione equitativa, da parte del giudice del merito, nella misura più adeguata al caso di specie, tenuto conto delle circostanze del caso concreto (tra cui ad es. la durata della permanenza nel sistema scolastico, cui l’attribuzione è funzionale, o quant’altro rilevi), ed entro il massimo costituito dal valore della Carta, salvo allegazione e prova specifica di un maggior pregiudizio.
Quarto punto
L’azione di adempimento in forma specifica per l’attribuzione della Carta Docente si prescrive nel termine quinquennale di cui all’art. 2948 n. 4 c.c., che decorre dalla data in cui è sorto il diritto all’accredito, ovverosia, per i casi di cui all’art. 4, comma 1 e 2, L. n. 124/1999, dalla data del conferimento dell’incarico di supplenza o, se posteriore, dalla data in cui il sistema telematico consentiva anno per anno la registrazione sulla corrispondente piattaforma informatica; la prescrizione delle azioni risarcitorie per mancata attribuzione della Carta Docente, stante la natura contrattuale della responsabilità, è decennale ed il termine decorre, per i docenti già transitati in ruolo e cessati dal servizio o non più iscritti nelle graduatorie per le supplenze, dalla data della loro fuoriuscita dal sistema scolastico.