Cartella di pagamento con notifica da una PEC non iscritta nei pubblici registri – guida rapida
- I fatti
- I motivi della decisione
- La notifica a mezzo PEC
- Notifica valida anche da indirizzi non presenti in pubblici elenchi
- Il rigetto del ricorso
La Corte di Giustizia tributaria di primo grado di Napoli, con sentenza n. 6168/30 del 4 maggio 2023, è intervenuta sul tema della notifica della cartella di pagamento da un indirizzo PEC non iscritto nei pubblici registri.
Nella sua pronuncia, la Corte tributaria ha sancito che è valida la notifica della cartella di pagamento da un indirizzo di posta elettronica certificata che non risulta presente nei registri delle pubbliche amministrazioni del Ministero della Giustizia, se corredato dalla copia analogica della ricevuta di avvenuta consegna, completa di attestazione di conformità.
Insomma, anche questa modalità sarebbe del tutto idonea a certificare l’avvenuto recapito del messaggio e degli allegati, salva la prova contraria dell’esistenza di errori tecnici che sono riferibili al sistema informatizzato. L’onere della priva ricade sulla parte che solleva la relativa eccezione.
L’orientamento così affermato dalla Corte di Giustizia tributaria di primo grado di Napoli non è peraltro nuovo, e va a inserirsi in quello più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità degli ultimi anni.
Peraltro, si ricorda anche che in applicazione del principio del raggiungimento dello scopo, il collegio ha rigettato altresì l’eccezione della contribuente di inesistenza della notifica dell’atto impugnato. Ha poi disposto la trasmissione della sentenza e della copia dell’intero fascicolo alla Procura. In rapporto a tale ultimo profilo, i giudici hanno poi evidenziato che quanto dedotto nella memoria della ricorrente non costituisce effettiva proposizione di “querela di falso”, nonostante l’espressa definizione in tal senso nell’atto di parte.
I fatti
Come sempre, prima di procedere al commento sullo svolgimento del processo e sulle motivazioni della sentenza, cerchiamo di riepilogare brevemente i fatti.
Tutto ha inizio con il ricorso inviato da una contribuente, che ha impugnato la cartella di pagamento emessa dall’Agenzia delle Entrate – Riscossione, avente ad oggetto il mancato pagamento della Tarsu per gli anni 2014, 2015, 2016, 2017 in favore del Comune di Napoli.
In particolare, la contribuente ricorrente ha dedotto l’inesistenza della notifica della cartella esattoriale impugnata, poiché la comunicazione era proveniente da un indirizzo di posta elettronica certificata non ricompreso nei pubblici registri di cui al D.L. 179/2012. Si contesta altresì l’omessa notifica di alcun atto prodromico, e dunque l’intervenuta decadenza e prescrizione.
Con atti successivi si sono costituiti sia l’Agenzia delle Entrate – Riscossione che il Comune di Napoli, che hanno esposto le ragioni della infondatezza delle eccezioni mosse dal ricorrente, ribadendo la legittimità dell’atto impugnato e concludendo quindi per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, ovvero il suo rigetto.
I motivi della decisione
Condividiamo subito come il ricorso sia infondato. Il Comune di Napoli ha prodotto documentazione da cui emerge che sono stati notificati a mezzo posta gli avvisi di accertamento della Tari. Considerato che tale notifica produrrebbe effetto interruttivo, per il Comune non sarebbe maturata alcuna prescrizione. Posto poi che tali avvisi, pur regolarmente notificati, non sono mai stati impugnati, le uniche eccezioni in questa sede possono essere sollevate solo in relazione a eventuali vizi della cartella impugnata.
La notifica a mezzo PEC
Cominciamo dall’eccezione preliminare che è stata sollevata dalla contribuente, la Corte non accoglie la tesi secondo cui le notifiche effettuate da Agenzia Entrate Riscossione a mezzo PEC non compresa nei pubblici elenchi siano affette da inesistenza.
Su tale punto viene richiamata alla mente la recente pronuncia delle Sezioni Unite (ordinanza n. 15979 del 2022), secondo cui
va poi respinta l’eccezione di irricevibilità o inammissibilità del ricorso, per via di notifica proveniente da indirizzo di posta elettronica certificata del mittente che, non risultando dai registri PP.AA. del Ministero della Giustizia, inficerebbe di nullità l’atto così spedito, a propria volta non corredato da relata di notifica su documento separato in firma digitale.
in realtà, in primo luogo, la relata di notifica del ricorso risulta riferita ad atto, in formato integrale pdf, firmato digitalmente, allegato al messaggio di pec del 9.6.2020, con attestazione di conformità del documento analogico rispetto all’originale in versione informatica;
Con tali premesse, è integrato il principio, già statuito dalla stessa Corte con Cass. 20039/2020 e Cass. 6912/2022, per il quale la copia analogica della ricevuta di avvenuta consegna, completa di attestazione di conformità, e idonea a certificare l’avvenuto recapito del messaggio e degli allegati, salva la prova contraria, di cui è onerata la parte che sollevi la relativa eccezione, dell’esistenza di errori tecnici riferibili al sistema informatizzato, con deduzione e prova non fornite.
Riprendendo la pronuncia già citata, per la Corte di legittimità questo criterio di raggiungimento dello scopo sarebbe in grado di integrare l’ulteriore osservazione sul valore equipollente della provenienza della notifica da indirizzo di posta elettronica istituzionale della Corte dei Conti, rinvenibile nel rispettivo sito e dunque non incompatibile con la più stringente regola secondo cui la notificazione può essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante risultante da pubblici elenchi.
Notifica valida anche da indirizzi non presenti in pubblici elenchi
Peraltro, sempre secondo la stessa pronuncia non sarebbe utile osservare che il D.L. 18 ottobre 2012 n. 179, art. 16 ter, ricorrere a una definizione chiusa di pubblici elenchi, ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia giudiziaria nonchè per il registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della giustizia ovvero dell’Indice dei domicili digitali delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di pubblici servizi.
È in verità fatto obbligo alle amministrazioni di aggiornare gli indirizzi dell’Indice, la cui gestione è affidata all’AGID. L’eventuale incompletezza dell’elenco dei domicilii digitali è ipotetica ragione di responsabilità dirigenziale ma non inficia la regolare provenienza dell’attività notificatoria da indirizzo PEC comunque ricompreso tra quelli indicati dall’amministrazione pubblica stessa, così come sarebbe valida la ricezione allo stesso indirizzo PEC di atti e comunicazioni da terzi.
D’altronde, prosegue la sentenza, il D.L. n. 179 del 2012, art. 16 ter, comma 1 ter, menziona la pluralità dei domicilii digitali per la medesima P.A. nell’elenco tenuto da AGID indicando come riferimento di notificazione (passiva) l’indirizzo di posta elettronica certificata primario indicato, “secondo le previsioni delle Linee guida di AGID, nella sezione ente dell’amministrazione pubblica destinataria, così conferendo almeno rilevanza ad indirizzi dell’ente pur se non inclusi nel registro”.
Il principio di elettività della domiciliazione
Contemporaneamente, la maggiore rigidità del sistema delle notifiche digitali impone la notifica agli indirizzi oggetto di elencazione accessibile e registrata, realizzando così il principio di elettività della domiciliazione per chi ne sia destinatario, cioè soggetto passivo, e associando questa esclusività ad ogni onere di tenuta diligente del proprio casellario. Nessuna incertezza è invece posta ove sia il mittente a promuovere la notifica da proprio valido indirizzo PEC, come nel caso.
Infine, la costituzione del destinatario della notificazione, che abbia dimostrato di essere in grado di svolgere compiutamente le proprie difese, sottrae rilevanza all’ipotizzata irregolarità, avendo pienamente la notifica raggiunto lo scopo, senza alcuna incertezza in ordine alla sua provenienza e all’oggetto dell’impugnazione esperita dalla Procura notificante”.
Il rigetto del ricorso
Il giudizio della Corte tributaria si conclude richiamando quanto dedotto nella memoria illustrativa, che non costituirebbe un’effettiva proposizione di querela di falso, da proporre invece innanzi al Tribunale civile.
Su tale punto la Cassazione ha infatti più volte stabilito che il giudice tributario deve sospendere il giudizio dinanzi a esso pendente fino al passaggio in giudicato della decisione in ordine a una querela di falso, perché trattasi di un “accertamento pregiudiziale riservato ad altra giurisdizione, del quale il giudice tributario non può conoscere neppure incidenter tantum”.