Il contratto di cessione dei beni ai creditori – indice:
- Cos’è
- La rappresentanza
- Come funziona
- La forma
- L’oggetto
- Gli effetti
- Il riparto
- La risoluzione
- La trascrizione
- Nel concordato preventivo
L’ultimo capo del titolo terzo del codice civile dedicato alle obbligazioni reca la disciplina del contratto di cessione dei beni ai creditori.
L’articolo 1977 del codice civile definisce il negozio giuridico come “il contratto col quale il debitore incarica i suoi creditori o alcuni di essi di liquidare tutte o alcune sue attività e di ripartirne tra loro il ricavato in soddisfacimento dei loro crediti”.
Chiamato anche cessio bonorum il contratto di cessione dei beni ai creditori viene stipulato tra le parti per il soddisfacimento di quest’ultimi evitando di promuovere un’azione esecutiva nei confronti del debitore che si tradurrebbe in un procedimento dispendioso in termini di tempo e denaro.
La dottrina lo inquadra tra i contratti volti a risolvere le controversie e lo affianca infatti al contratto di transazione. A differenza di quest’ultimo tuttavia il contratto di cessione dei beni ai creditori può essere stipulato quando si è in presenza di una controversia già insorta e c’è un credito certo ed esigibile.
Viene molto utilizzato nelle procedure di concordato preventivo.
Cos’è il contratto di cessione dei beni ai creditori
Dalla nozione riportata dal codice civile si ricava che il contratto in esame ha natura consensuale. Viene stipulato infatti quando debitore e creditori decidono insieme di dirimere la controversia tra loro insorta in maniera più semplice rispetto agli altri rimedi possibili.
Le parti del contratto sono due. Si tratta dunque di un negozio bilaterale costituito tra un debitore e i creditori. Il primo assumerà la qualità di cedente i secondi di cessionario. Sebbene infatti si parli di creditori al plurale (le persone che vantano un credito infatti possono essere più di una) la dottrina ritiene che dal punto di vista del diritto sostanziale la titolarità del credito e la legittimazione processuale spettino ad un unico soggetto portatore di più interessi giuridici.
La più autorevole dottrina inoltre configura il contratto di cessione dei beni ai creditori come un mandato in rem propriam cioè il mandato in cui è prevalente l’interesse del mandatario su quello del mandante. L’interesse prevalente dei creditori è giustificato dal fatto che, ad esempio, in sede di concordato preventivo questi possono farsi liquidare i beni del debitore privatamente anziché mediante procedimento giudiziario più lungo e costoso.
Solo i creditori che prendono parte al contratto di cessione possono soddisfarsi, gli altri possono agire mediante altri strumenti. In ogni caso i creditori hanno diritto di prendere parte del contratto sin dall’origine o in un momento successivo anteriore alla liquidazione dei beni.
I creditori non partecipanti alla cessio bonorum
Il debitore può stipulare il contratto di cessione dei beni ai creditori con tutti o solo alcuni di essi. In questo secondo caso pertanto ci saranno dei creditori esclusi dalla cessio bonorum. Tali creditori vanno distinti in:
- creditori anteriori alla cessione;
- creditori posteriori alla cessione.
I primi possono agire esecutivamente sui beni oggetto di cessione ai sensi del secondo comma dell’articolo 1980 del codice civile.
I secondi invece possono soddisfarsi soltanto sui beni che non sono vincolati dal contratto di cessione concorrendo eventualmente con i creditori anteriori non cessionari. Si applicano a questi in ogni caso le regole di cui all’articolo 2915 del codice civile.
La rappresentanza
Sovrapponendo il contratto di cessione di beni ai creditori nel modello del mandato, la dottrina si è chiesta se si tratti di mandato con o senza rappresentanza. Prevale l’opinione secondo cui tale contratto si configurerebbe come un mandato con rappresentanza. L’interesse tuttavia in questo caso è non solo del rappresentato (il debitore) bensì anche del rappresentante (i creditori).
Come funziona il contratto di cessione dei beni ai creditori
Proseguendo con la disciplina dettata dal codice civile si vedrà che il contratto di cessione dei beni ai creditori è un contratto a prestazioni corrispettive. Sorgono infatti in capo alle parti molteplici obblighi che si ricavano dagli articoli 1979 e seguenti del codice civile.
L’articolo 1979 in particolare stabilisce che “L’amministrazione dei beni ceduti spetta ai creditori cessionari. Questi possono esercitare tutte le azioni di carattere patrimoniale relative ai beni medesimi”. La norma trasferisce in capo ai creditori il potere di amministrare e quindi di disporre dei beni del debitore ma non trasferisce alcun titolo di proprietà. Lo scopo è quello di soddisfare i creditori: questi in tal modo possono convertire i beni del debitore in denaro per soddisfare il proprio credito.
Di contro il debitore per effetto della cessione perde la disponibilità dei beni ai sensi dell’articolo 1980, primo comma, del codice civile. Resta tuttavia abilitato all’esercizio di alcune attività relative ai beni ceduti che non siano in contrasto con gli interessi dei creditori. La Cassazione, con sentenza n. 5177/1990, affermava a tal proposito che “con il contratto di cessione dei beni ai creditori viene attribuito ai cessionari soltanto un potere di disposizione finalizzato alla liquidazione ed al riparto per cui il debitore cedente conserva la titolarità e l’esercizio diretto delle azioni relative alle attività cedute, che può espletare anche nei rapporti interni della cessione, senza che l’esercizio di tali azioni comporti la necessità del litisconsorzio dei creditori cessionari”.
Forma
Il codice civile obbliga a stipulare il contratto di cessione dei beni ai credito in forma scritta. La forma scritta è richiesta ad sustantiam. Il contratto concluso oralmente infatti è nullo.
L’articolo 1978 del codice civile al secondo comma stabilisce che “Se tra i beni ceduti esistono crediti, si osservano le disposizioni degli articoli 1264 e 1265”. Se oggetto del contratto sono crediti pertanto si applicano le regole sulla cessione del credito.
Oggetto del contratto di cessione dei beni ai creditori
Sebbene il codice civile abbia riassunto l’istituto titolandolo cessione dei beni ai creditori, tali beni vengono nella nozione data all’articolo 1977 individuati in “attività”.
Tali attività pertanto, a parere della dottrina, si identificano con una serie di diritti: reali, di credito, su beni immateriali, su marchi e brevetti, quote societarie o di comunione ovvero tutto quanto può essere convertito in denaro.
Effetti della cessione
Si è già detto che con la cessione il debitore non può più disporre dei beni ceduti che vengono invece amministrati dai creditori. Gli atti di alienazione posti in essere dal debitore saranno pertanto inefficaci. Gli effetti del contratto dunque non si esplicano solo fra le parti ma anche verso i terzi. I creditori cessionari tuttavia, afferma l’ultimo comma dell’articolo 1980 del codice civile, non possono agire esecutivamente sulle attività che non sono oggetto del contratto prima di aver liquidato quelle cedute. Solo quando, dopo aver liquidato quelle oggetto di contratto, non si è raggiunto il soddisfacimento integrale dei creditori, gli stessi possono allora agire esecutivamente sulle altre attività per la parte rimanente.
Le spese da sostenere per la liquidazione dei beni devono essere sostenute dai creditori. Sia da quelli che hanno aderito al contratto sin dall’origine sia da quelli che vi hanno aderito successivamente. Il sostenimento delle spese può avvenire tramite anticipazione o tramite ricavato dalla liquidazione stessa ai sensi dell’articolo 1981 del codice civile.
Il secondo comma dell’articolo 1983 del codice civile afferma che per la gestione della liquidazione dei beni può essere nominato un liquidatore. L’elezione di tale figura può anche avvenire ad opera dei creditori. In ogni caso questi deve rendere il conto della gestione anche al debitore. Il primo comma della stessa norma infatti stabilisce che “Il debitore ha diritto di controllare la gestione e di averne il rendiconto alla fine della liquidazione, o alla fine di ogni anno se la gestione dura più di un anno”.
Il riparto dei beni e la liberazione del debitore
Il contratto di cessione dei beni dei creditori è finalizzato al soddisfacimento di quest’ultimi che in forza dell’articolo 1977 del codice civile si ripartiscono tra di loro il ricavato. Ma come avviene la ripartizione? A dettarne le regole è l’articolo 1982 che stabilisce che “I creditori devono ripartire tra loro le somme ricavate in proporzione dei rispettivi crediti, salve le cause di prelazione”.
I creditori partecipanti alla cessio bonorum, dunque, procedono alla ripartizione secondo l’entità del proprio credito, sia che oggetto della cessione siano tutti o solo alcuni beni del debitore. In ogni caso, non sono preferiti rispetto ai creditori non cessionari che, si ricorda, possono agire esecutivaente sui beni ceduti.
Una volta effettuata la ripartizione e soddisfatti i creditori la restante parte spetta al debitore. Ai sensi dell’articolo 1984 del codice civile “Se non vi è patto contrario, il debitore è liberato verso i creditori solo dal giorno in cui essi ricevono la parte loro spettante sul ricavato della liquidazione, e nei limiti di quanto hanno ricevuto”. Se vi è patto contrario, ovvero le parti stabiliscono che il debitore è liberato con la mera cessione dei beni senza diritto all’eventuale eccedenza derivante dal ricavato della liquidazione, la fattispecie non si configura più come cessione di beni ai creditori bensì come datio in solutum. Il debitore avrebbe cioè estinto il rapporto obbligatorio con un’obbligazione diversa da quella originariamente sorta. E in tal caso infatti la mera cessione dei beni comporterebbe direttamente il trasferimento della proprietà in capo al cessionario (i creditori).
La risoluzione del contratto
Il contratto di cessione dei beni ai creditori può essere risolto:
- per effetto del recesso unilaterale del debitore;
- quando sorge la causa di invalidità di cui all’articolo 1986 del codice civile;
- per inadempimento di una delle parti del contratto.
Il recesso del debitore
L’ipotesi di recesso è disciplinata dall’articolo 1985 del codice civile secondo cui “Il debitore può recedere dal contratto offrendo il pagamento del capitale e degli interessi a coloro con i quali ha contrattato o che hanno aderito alla cessione. Il recesso ha effetto dal giorno del pagamento”. In tal caso il debitore è tenuto a rimborsare al creditore le spese di gestione sostenute.
L’annullamento del contratto
Causa di invalidità del contratto può essere invece la dissimulazione del debitore di parte dei beni oggetto del contratto di cessione, ovvero l’occultamento di passività o la simulazione di passività inesistenti. Tali comportamenti fraudolenti sono posti in essere dal debitore per indurre i creditori ad una valutazione economica errata dei beni del suo patrimonio e spingerli alla conclusione del contratto. In tal caso, ai sensi dell’articolo 1986 del codice civile, può essere richiesto l’annullamento del contratto.
L’inadempimento di una delle parti
La stessa norma ammette infine una terza e ultima ipotesi di scioglimento del contratto: la risoluzione per inadempimento secondo le regole generali previste dal codice civile agli articoli 1453 e seguenti.
La dottrina ha individuato alcuni comportamenti del debitore sintomatici di suo inadempimento quali ad esempio la mancata messa a disposizione dei beni ai creditori, la continuazione a disporre degli stessi ovvero intralciare le operazioni di liquidazione.
I creditori invece potrebbero essere inadempienti quando lascino a carico del debitore l’inizio e la prosecuzione delle azioni esecutive, quando ostacolino il controllo sulla gestione del debitore oppure quando sia inerti nel procedere con la liquidazione dei beni.
I creditori che vogliano agire per chiedere la risoluzione del contratto devono farlo costituendo un’unica parte non potendo agire ciascuno individualmente. Per lo stesso criterio il debitore deve agire nei confronti di tutti i creditori inadempienti considerati tutti responsabili anche se l’inadempimento dipende da solo alcuni di questi.
La trascrizione del contratto
Condizione necessaria affinché si costituisca il vincolo di indisponibilità sui beni immobili e mobili registrati oggetto del contratto di cessione e affinché tale vincolo possa essere opposto a terzi è che il contratto venga trascritto.
Per i beni mobili registrati recita infatti l’articolo 2687 del codice civile che “Deve essere trascritta, per gli effetti indicati dall’articolo 2649, la cessione che il debitore fa dei suoi beni ai creditori, perché questi procedano alla liquidazione dei medesimi e alla ripartizione del ricavato”.
Parallelamente, l’articolo 2649 del codice civile ordina di trascrivere il contratto di cessione avente ad oggetto beni immobili stabilendo che “Deve essere trascritta, qualora comprenda beni immobili, la cessione che il debitore fa dei suoi beni ai creditori, perché questi procedano alla liquidazione dei medesimi e alla ripartizione del ricavato”.
Trattasi dunque di trascrizione come forma di pubblicità costitutiva e non meramente dichiarativa. È anche ai fini di quest’ultima che il contratto di cessione necessita della forma scritta.
Cessione dei beni ai creditori e concordato preventivo
Come si diceva nell’introduzione, il contratto di cessione dei beni ai creditori viene spesso utilizzato nell’ambito della procedura di concordato preventivo.
La giurisprudenza (si legga ad esempio la sentenza n. 7263/2008 della Corte di Cassazione) ritiene inammissibile che la cessione dei beni ai creditori in tale procedura possa riguardare solo alcuni beni e non tutto il patrimonio del debitore.
Altro aspetto controverso nel concordato preventivo con cessione di beni ai creditori è la nomina del liquidatore che sembra obbligatoria da quanto si legge nella legge fallimentare. L’articolo 182 di tale raccolta normativa al primo comma stabilisce infatti che “Se il concordato consiste nella cessione dei beni e non dispone diversamente, il tribunale nomina nel decreto di omologazione uno o più liquidatori e un comitato di tre o cinque creditori per assistere alla liquidazione e determina le altre modalità della liquidazione”.
La giurisprudenza tuttavia non è unanime sulla questione. In alcuni casi infatti ha escluso la nomina del liquidatore da parte del giudice. È il caso ad esempio affrontato dal tribunale di Novara il 6 giugno 2011 in cui il giudice ha stabilito che il tribunale non deve procedere alla nomina del liquidatore se si è verificato il trasferimento del diritto di proprietà in capo ai creditori oppure se è stata effettuata la liquidazione di tutti i beni prima della proposta di concordato preventivo. In altri casi ha ritenuto inammissibile la domanda di concordato preventivo che escludesse la nomina del liquidatore.
Da ultimo, nella sentenza 33422/2019 la Corte di Cassazione ha invece stabilito che “In caso di concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori, la legittimazione a disporne viene attribuita al commissario liquidatore, che agisce nella veste di mandatario dei creditori, mentre il debitore mantiene, oltre che la proprietà dei beni, anche la legittimazione processuale”.