Compensazione rapporti bancari – indice
- Cos’è la compensazione dei rapporti bancari
- La comunicazione al cliente
- Il fallimento del cliente
- Le sentenze
La compensazione dei rapporti bancari prevede che l’istituto di credito possa compensare il credito e il debito vantato nei confronti di uno stesso cliente. Dunque, la banca potrebbe teoricamente girocontare il saldo positivo di un conto corrente intestato a un individuo, per coprire il saldo negativo di un altro conto corrente intestato allo stesso individuo.
Ma quali sono i limiti? E quali sono le facoltà concesse all’istituto di credito?
Cerchiamo di occuparci di questo tema in un completo approfondimento che abbiamo voluto dedicare a tale argomento, nell’auspicio che possa esaudire tutti i principali interrogativi.
Cos’è la compensazione dei rapporti bancari
A parlare di compensazione dei rapporti bancari è innanzitutto il Codice Civile, all’art. 1853, ove si dispone che:
Se tra la banca e il correntista esistono più rapporti o più conti, ancorché in monete differenti, i saldi attivi e passivi si compensano reciprocamente, salvo patto contrario.
Dunque, in forza del tenore letterale di tale norma, l’istituto di credito può ben scegliere di estinguere il debito del cliente che risulta da un rapporto, compensandolo con il credito dello stesso cliente che risulta da altro rapporto.
Peraltro, si tenga anche in considerazione che l’azione di compensazione non richiede alcun tipo di preventiva comunicazione. Pertanto, la banca interessata a procedere in tal senso non dovrà nemmeno richiedere l’autorizzazione al cliente. O, in alternativa, effettuare una segnalazione di tale azione prima di formalizzarla, potendo ben procedere autonomamente all’estinzione del debito.
La comunicazione al cliente
Sancito che l’istituto di credito può ben esercitare il diritto di compensazione dei rapporti bancari, e che non deve avvisare il cliente preventivamente, rimane altresì inteso che una comunicazione potrebbe (o dovrebbe?) essere almeno effettuata a posteriori.
Di fatti, in relazione alla comunicazione successiva alla compensazione, la giurisprudenza ha più volte precisato che la banca dovrà attenersi ai principi di buona fede nell’esecuzione del contratto.
Dunque, occorrerà valutare – eventualmente, in sede processuale – le ragioni del cliente dell’istituto di credito che dovesse aver subito qualche pregiudizio dal comportamento della banca che non lo ha informato prontamente.
Per esempio, potrebbe essere il caso del correntista che ha emesso un assegno bancario coperto da adeguata provvista, ma che il giorno dell’incasso è risultato essere scoperto a causa della compensazione prodotta dall’istituto di credito, con le conseguenze pregiudizievoli ai termini di legge.
In questi scenari al giudice spetterà il compito di valutare il comportamento dell’istituto di credito sulla base del principio della buona fede nell’esecuzione del contratto. Il giudice dovrà verificare, sulla base della fattispecie concreta, per esempio:
-
se l’invio della comunicazione è avvenuto o meno;
-
se la comunicazione è stata inviata tempestivamente o in ritardo;
-
l’ipotesi in cui il ritardo sia o meno giustificato.
Proprio per questo motivo, fermo restando che il carattere legale della composizione implica che si prescinda da un’autorizzazione del correntista, sarebbe opportuno che l’istituto di credito manifesti al cliente la volontà di procedere con la compensazione. In questo modo il correntista non sarà privato dell’affidamento sulla propria disponibilità esistente.
Compensazione rapporti bancari e fallimento del cliente
Un cenno va poi ricondotto a quanto stabilito dalla legge fallimentare e, in particolar modo, all’art. 56 del r.d. n. 267 del 16 marzo 1942 che, come noto, permette ai creditori di compensare i loro debiti verso il soggetto fallito con i crediti che vantano verso lo stesso, ancorché non scaduti prima della dichiarazione di fallimento. Tuttavia, nel caso di dichiarato fallimento del titolare del conto corrente, non può verificarsi alcuna compensazione legale ex art. 56 l.f.
Di fatti, in questo scenario, qualora la banca accetti e annoti accrediti effettuati da i debitori del correntista, che andranno a contenere l’esposizione debitoria del titolare del conto, si realizzerebbe una semplice operazione contabile tra l’attivo e il passivo del conto.
Mancherebbe insomma, in questo ambito, il presupposto della compensazione legale di cui abbiamo già detto, ex art. 1853 c.c., che opera solamente in presenza di crediti e di debiti che derivano da diversi rapporti.
Se infine la banca ha annotato accrediti sul conto corrente dopo la dichiarazione di fallimento del titolare dello stesso, le annotazioni saranno inefficaci ex art. 44 comma 2, l.f., secondo cui
Sono egualmente inefficaci i pagamenti ricevuti dal fallito dopo la sentenza dichiarativa di fallimento.
Compensazione rapporti bancari: Sentenze
Di seguito abbiamo riassunto una rassegna delle principali sentenze in materia di compensazione dei rapporti bancari e di compensazione bancaria illegittima o legittima.
Cassazione civile, sez. I, sentenza 31/05/2016 n. 11259
La Suprema Corte ha chiarito che se tra banca e correntista intercorre una pluralità di rapporti o di conti, i saldi attivi e passivi possono compensarsi reciprocamente.
Per gli Ermellini, dunque, non rileva che difetti l’eccezione o il mero rilievo, perché la compensazione opera automaticamente senza bisogno della proposizione di apposita eccezione, in virtù di quanto stabilito dal codice civile sulla unitarietà dei rapporti contrattuali che legano banca e correntisti.
Cassazione civile, sez. I, sentenza 28/09/2005 n. 18947
In quella che è una delle più importanti sentenze sul tema, la Corte di Cassazione ha chiarito che nel caso in cui il cliente intrattenga con la stessa banca una pluralità di rapporti di conto corrente, è possibile che l’istituto di credito, ex art. 1853 c.c., possa effettuare la compensazione dei saldi e attivi e passivi.
Come già rammentato in questo approfondimento, all’epoca i giudici della Suprema Corte considerarono che nell’operare in questo modo la banca non può prescindere dal rispetto dei principi di buona fede e correttezza, preservando gli interessi del correntista. Pertanto, all’istituto di credito è richiesto di comunicare al correntista le proprie intenzioni.
Il commento
Nel commentare il caso in esame, i giudici ricordarono innanzitutto come non si possa equiparare la scritturazione delle operazioni contabili su uno stesso conto, con la compensazione tra conti diversi. Il motivo è semplice: tra i risultati di operazioni di segno opposto che sono registrate nel corso di un rapporto di conto corrente non si verifica alcuna compensazione. Si tratta infatti di un unico rapporto, che nel suo svolgimento è soggetto a continue modificazioni quantitative. Ne deriva che il saldo che da esse consegue è il risultato contabile dei movimenti del conto operati dal correntista nell’ambito della sua disponibilità.
Ben diversa è invece la compensazione ex art. 1853 c.c., che può essere oggetto di una clausola contrattuale. Tale ipotesi di compensazione riguarda infatti più rapporti o più conti esistenti tra l’istituto di credito e lo stesso cliente, che le parti hanno ritenuto di mantenere distinti sia formalmente che contabilmente.
Ebbene, in questo ultimo caso è naturalmente ammissibile la compensazione tra i saldi dei diversi conti. E anche mentre i rapporti sono ancora in corso. Ma non può essere in questo ambito ritenuta irrilevante la comunicazione dell’esercizio della facoltà di compensare da parte della banca.
Una comunicazione obbligatoria?
In tale pronuncia i giudici ritennero pacifico che la comunicazione dell’esercizio della facoltà di compensazione da parte della banca dovesse essere esplicitata attraverso una apposita dichiarazione. E, dunque, non solo attraverso la semplice annotazione nel conto.
Per gli Ermellini si arriva così a dover soddisfare due esigenze opposte. Da una parte quella del correntista che in buona fede fa affidamento sul saldo del proprio conto. Dall’altra parte quelle della banca che vuole rispettare le clausole contrattuali pattuite.
Tali opposti interessi – concludono poi i giudici – possono essere bilanciati attraverso l’applicazione del principio di correttezza e di buona fede nell’esecuzione del contratto, di cui all’art. 1375 c.c.