Conciliazione: non è valida se è effettuata nella sede aziendale – guida rapida
- La nullità del verbale di conciliazione
- La sede di conciliazione
- La protezione del lavoratore
- La sottoscrizione dell’accordo presso la sede societaria
L’ordinanza n. 10065 del 15 aprile 2024 da parte della Corte di Cassazione ha stabilito che la conciliazione in sede sindacale non può ritenersi validamente conclusa se effettuata presso la sede aziendale, non potendosi la sede aziendale annoverarsi tra le sedi protette, quelle aventi il carattere di neutralità indispensabile, o garantire la libera determinazione della volontà del lavoratore.
La nullità del verbale di conciliazione
La Corte d’Appello di Napoli aveva respinto l’appello di una società per azioni, datore di lavoro, confermando la sentenza di primo grado che, accogliendo il ricorso del lavoratore, aveva dichiarato la nullità del verbale di conciliazione sottoscritto tra le parti e condannato la società al pagamento, in favore del lavoratore, di una somma di denaro.
Quindi, la Corte territoriale ha premesso in questo ambito che, con il citato verbale conciliazione, la società si era impegnata a
non dare seguito ai preavvisati licenziamenti collettivi di cui alla lettera di apertura della procedura di mobilita del 24.11.2015 … a condizione che tutte le maestranze manifestassero la propria accettazione alla proposta di riduzione della retribuzione mensile nella misura del 20% dell’imponibile fiscale per il periodo dall’1.3.2016 al 28.2.2018 eventualmente prorogabile per un massimo di altri due anni.
La Corte ha poi condiviso come l’accettazione della proposta doveva avvenire mediante
la sottoscrizione del verbale di conciliazione, da ratificarsi successivamente con le modalità inoppugnabili indicate negli artt. 410 e 411 c.p.c.
Ancora, viene annotato come il lavoratore aveva accettato la proposta di riduzione della retribuzione in misura del 20% allo scopo di scongiurare il rischio di licenziamento e che nel verbale sottoscritto dalle parti si dava atto che
il rappresentante sindacale ha previamente e dettagliatamente informato il lavoratore in merito agli effetti definitivi e inoppugnabili ex art. 2113 quarto comma c.c. della conciliazione.
La sentenza d’appello e il ricorso
La sentenza d’appello ha richiamato l’art. 2013 c.c., come modificato dall’art. 3 d.lgs. 81 del 2015, che ha reso legittimo il patto di riduzione della retribuzione concluso nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, stipulato nelle sedi di cui all’art. 2113 c.c. o davanti alle commissioni di conciliazione, sancendo così la nullità di ogni patto contrario.
Ancora, la sentenza d’appello ha accertato che la stipula dell’accordo conciliativo era avvenuta, nel caso in esame, presso la sede aziendale, alla presenza del rappresentante sindacale. Ha poi ritenuto che la presenza del rappresentante sindacale presso i locali dell’azienda non valesse a sanare il difetto di neutrality del luogo di stipula dell’accordo e che, infatti, le stesse parti avevano previsto la successiva ratifica dell’accordo presso le sedi abilitate.
Contro questa sentenza il datore di lavoro ha proposto ricorso per Cassazione affidato ad un unico motivo con cui deduce violazione e la falsa applicazione degli artt. 411 c.p.c., 2113 e 2103 c.c. nonché degli artt. 1362, 1363, 1366, 1369 c.c. e degli artt. 2727, 2728 e 2729 c.c. per avere la Corte d’appello erroneamente giudicato invalida la conciliazione intervenuta tra le parti in quanto svolta, non presso la sede sindacale, bensì presso i locali sede dell’azienda.
Il motivo di ricorso
In sintesi, la società datore di lavoro assume erronea l’interpretazione data dai giudici di appello per aver considerato la “sede sindacale” di cui all‘art. 411 c.p.c. come luogo fisico-topografico e non invece come luogo virtuale di protezione del lavoratore, che si realizza attraverso l’effettiva assistenza in sede di conciliazione da parte del rappresentante sindacale cui lo stesso abbia conferito mandato.
La società sostiene infatti che è soltanto l’assenza di una effettiva assistenza sindacale, il cui onere di prova grava sul lavoratore, a poter determinare l’invalidità dell’accordo conciliativo, ove pure sottoscritto nella sede “fisica” dell’associazione sindacale.
Ribadisce ancora il datore di lavoro che nella fattispecie in esame il lavoratore fu assistito dal rappresentante sindacale che partecipò all’incontro e sottoscrisse il verbale. Rileva infine che la locuzione contenuta nel verbale di conciliazione con cui si rinvia ad una
ratifica successiva (..) con le modalità inoppugnabili indicate dagli artt. 410 e 411 c.p.c.
si riferiva all’adempimento già realizzato con la sottoscrizione alla presenza e con |’assistenza del rappresentante sindacale.
La sede di conciliazione
Per la Cassazione, tuttavia, il ricorso non è fondato.
I giudici della Suprema Corte ricordano innanzitutto come l’art. 2103 c.c., nel testo modificato dal d.lgs. 81 del 2015 applicabile ratione temporis, prevede al sesto comma che
nelle sedi di cui all’articolo 2113, quarto comma, o avanti alle commissioni di certificazione, possono essere stipulati accordi individuali di modifica delle mansioni, della categoria legale e del livello di inquadramento e della relativa retribuzione, nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita. Il lavoratore può farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro.
Ancora, l’art. 2113 c.c., al primo comma, definisce non valide le rinunzie e le transazioni che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili di legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all’articolo 409 del codice di procedura civile.
Il quarto comma esclude il divieto e, quindi, legittima le rinunzie e le transazioni se sono oggetto di
conciliazione intervenuta ai sensi degli articoli 185, 410, 411 e 412-ter e 412-quater del codice di procedura civile.
La protezione del lavoratore
Rammentano ancora i giudici di legittimità come il legislatore abbia ritenuto necessaria una forma peculiare di protezione del lavoratore, che si realizza con la previsione dell’invalidità delle rinunzie e delle transazioni che hanno ad oggetto diritti inderogabili e con l’introduzione di un termine di decadenza per l’impugnativa, in modo tale da riservare al lavoratore la possibilità di riflettere sulla convenienza dell’atto compiuto e di ricevere consigli al riguardo.
Questa particolare forma di protezione giuridica è ritenuta non necessaria in presenza di adeguate garanzie costituite dall’intervento di organi pubblici qualificati, operanti in sedi cd. protette.
Le disposizioni operanti richiamate dall’’ultimo comma dell’art. 2113 c.c. individuano quali sede c.d. protette
- la sede giudiziale,
- le commissioni di conciliazione presso la Direzione Provinciale del Lavoro, ora Ispettorato Territoriale del Lavoro,
- le sedi sindacali,
- i collegi di conciliazione e arbitrato.
Ciò rammentato, l’accordo conciliativo tra le parti in causa è stato concluso ai sensi degli artt. 410 e 411 c.p.c. e 2113, quarto comma cod. civ., come si legge nell’intestazione, e reca la precisazione che lo stesso è da ratificarsi successivamente con le modalità inoppugnabili indicate agli artt. 410 e 411 c.p.c.
La sottoscrizione dell’accordo presso la sede societaria
Per i giudici della Suprema Corte, è pacifico che tale adempimento non sia mai avvenuto e che l’accordo in esame è stato sottoscritto dal datore di lavoro e dal lavoratore, alla presenza di un rappresentante sindacale, presso i locali della società.
Ebbene, questa modalità non soddisfa i requisiti normativi previsti ai fini della validità delle rinunce e delle transazioni, in base alle disposizioni richiamate e correttamente la sentenza impugnata ha dichiarato la nullità dell’accordo in esame.
Di fatto, precisa ulteriormente la sentenza, nel nostro sistema normativo la protezione del lavoratore non è affidata unicamente alla assistenza del rappresentante sindacale, ma anche al luogo in cui la conciliazione avviene, quali concomitanti accorgimenti necessari al fine di garantire la libera determinazione del lavoratore nella rinuncia a diritti previsti da disposizioni inderogabili e l’assenza di condizionamenti, di qualsiasi genere.
Le disposizioni del codice di procedura civile sopra riassunte individuano infatti non solo gli organi dinanzi ai quali possono svolgersi le conciliazioni ma anche le sedi ove ciò può avvenire, come emerge in modo inequivoco dal tenore letterale delle stesse.
In particolare, l’art. 410 prevede che il tentativo di conciliazione possa avvenire presso la commissione di conciliazione e l’art. 411, terzo comma, fa riferimento alla conciliazione in sede sindacale.
L’assistenza prestata da rappresentanti sindacali deve essere effettiva e ha lo scopo di porre il lavoratore in condizione di sapere a quale diritto rinunci e in che misura, in modo tale da consentire l’espressione di un consenso informato e consapevole.
I luoghi selezionati dal legislatore hanno carattere tassativo e non ammettono, pertanto, equipollenti, sia perché direttamente collegati all’organo deputato alla conciliazione e sia in ragione della finalità di assicurare al lavoratore un ambiente neutro, estraneo all’influenza della controparte datoriale.
Il rigetto del ricorso
Ecco, dunque, che si giunge al rigetto del ricorso principale, dovendosi ribadire che la conciliazione in sede sindacale, ai sensi dell‘art. 411, comma 3, c.p.c., non possa essere validamente conclusa presso la sede aziendale, non potendo quest’ultima essere annoverata tra le sedi protette, avente il carattere di neutralità indispensabile a garantire, insieme all’assistenza prestata dal rappresentante sindacale, la libera determinazione della volontà del lavoratore.