La condanna – indice:
L’articolo 533 del codice di procedura penale introduce la disciplina della sentenza di condanna affermando al primo comma che:
“Il giudice pronuncia sentenza di condanna se l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio. Con la sentenza il giudice applica la pena e le eventuali misure di sicurezza”.
La condanna costituisce il contenuto della sentenza emanata dal giudice all’esito del giudizio quando l’imputato risulta colpevole. Al contrario se l’imputato non risulta colpevole e viene prosciolto nel merito il giudice pronuncia una sentenza di assoluzione.
Il codice di procedura penale disciplina in maniera puntuale la sentenza di condanna e i suoi effetti agli articoli dal 533 al 537-bis.
Cos’è la condanna
Si ha sentenza di condanna quando il giudice al termine della discussione finale del dibattimento ritiene l’imputato colpevole “al di là di ogni ragionevole dubbio”. Tale ultimo requisito ai fini della condanna è stato introdotto dall’articolo 5 della legge n. 46/2006 che ha previsto una serie di modifiche al codice di procedura penale. La Cassazione, tuttavia, nel 2009 con sentenza n. 15911 ha stabilito che tale requisito “non impedisce che la condanna sia pronunciata in appello con riforma di una sentenza di assoluzione di primo grado”.
La sentenza ha un contenuto minimo e con essa il giudice applica la pena ed eventualmente le misure di sicurezza.
La condanna può riguardare più reati. In tal caso il giudice stabilisce la pena per ciascuno di essi e determina la misura di quella da applicare in base alle norme sul concorso di reati e sul reato continuato.
Con la sentenza di condanna il condannato può essere dichiarato delinquente o contravventore abituale o professionale o per tendenza.
Come funziona
Volendo rendere in concreto come il giudice arriva a deliberare la sentenza penale di condanna si possono riassumere i seguenti passaggi. Il giudice procede:
- ad accertare il fatto di reato, a verificarne e stabilirne l’illiceità penale ed a confermare che lo stesso è stato commesso dall’imputato;
- a determinare la misura della pena compresa tra un massimo ed un minimo in base a quanto previsto dal codice penale per ciascuna fattispecie criminosa;
- verifica la sussistenza di circostanze aggravanti e attenuanti e decide in merito alla loro applicazione;
- determina la pena;
- verifica se è possibile procedere con la sospensione condizionale della pena ovvero con l’applicazione di una sanzione sostitutiva. Il terzo comma dell’articolo 533 del codice di procedura penale infatti afferma che “Quando il giudice ritiene di dover concedere la sospensione condizionale della pena o la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, provvede in tal senso con la sentenza di condanna”;
- se non è possibile procedere come al punto precedente il giudice irroga la pena.
Sentenza di condanna e separazione dei procedimenti
Il decreto legge 341/2000 ha introdotto il comma 3-bis all’articolo 533 del codice di procedura penale. Con tale modifica ha previsto la possibilità di separare i procedimenti in sede di condanna. La norma in particolare recita: “Quando la condanna riguarda procedimenti per i delitti di cui all’articolo 407, comma 2, lettera a), anche se connessi ad altri reati, il giudice può disporre, nel pronunciare la sentenza, la separazione dei procedimenti anche con riferimento allo stesso condannato quando taluno dei condannati si trovi in stato di custodia cautelare e, per la scadenza dei termini e la mancanza di altri titoli, sarebbe rimesso in libertà”.
Si tratta di un istituto introdotto per i gravi delitti in materia di criminalità organizzata ed applicabile quando si verificano le condizioni previste dalla norma.
Quando è disposta la separazione dei procedimenti, ai sensi dell’articolo 544, comma 3-bis, del codice di procedura penale, il giudice deve stendere una sentenza per ciascuno dei procedimenti “accordando precedenza alla motivazione della condanna degli imputati in stato di custodia cautelare”.
Il contenuto della sentenza
La struttura della sentenza è composta da due parti obbligatoriamente previste all’articolo 544 del codice di procedura penale:
- la motivazione;
- il dispositivo.
Il contenuto minimo della sentenza di condanna individuabile nelle precedenti due parti comprende una serie di elementi. Si tratta dei ragionamenti che hanno portato il giudice ad accertare la sussistenza del reato, delle ragioni che qualificano il fatto quale illecito penale, dell’attribuzione del fatto all’imputato e della misura della pena.
Ai sensi dell’articolo 537 del codice di procedura penale, tuttavia, il giudice deve esplicitare nel dispositivo della sentenza se è venuto a conoscenza di atti o documenti falsi durante la fase dibattimentale e l’esito conoscitivo degli stessi. Può inoltre ordinare “la cancellazione totale o parziale, secondo le circostanze e, se è il caso, la ripristinazione, la rinnovazione o la riforma dell’atto o del documento, con la prescrizione del modo con cui deve essere eseguita”, salvo vengano pregiudicati diritti di terzi.
Le conseguenze della sentenza di condanna
La sentenza di condanna determina una serie di conseguenze di natura pecuniaria in capo al condannato e in capo ad altri soggetti.
Ai sensi dell’articolo 534 del codice di procedura penale il legislatore ha posto a carico del soggetto civilmente obbligato al pagamento della pena pecuniaria il pagamento di una somma. Questa corrisponde alla misura della pena inflitta al condannato se questo è insolvibile. In questo caso il giudice è legittimato alla condanna di tale soggetto al pagamento quando c’è un’obbligazione civile per multe e ammende inflitte a persona fisica dipendente o giuridica.
Le conseguenze che si originano in capo al condannato invece sono previste all’articolo 535 del codice di procedura penale. Si tratta di:
- pagare le spese processuali;
- sostenere le spese di mantenimento durante la custodia cautelare.
Se il giudice non si esprime nella sentenza in merito alle spese questa dev’essere rettificata nelle modalità previste all’articolo 130 del codice di procedura penale.
Fra gli effetti che incidono sulla sfera personale dell’imputato di natura non pecuniaria c’è la possibilità che questo venga dichiarato indegno a succedere. Lo stabilisce l’articolo 537-bis del codice di procedura penale affermando che: “Quando pronuncia sentenza di condanna per uno dei fatti previsti dall’articolo 463 del codice civile, il giudice dichiara l’indegnità dell’imputato a succedere”.
Sentenza di condanna e questioni civili
Gli articoli dal 538 al 543 del codice di procedura penale regolano le questioni civili derivanti dall’esercizio dell’azione civile nel processo penale. Quest’ultima infatti può essere esercitata dal soggetto danneggiato dal reato, costituitosi parte civile, nell’ambito del processo penale nei confronti dell’imputato e del responsabile civile ai sensi dell’articolo 74 del codice di procedura penale.
Qualora il giudice accolga la domanda, l’imputato e il responsabile civile sono obbligati in solido al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile, salvo ci siano i presupposti per compensarle totalmente o parzialmente. Al contrario, se il giudice rigetta la domanda della parte civile, questa deve rimborsare all’imputato e al responsabile civile le spese sostenute per l’esercizio dell’azione civile, salvo, anche in tal caso, ritenga opportuno compensarle totalmente o parzialmente. A stabilire ciò è l’articolo 541 del codice di procedura penale che conclude affermando che se vi è colpa grave, il giudice può inoltre condannare la parte civile al risarcimento dei danni causati all’imputato o al responsabile civile.
Il risarcimento del danno
L’articolo 538, primo comma, del codice di procedura penale afferma che il giudice si deve pronunciare nella sentenza di condanna circa le restituzioni e il risarcimento del danno se è stata proposta l’azione civile. Nel condannare le parti (condannato e responsabile civile) al risarcimento del danno il giudice provvede contestualmente alla sua liquidazione. Il responsabile civile è tenuto in solido con il condannato a risarcire il danno se viene accertata la sua responsabilità. Il provvedimento di liquidazione del danno non è provvisoriamente esecutivo: lo è soltanto se la parte civile ne fa richiesta al ricorrere di giustificati motivi ai sensi del primo comma dell’articolo 540 del codice di procedura penale.
La provvisionale e la condanna generica
Non sempre il giudice penale è in grado di determinare la misura del danno da liquidare. I tempi e le competenze necessarie ad acquisire le prove sufficienti alla corretta quantificazione del danno spesso non trovano sede nel processo penale. In tal caso, ai sensi del primo comma dell’articolo 539 del codice di procedura penale, il giudice “pronuncia condanna generica e rimette le parti davanti al giudice civile”.
Se le prove sono state raggiunte in parte il difensore di fiducia della parte civile può chiedere al giudice che venga liquidata una somma, chiamata provvisionale, per la parte di prova raggiunta. Tale somma sarà di conseguenza quantificata “nei limiti del danno per cui si ritiene già raggiunta la prova”. A differenza del provvedimento di liquidazione del danno, la condanna alla provvisionale è immediatamente esecutiva.
La pubblicazione della sentenza di condanna
Il capo secondo del titolo terzo del codice di procedura penale relativo alla sentenza del giudice si conclude con una norma significativa sulla pubblicazione della sentenza di condanna. Si tratta dell’articolo 543.
La sua lettura si deve integrare con quella di altre due norme. L’articolo 186 del codice penale che stabilisce come “ogni reato obbliga il colpevole alla pubblicazione, a sue spese, della sentenza di condanna, qualora la pubblicazione costituisca un mezzo per riparare il danno non patrimoniale cagionato dal reato”. In tal caso, ha affermato la Suprema Corte di Cassazione nel 1998 con la sentenza 7917, “La pubblicazione della sentenza prevista dall’articolo 186 del codice penale ha natura di sanzione civile che può disporsi a carico del colpevole qualora essa costituisca un mezzo per riparare il danno”. Nello stesso codice penale, inoltre, la pubblicazione della sentenza, in base all’articolo 19, si prefigura come pena accessoria all’accertamento della colpevolezza dell’imputato. La stessa poco fa citata Corte infatti proseguiva affermando “…diversamente dalla pubblicazione della sentenza prevista dall’articolo 19 del codice penale che ha la natura di pena accessoria“.
L’articolo 543 del codice di procedura penale infatti prescrive l’obbligo di pubblicare la sentenza a spese del condannato ed eventualmente anche del responsabile civile su richiesta della parte civile. Se la pubblicazione inoltre non avviene tempestivamente la parte civile può provvedervi autonomamente e rivalersi delle spese sul soggetto obbligato alla pubblicazione.