La condizione nel contratto – indice:
- Cos’è
- Sospensiva e risolutiva
- Lecita e possibile
- Volontaria e legale
- Altre categorie
- La pendenza
- L’avveramento
- Mancato avveramento
La condizione è un elemento accidentale del contratto, cioè uno di quegli elementi non necessari alla sua esistenza sotto il profilo giuridico ma che servono ad indirizzare in un certo senso i suoi effetti. In particolare, la condizione incide sull’efficacia del contratto ponendo incertezza sul verificarsi degli effetti stessi. Il codice civile distingue due tipi di condizione: quella sospensiva e quella risolutiva.
Cos’è la condizione nel contratto
L’articolo 1353 del codice civile afferma che “Le parti possono subordinare l’efficacia o la risoluzione del contratto o di un singolo patto a un avvenimento futuro e incerto“. La condizione corrisponde a quell’avvenimento futuro e incerto di cui parla la norma.
Questa si deve scindere tuttavia in due elementi, ognuno dei quali ricopre un ruolo diverso nel contratto. L’uno corrisponde alla condizione come clausola inserita nel contratto già perfezionato. L’altro è il contenuto della clausola che ha ad oggetto l’evento condizionante, il quale incide sull’esplicarsi degli effetti del contratto.
In che modo incide e perché è importante? Incide nel senso che sposta al verificarsi dell’evento condizionante gli effetti finali del contratto, ovvero quelli che costituiscono regolano o estinguono il rapporto giuridico patrimoniale che ne forma l’oggetto.
Quando è sospensiva e quando è risolutiva
Dall’articolo 1353 sopra riportato si distinguono due tipi di condizione:
- quella sospensiva che differisce la produzione degli effetti rispetto al momento di stipula del negozio;
- quella risolutiva con cui il verificarsi dell’evento oggetto della condizione viene meno l’efficacia del contratto.
Parte della dottrina le riconduce a un concetto unitario di condizione, altra parte le tiene due ipotesi distinte.
Liceità e possibilità della condizione nel contratto
Facendo alcune puntualizzazioni sull’avvenimento futuro e incerto, questo dev’essere inoltre lecito e possibile. L’articolo 1354 sanziona rendendo nullo “il contratto al quale è apposta una condizione, sospensiva o risolutiva, contraria a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume“ e che “La condizione impossibile rende nullo il contratto se è sospensiva; se è risolutiva, si ha come non apposta”.
La condizione è illecita dunque per le stesse ragioni che rendono illecita la causa del contratto. L’impossibilità della condizione si ha quando la stessa non può verificarsi perché è naturale che sia così o perché è giuridicamente incoerente che si verifichi l’evento e dev’essere valutata in relazione al tempo in cui il contratto è stato concluso. Se le parti hanno apposto una condizione tenendo conto del mutamento di una legge o di un altro fattore per essa rilevante, si può fare riferimento al tempo in cui la condizione si verificherà.
L’illiceità e l’impossibilità nei negozi fra vivi e a causa di morte
La condizione illecita e impossibile dà luogo a conseguenze diverse se si tratta di negozi fra vivi o a causa di morte.
Nei negozi fra vivi l’illiceità della condizione determina la nullità del contratto (regola cosiddetta “proculiana”). Nei negozi mortis causa fa considerare la condizione come non apposta: si applica in questo caso la cosiddetta “regola sabiniana”, in forza della quale la condizione nulla “vitiatur, sed non vitiat” (vizia sé stessa, non dando luogo ad altri vizi).
Quando la condizione è impossibile invece, nei negozi fra vivi si ha la nullità del contratto se la stessa era sospensiva, si considera non apposta quando è risolutiva. Mentre nei negozi mortis causa la condizione impossibile rende gli stessi effetti della condizione illecita ovvero si considera non apposta (anche in questo caso dunque viene applicata la regola sabiniana).
Condizione volontaria o legale
La condizione può essere posta nel contratto volontariamente dalle parti oppure può essere la legge a subordinare l’efficacia del contratto al verificarsi di un certo evento. Quest’ultima non è disciplinata nel nostro codice civile e si differenzia dalla condizione volontaria perché indispensabile a far produrre gli effetti del negozio in quanto è la stessa legge a disporre in tal senso.
Inoltre la condizione volontaria solitamente viene posta quale vantaggio a favore delle parti che la inseriscono, mentre la condizione legale agisce, per lo più, come clausola limitativa della loro autonomia. Lo scopo della legge infatti è quello di tutelare determinati interessi estranei alle parti contrattuali subordinandone l’operatività al verificarsi di determinati eventi.
Per citare alcuni esempi di condizione legale riportiamo:
- l’evento morte affinché il testamento possa essere efficace;
- la ratifica per conferire efficacia al contratto concluso dal falsus procurator;
- che sia nato il soggetto che beneficerà delle disposizioni testamentarie o delle donazioni ai nascituri al fine di conferire ad esse efficacia.
Altre categorie di condizione
La condizione può assumere diversi significati a seconda di come e a che scopo viene inserita nel contratto. Semplificando si può avere:
- una condizione positiva o negativa quando l’avvenimento che ne costituisce l’oggetto mantiene o modifica lo stato attuale delle cose;
- espressa o tacita a seconda che venga o meno manifestamente prevista dalle parti nel contratto;
- unilaterale o bilaterale se posta nell’interesse di una sola o entrambe le parti;
- potestativa se l’avvenimento dipende dalla volontà di una delle parti contrattuali;
- casuale se dipende da fattori estranei alle parti;
- mista quando l’avvenimento dipende solo in parte dalla volontà di uno dei contraenti;
- di adempimento (sospensiva) o inadempimento (risolutiva) come forma di tutela nei rapporti a prestazioni corrispettive.
La condizione meramente potestativa
L’articolo 1355 del codice civile afferma che “È nulla l’alienazione di un diritto o l’assunzione di un obbligo subordinata a una condizione sospensiva che la faccia dipendere dalla mera volontà dell’alienante o, rispettivamente, da quella del debitore”.
La condizione meramente potestativa si manifesta in una semplice dichiarazione di una delle parti di compiere o meno un’azione in base al proprio libero arbitrio senza la presenza di fatti oggettivamente o soggettivamente individuabili che giustifichino la direzione in cui la volontà si è espressa. Tale condizione non può subordinare l’alienazione di un diritto o l’assunzione di un obbligo e per tale ragione il legislatore ne prevede la nullità.
La dottrina prevalente ritiene che tale condizione sia applicabile solo ai contratti in cui chi è obbligato sotto condizione non ha interesse a vedere prodotti o meno gli effetti del contratto. Si tratta degli atti unilaterali, dei contratti in cui una sola parte si obbliga senza corrispettivo e dei contratti onerosi in cui la condizione si riferisca a una sola obbligazione e non all’intero contratto.
La condizione meramente potestativa che sia invece risolutiva si ritiene valida ed efficace. In questo caso la disciplina sarà simile a quella del recesso, con alcune differenze, fra le quali la retroattività della condizione e non del recesso.
Come possono comportarsi le parti in pendenza della condizione?
Si spiega anzitutto cosa si intenda per pendenza della condizione. La condizione pende quando l’avvenimento che ne costituisce l’oggetto e che sblocca gli effetti del contratto non si è ancora verificato, ma non si esclude che si verificherà.
L’articolo 1356 del codice civile recita: “In pendenza della condizione sospensiva l’acquirente di un diritto può compiere atti conservativi. L’acquirente di un diritto sotto condizione risolutiva può, in pendenza di questa, esercitarlo, ma l’altro contraente può compiere atti conservativi”.
La norma distingue il comportamento a seconda che la condizione sia sospensiva o risolutiva. In entrambi i casi, in modo inverso, possono essere compiuti atti conservativi ovvero atti utili a conservare la cosa materialmente e giuridicamente.
L’articolo successivo, il 1357, dispone che l’obbligato condizionato sospensivamente o risolutivamente può compiere atti di disposizione che tuttavia producono i loro effetti al verificarsi della condizione.
Il 1358 dispone l’obbligo per chi ha alienato il diritto sotto condizione sospensiva e per chi ha acquistato il diritto sotto condizione risolutiva di comportarsi secondo buona fede durante la pendenza della condizione. La buona fede è necessaria a stabilire un vincolo fra le parti al fine di fare in modo che l’evento desiderato si verifichi e si producano gli effetti del contratto.
L’inserimento del termine per dare “certezza” all’avverarsi della condizione
È di utile praticità inserire nel contratto durante la pendenza della condizione un termine entro il quale l’avvenimento futuro e incerto debba verificarsi. Tale pratica viene spesso utilizzata per evitare che lo stato di pendenza e incertezza duri per un tempo così lungo da far venire meno nelle parti l’interesse al verificarsi della condizione e al contratto stesso. In alternativa alla fissazione di un termine concordata dalle parti la dottrina prevalente ritiene ammissibile il ricorso al giudice. Questo dovrebbe stabilire un tempo idoneo al verificarsi dell’evento e decidere sull’efficacia o inefficacia del contratto.
Gli effetti dell’avverarsi della condizione
La condizione si avvera quando si verifica l’evento che ne costituiva oggetto e al quale erano subordinati gli effetti del contratto. Questi dunque si producono se la condizione era sospensiva, cessano quelli già resi se risolutiva.
Ma tali effetti da quando si intendono operativi? La condizione ha efficacia retroattiva e pertanto gli effetti liberati al suo avverarsi si estendono dal momento in cui è stato stipulato il negozio. L’articolo 1360 del codice civile infatti conferma che “Gli effetti dell’avveramento della condizione retroagiscono al tempo in cui è stato concluso il contratto, salvo che, per volontà delle parti o per la natura del rapporto, gli effetti del contratto o della risoluzione debbano essere riportati a un momento diverso”.
Tecnicamente, inoltre, si ha il verificarsi della condizione quando l’evento accaduto corrisponde esattamente all’evento preveduto. La giurisprudenza non ammette divergenza neppure minima tra i due eventi.
L’articolo 1359 infine afferma che “La condizione si considera avverata qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario all’avveramento di essa”. Questa è un’ipotesi di finzione di avveramento in cui, chi impedisce il verificarsi della condizione deve agire con dolo o colpa, non essendo sufficiente il mero comportamento inerte. In tal caso la condizione si considera ugualmente avverata.
Mancato avveramento della condizione
Quando si ha la certezza che l’avvenimento futuro e incerto non si verificherà si avrà il mancato avveramento della condizione. In tal caso continua ad esistere, consolidata, la situazione precedente: si avrà l’inefficacia del contratto se la condizione mancata era sospensiva, il prodursi degli effetti se invece era risolutiva.
Come già detto nel paragrafo precedente il verificarsi della condizione si accerta eseguendo un attento esame di corrispondenza fra quanto accaduto e quanto stabilito come avvenimento futuro e incerto.
Può accadere che la condizioni si avveri ma intervenga un fatto successivo a negarne l’avveramento. In questo caso si avrà o non si avrà l’avveramento a seconda che il fatto posteriore renda certa quell’incertezza posta dalla condizione.