Le migliorie agli spazi in condominio – indice:
La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 2957 del 7 febbraio 2018, ha sancito il diritto del singolo condomino ad apportare dei miglioramenti agli spazi verdi comuni condominiali, con piante e fiori. Ha così fine una vicenda giudiziaria iniziata oltre 7 anni prima, quando alcuni condomini impugnarono una delibera assembleare con cui era stato stabilito che aiuole e spazi verdi condominiali dovessero essere lasciati liberi da ogni ingombro, e a seguito della quale l’amministratore condominiale aveva provveduto autonomamente a rimuovere i vasi e le piante precedentemente poste da un condomino.
La vicenda relativa a migliorie negli spazi verdi
Ricostruiamo brevemente questa particolare vicenda che, per la sua specificità, potrebbe essere di rilievo a numerosi condomini in nostra lettura.
Nel caso in esame della Cassazione, l’assemblea condominiale aveva deciso con due diverse delibere che le aiuole e gli spazi verdi condominiali dovessero essere lasciati liberi da “qualsiasi ingombro”, e che dunque dovessero essere rimossi vasi e piante che un condomino aveva qui collocato. In aggiunta a ciò, nelle delibere veniva anche sancito il divieto di utilizzare le aiuole condominiali per “piantarvi essenze vegetali, di deporre vasi o materiali sugli spazi comuni e nei pressi di taluni pilastri, nonché la recisione della pianta rampicante collocata nell’aiuola condominiale a ornamento del balcone” del condomino.
Il condomino evidentemente colpito da simili provvedimenti assembleari ha però scelto di impugnare le delibere ed ha ottenuto soddisfazione in appello, quando il Tribunale di Cagliari ha accolto le sue doglianze, disponendo l’annullamento delle stesse delibere poiché contrastanti con gli artt. 1102 e 1136 c.c., e condannando ulteriormente il condominio al risarcimento dei danni nei confronti del condomino per la rimozione e distruzione delle piante di sua proprietà.
In tal senso, rammentiamo brevemente che l’art. 1102 c.c., rubricato “Uso della cosa comune”, prevede che
ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa.
Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso.
La validità delle delibere
L’art. 1136 c.c. poc’anzi rammentato, e rubricato “Costituzione dell’assemblea e validità delle deliberazioni”, prevede invece che
l’assemblea in prima convocazione è regolarmente costituita con l’intervento di tanti condomini che rappresentino i due terzi del valore dell’intero edificio e la maggioranza dei partecipanti al condominio.
Sono valide le deliberazioni approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio.
Se l’assemblea in prima convocazione non può deliberare per mancanza di numero legale, l’assemblea in seconda convocazione delibera in un giorno successivo a quello della prima e, in ogni caso, non oltre dieci giorni dalla medesima. L’assemblea in seconda convocazione è regolarmente costituita con l’intervento di tanti condomini che rappresentino almeno un terzo del valore dell’intero edificio e un terzo dei partecipanti al condominio. La deliberazione è valida se approvata dalla maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell’edificio.
Le deliberazioni che concernono la nomina e la revoca dell’amministratore o le liti attive e passive relative a materie che esorbitano dalle attribuzioni dell’amministratore medesimo, le deliberazioni che concernono la ricostruzione dell’edificio o riparazioni straordinarie di notevole entità e le deliberazioni di cui agli articoli 1117 quater, 1120, secondo comma, 1122 ter nonché 1135, terzo comma, devono essere sempre approvate con la maggioranza stabilita dal secondo comma del presente articolo.
Le deliberazioni di cui all’articolo 1120, primo comma, e all’articolo 1122 bis, terzo comma, devono essere approvate dall’assemblea con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti ed almeno i due terzi del valore dell’edificio.
L’assemblea non può deliberare, se non consta che tutti gli aventi diritto sono stati regolarmente convocati.
Delle riunioni dell’assemblea si redige processo verbale da trascrivere nel registro tenuto dall’amministratore.
Il condominio ricorreva in Cassazione.
Il giudizio della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione non sembra abbracciare la tesi del condominio, rilevando infatti che la decisione assunta dal Tribunale di Cagliari appare essere in continuità con la giurisprudenza anche recente, che fornisce pertanto un’interpretazione dell’art. 1102 cod. civ., secondo cui tale articolo, nel prescrivere che ciascun partecipante può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso, non pone certamente una norma inderogabile.
Da quanto sopra ne deriva che i limiti possono essere resi più rigorosi dal regolamento condominiale, o da delibere assembleari adottate con i quorum prescritti dalla legge, fermo restando che non è consentita l’introduzione di un divieto di utilizzazione generalizzato delle parti comuni.
Ebbene, nel caso di specie i giudici della Suprema Corte evidenziano come il giudizio del tribunale, secondo cui sarebbero illegittime le delibere condominiali impugnate, in quanto, impedendo ai singoli condomini di porre proprie piante a dimora nelle aiuole comuni (con rimozioni di arbusti privati), sarebbe ravvisabile un “intento emulativo e un abuso di maggioranza”, con statuizione conseguente secondo cui la piantumazione sarebbe “espressione del diritto di ciascun condomino di migliorare l’uso delle aiuole ex art. 1102 c.c., non contrasta con la retta interpretazione di questa norma, pur essendo eventualmente opinabile nel merito”.
In virtù di tale valutazione, la Cassazione rigettava il ricorso del condominio.