La nullità dei contratti derivati – indice
- Cosa sono
- Lo swap
- Gli elementi dell’IRS
- Il mark to market
- IRS e scommesse
- IRS e art. 1322 c.c.
- La stipula di derivati da enti
- Il ruolo dell’intermediario
Nel ricco elenco di opinioni giurisprudenziali che si sono succedute nel corso degli anni sui derivati, la recente sentenza n. 8770/2020 da parte della Cassazione civile si aggiunge in modo non certo innovativo, ma ben orientato in favore di una corretta consapevolezza dell’alea assunta da parte del sottoscrittore del prodotto finanziario.
Di fatti, con la pronuncia oggi in commento, le Sezioni Unite hanno ulteriormente confermato la necessità di confermare o meno la validità di un contratto derivato in senso ampio, con osservazione di numerosi principi, e con la possibilità di ampliare le proprie maglie anche alle ipotesi in cui a sottoscrivere i contratti derivati non siano stati privati e imprese, quanto anche gli enti locali.
Cosa sono i contratti derivati
In una sentenza particolarmente interessante per l’approccio analitico allargato, di cui in parte si è già detto, i giudici rammentano come la materia dei derivati interessi diverse branche del diritto da diverso tempo, divenendo oggetto di approfondimenti e di pronunce da parte di dottrina e giurisprudenza.
Che si tratti di un tema piuttosto difficoltoso da affrontare non vi sono dubbi. A cominciare, si intenda, dalla difficoltà di fornire una definizione “unificante” del fenomeno dei derivati.
I giudici di Cassazione sottolineano come nel nostro ordinamento manchi una definizione generale di contratto derivato. E, come tale mancanza, sia sostanzialmente giustificabile con la circostanza che i contratti derivati sono stati creati dalla prassi finanziaria. Solamente in seguito sono stati recepiti dalla regolazione del sistema giuridico.
Inoltre, all’interno della “famiglia” dei contratti derivati esistono numerose varietà che possono concorrere a formare la categoria stessa. L’individuazione della nozione unitaria diventa più complessa, inducendo a valutare questo fenomeno solamente nella sua globalità.
Per i giudici, questo giustificherebbe anche la previsione ex art. 1 comma 2 bis T.U.F., che delega al Ministro dell’Economia e delle Finanze l’identificazione di nuovi potenziali derivati.
Lo swap
Chiarito quanto sopra, i giudici ricordano anche come l’oggetto del contendere sia nella fattispecie rappresentato da un contratto swap e, in particolare, dalla sua “variante” più diffusa, l’interest rate swap (o IRS):
- un contratto di scambio di obbligazioni pecuniarie future
- che si traduce nel dovere di un soggetto di dare a un altro soggetto un importo (determinato come capitale x tasso di interesse)
- a fronte dell’impegno assunto dall’altro soggetto di versare al primo un altro importo (determinato come capitale x tasso di interesse, in cui le variabili assumono, evidentemente, diverse connotazioni rispetto ai primi).
In questo senso, il contratto interest rate swap è un prodotto derivato over the counter, ovvero – viene riepilogato in sentenza – un contratto:
- in cui gli aspetti fondamentali vengono concordati dalle parti, in maniera personalizzata, non standardizzata. Il contenuto non è eteroregolamentato, come invece avviene in altri derivati standardizzati o uniformi. Di contro, l’IRS è elaborato in funzione delle specifiche esigenze del cliente;
- non standardizzato, con in parte già rammentato, e dunque non destinato a circolare verso altre parti. Contrariamente ad altri prodotti finanziari non è dunque negoziabile, ovvero non può rappresentare una posizione contrattuale in una forma idonea alla circolazione, perché tende a non essere autonomo rispetto al negozio che lo ha generato;
- consistente in uno strumento finanziario rispetto al quale l’intermediario è di norma una controparte diretta del proprio cliente.
Gli elementi essenziali dell’IRS
A questo punto, la pronuncia cerca di chiarire quali siano gli elementi essenziali di un contratto interest rate swap, ferma restando la sua qualificazione come
il contratto derivato che prevede l’impegno reciproco delle parti di pagare l’una all’altra, a date prestabilite, gli interessi prodotti da una stessa somma di denaro, presa quale astratto riferimento e denominato nozionale, per un dato periodo di tempo.
Gli elementi essenziali sono:
- data di stipula del contratto (trade date);
- capitale di riferimento (nozionale, o notional principal amount), non scambiato tra le parti, ma utilizzato solamente per il calcolo degli interessi da corrispondere;
- data di inizio (effective date), la decorrenza dalla quale cominciano a maturare gli interessi (ad es., due giorni lavorativi dopo la data di stipula del contratto);
- data di scadenza (maturity date), ovvero il termine del contratto;
- date di pagamento (payment dates), in relazione alle date in cui sono scambiati i flussi di interessi tra le parti;
- tassi di interesse (interest rate), che devono essere applicati ai capitali.
IRS come operazione non par
Nella sentenza viene poi fatto riferimento al fatto che se lo swap stipulato dalle parti è non par, con riferimento alle condizioni corrispettive iniziali, allora lo squilibrio così determinato potrà essere eventualmente riequilibrato mediante il pagamento – al momento della stipula del contratto – di una somma di denaro in favore del soggetto che accetta le pattuizioni più penalizzanti. Tale importo è denominato upfront.
Ora, è bene rammentare che i contratti IRS non par possono esserlo non solamente nel momento della partenza, ma diventare tali anche con il corso del tempo. in altri termini, in un istante successivo alla nascita del contratto IRS, può verificarsi uno squilibrio tra i flussi di cassa che, attualizzato al momento presente, può indurre le parti a sciogliere il contratto.
Il mark to market
Nella sentenza si fa riferimento esplicito al fatto che per poter compiere queste operazioni assume rilievo il c.d. mark to market.
Il mark to market è un costo al quale una parte può chiudere anticipatamente il contratto o il costo al quale un terzo estraneo all’operazione è disposto, alla data di stima, a subentrare nel derivato. Così facendo, è intuibile che il mark to market possa essere inteso anche come una sorta di valore corrente di mercato dello swap. O in altri termini, il costo al quale può teoricamente essere chiusa giornalmente la posizione contrattuale, con insorgenza di un debito o di un credito per le parti.
Soffermandoci ancora sul mark to market, per tale si può dunque intendere principalmente la stima del valore effettivo di un contratto in una certa data.
Non è, tuttavia, un valore “reale”. Come dovrebbe essere intuibile da quanto sopra abbiamo riassunto, infatti, il mark to market è solamente una simulazione finanziaria, una proiezione dei flussi attualizzata. È solo in questo senso che può ben definirsi come valore (e non, invece, come prezzo). Un valore che, per giunta, è ipotetico: non è una grandezza monetaria effettiva, ma solamente il frutto di un metodo di valutazione delle attività finanziarie che viene calcolata nell’ipotesi di cessazione del contratto prima del termine naturale.
Contratti derivati IRS e scommesse
Chiarito l’interessante spunto introduttivo di cui sopra, le motivazioni della sentenza si concentrano sul cercare di individuare e definire lo swap.
Così facendo, si rammenta che una parte della giurisprudenza e della dottrina tenda a considerare nello swap la causa della scommessa. Ma è davvero corretto equiparare lo swap a una pura scommessa da “lotteria”?
In prima battuta, sembra difficile accettare questo paragone. Perché, in fondo, è difficile cercare di interpretare un’operazione IRS, che regola una rete di rapporti per molti anni e con importanti capitali, alla stregua di una qualsiasi scommessa.
Una conferma di ciò si può ottenere dando uno sguardo al modo con cui il legislatore del codice civile ha inteso disciplinare il concetto di scommessa.
Uno sguardo al Codice Civile
L’art. 1933 c.c., rubricato Mancanza di azione, afferma che
Non compete azione per il pagamento di un debito di giuoco o di scommessa, anche se si tratta di giuoco o di scommessa non proibiti.
Il perdente tuttavia non può ripetere quanto abbia spontaneamente pagato dopo l’esito di un giuoco o di una scommessa in cui non vi sia stata alcuna frode. La ripetizione è ammessa in ogni caso se il perdente è un incapace.
Il successivo art. 1934 c.c., rubricato Competizioni sportive, dichiara che
Sono eccettuati dalla norma del primo comma dell’articolo precedente, anche rispetto alle persone che non vi prendono parte, i giuochi che addestrano al maneggio delle armi, le corse di ogni specie e ogni altra competizione sportiva.
Tuttavia il giudice può rigettare o ridurre la domanda, qualora ritenga la posta eccessiva.
Infine, l’art. 1935 c.c., rubricato Lotterie autorizzate, afferma che
Le lotterie danno luogo ad azione in giudizio, qualora siano state legalmente autorizzate.
Spiegazione
Senza scendere in un alveo di commento, appare già chiaro dal tenore letterale delle norme di cui sopra che in realtà lo swap non abbia molto in comune con lo schema della commessa, come intesa dal codice civile.
In particolare, ciò che sembra distinguere profondamente l’IRS da una comune scommessa è la complessità della vicenda contrattuale e la professionalità dei soggetti che sono coinvolti.
Ne deriva che l’IRS non può essere una causa di scommessa ma, più specificatamente, la sua causa può essere ricercata nella negoziazione e nella monetizzazione di un rischio.
Nel compiere questa condivisibile affermazione, i giudici della sentenza in commento hanno anche precisato che lo strumento contrattuale di cui si parla:
- si forma nel mercato finanziario, che ha delle regole proprie, le quali di frequente sono frutto di consuetudini tipiche della comunità degli investitori;
- riguarda un rischio finanziario che può essere delle parti, ma può pure non appartenere loro;
- riguarda dei differenziali calcolati su dei flussi di denaro destinati a formarsi durante un lasso temporale più o meno lungo;
- è espressione di una logica “probabilistica”, non avendo ad oggetto un’entità specificamente ed esattamente determinata;
- è il risultato di una tradizione giuridica diversa dalla nostra, come abbiamo già avuto modo di rammentare qualche paragrafo fa.
Al fine di arrivare a una sintesi, dunque, i giudici ammettono che l’IRS potrebbe essere equiparato a una sorta di scommessa finanziaria differenziale.
Contratti derivati IRS e tutela ex art. 1322 c.c.
Fermo restando quanto sopra, sorgono alcune evidenze preliminari. E, innanzitutto, se questi contratti siano o meno in grado di perseguire degli interessi meritevoli di tutela ai sensi dell’art. 1322 c.c., avente a tema l’autonomia contrattuale:
Le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge e dalle norme corporative.
Le parti possono anche concludere contratti che non appartengano ai tipi aventi una disciplina particolare, purchè siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico.
La norma che introduce un principio fondamentale per l’autonomia contrattuale afferma, in termini sintetici, che i privati hanno una capacità di autoregolamentare i propri interessi personali e patrimoniali attraverso gli strumenti giuridici. Ricorda anche che:
- il nostro ordinamento riconosce un valore vincolate ai precetti stabiliti dai privati,
- se questi rispettano le norme imperative, l’ordine pubblico e il buon costume.
Ora, per poter arrivare a dirimere la questione, è sicuramente necessario verificare se si sia in presenza o meno di un accordo tra intermediario e investitore sulla misura dell’alea, da calcolarsi secondo criteri scientificamente riconosciuti e oggettivamente condivisi, “perchè il legislatore autorizza questo genere di “scommesse razionali” sul presupposto dell’utilità sociale delle scommesse razionali, intese come specie evoluta delle antiche scommesse di pura abilità”.
Le valutazioni dei giudici
I giudici sottolineano come questo accordo non debba limitarsi al già rammentato mark to market, ma debba più approfonditamente riguardare anche gli scenari probabilistici. Il mark to market è dunque solo un “numero”, che non può comunicare molto sotto il profilo dell’alea. Di contro, l’accordo dovrebbe soffermarsi in maniera attenta sul quantificare e qualificare l’alea e, dunque, la misura dei costi impliciti.
“Sotto tale ultimo pro?lo, va rilevato che le obbligazioni pecuniarie nascenti dal derivato non sono mere obbligazioni omogenee di dare somme di denaro fungibile, perchè in relazione alla loro quanti?cazione va data la giusta rilevanza ai parametri di calcolo delle stesse, che sono determinati in funzione delle variazioni dei tassi di interesse (nell’IRS) e di cambio nel tempo” – affermano i giudici nella sentenza in esame, così che l’importanza dei parametri di calcolo deriva dalla circostanza che attraverso essi si può conseguire la funzione di una migliore gestione del rischio finanziario, pur nella particolarità che il parametro assume alla scadenza l’effetto di una molteplicità di variabili.
Lo spunto del TUF sui contratti derivati
Si procede dunque a richiamare alla mente l’art. 23 comma 5 del TUF, secondo cui
Nell’ambito della prestazione dei servizi e attività di investimento, agli strumenti finanziari derivati nonchè a quelli analoghi individuati ai sensi dell’art. 18, comma 5, lett. a), non si applica l’art. 1933 c.c.”.
Ad ogni modo, tale previsione non può autorizzare sic et simpliciter una scommessa. Può invece delimitare con un criterio soggettivo la causa dello swap, di cui stiamo ora affrontando alcuni aspetti principali, ricollegandola al settore finanziario e contribuendo così a tratteggiare un modello che però si pone ancora la questione se tutti i derivati siano riconducibili ad un solo tipo o se la distinzione tra questi tipi riguardi le classi di derivati o i singoli swap.
Non è infatti marginale il fatto che l’intermediario finanziario assuma il ruolo di mandatario dell’investitore, e che come tale deve fornire raccomandazioni personalizzate e dedicate al proprio “assistito”.
Ne deriva che se l’intermediario prestando il proprio servizio compie l’operazione quando doveva astenersi, o lo fa senza aver assunto il consenso dell’investitore, gli atti compiuti non possono avere efficacia, e ciò a prescindere dal fatto che la condotta dell’agente sia qualificata in termini di inadempimento o di nullità, con conseguente risarcimento del danno.
In questo scenario discretamente complesso, bisogna anche rilevare la deduzione dei c.d. costi impliciti, poiché ad essi è possibile ricondurre lo squilibrio iniziale dell’alea, da misurarsi secondo il ricorso a criteri probabilistici.
Stipula di derivati da parte di enti pubblici e locali
Chiarito quanto sopra, i giudici si soffermano sull’aspetto concreto, ovvero sulla stipula di derivati (come swap e IRS, di cui abbiamo parlato negli scorsi paragrafi) da parte di enti pubblici e enti locali.
Per effettuare una coerente valutazione del caso, gli Ermellini citano innanzitutto la l. 724/1994, secondo cui gli enti territoriali possono ben ricorrere al mercato dei capitali mediante l’emissione di prestiti obbligazionari che siano indirizzati a finanziare gli investimenti.
Viene quindi citato anche il Regolamento di attuazione n. 420/1996, che ha previsto espressamente il ricorso agli strumenti derivati attraverso l’attivazione di un currency swap come coperture obbligatoria del rischio di cambio nell’ipotesi di emissioni di prestiti obbligazionari in valuta, la cui finalità è quella di evitare o contenere l’esposizione al rischio di cambio.
Gli interventi degli ultimi 20 anni
Partendo da tale visione di insieme si arriva alla più recente legge n. 448/2001. Tale legge, per ridurre il costo dell’indebitamento e monitorare gli andamenti di finanza pubblica, ha permesso agli enti locali di poter emettere titoli obbligazionari, e contrarre mutui, con rimborso del capitale in una sola soluzione alla scadenza (bullet) previa costituzione di un fondo di ammortamento del debito o con la conclusione di swap per l’ammortamento dello stesso, dietro coordinamento finanziario in capo al Ministero dell’economia e delle finanze.
Si arriva poi alla circolare del 27 maggio 2004 da parte del Ministero dell’economia e delle finanze. La circolare ha di fatto contenuto il fenomeno, andando a elencare le operazioni di finanza derivate ammissibili per gli enti pubblici, e limitate alla forma plain vanilla.
Ancora, la legge n. 244/2007 ha chiarito la necessità che le modalità contrattuali, gli oneri e gli impegni finanziari in prodotti derivati siano dichiarati in una nota allegata al bilancio. Ha inoltre previsto che gli enti locali attestino di essere a conoscenza dei rischi e delle caratteristiche degli strumenti finanziari utilizzati. La legge ha dunque rafforzato il regime dei poteri di verifica esterni, richiamando un obbligo di trasparenza. Con la legge n. 147/2013 si arriva a una stretta ulteriore, con divieto agli enti locali di:
- stipulare contratti relativi agli strumenti finanziari derivati,
- procedere a rinegoziare i contratti derivati in essere alla data di entrata in vigore della disposizione;
- stipulare contratti di finanziamento che includono componenti derivate.
Entrando ancora più nel dettaglio della specifica fattispecie, dopo aver ricostruito questo tortuoso percorso normativo, i giudici della Suprema Corte affermano che fino al 2008 (anno in cui il legislatore ha introdotto limiti più stringenti alla capacità degli enti di concludere derivati), il potere contrattuale degli enti locali era presente, ma con sicuri limiti.
Il concetto di convenienza economica
In particolar modo, per poter essere giudicato ammissibile il contratto derivato doveva essere “economicamente conveniente”, essendo vietato concludere derivati speculativi.
Fin dalle ispirazioni di natura costituzionale, d’altronde, i contratti derivati – per quanto aleatori – sarebbero di per sé non stipulabili. Il livello di incertezza di cui sono caratterizzati andrebbe a costituire una forte “disarmonia” nell’ambito delle regole relative alla contabilità pubblica. Andrebbe infatti a introdurre delle variabili che non sarebbero compatibili con la certezza degli impegni di spesa.
Dunque, è opportuno concludere che le disposizioni normative che hanno “aperto” alla stipula di contratti derivati, in realtà lo hanno fatto come eccezione.
Di qui, una prima importante conclusione riportata tra le motivazioni della sentenza. Cerchiamo di riportarla qui integralmente:
il riconoscimento della legittimazione dell’Amministrazione a concludere contratti derivati, sulla base della disciplina vigente fino al 2013 (quando la L. n. 147 del 2013, ne ha escluso la possibilità) e della distinzione tra i derivati di copertura e i derivati speculativi, in base al criterio del diverso grado di rischiosità di ciascuno di essi comportava che solamente nel primo caso l’ente locale potesse dirsi legittimato a procedere alla loro stipula.
I problemi rimasti aperti
La formulazione di tale valutazione non esaurisce però la complessità del caso riportato all’attenzione della Suprema Corte, dovendosi infatti affrontare anche altri spunti, come:
- la determinatezza o la determinabilità del contratto;
- la validità dell’accordo in presenza di un negozio tra intermediario ed ente che indichi la misura dell’alea. L’alea sarà calcolata necessariamente sulla base di criterio riconosciuti e condivisi oggettivamente. Visto e considerato che, come sopra già chiarito, il legislatore autorizza solo questo tipo di scommesse (finanziarie) sul presupposto dell’utilità sociale.
Ebbene, aggiungono i giudici, questo accordo circa la misurazione o la determinazione dell’oggetto non può e non deve contenersi al solo requisito del mark to market. Deve invece investire anche gli scenari probabilistici. Il mark to market è infatti solo un numero, che poco può comunicare sull’effettiva consistenza dell’alea di cui si è più volte detto nel corso delle righe precedenti. L’accordo deve invece contenere la misura qualitativa e quantitativa della stessa alea. E, dunque – anche se impliciti – la misura dei costi.
Di fatti, prosegue ancora la pronuncia ora in esame, l’importanza di tali prarametri di calcolo consegue alla circostanza che attraverso essi si può effettivamente realizzare la funzione di gestione del rischio finanziario. Con la considerazione aggiuntiva che il parametro scelto assume alla scadenza l’effetto di una molteplicità di variabili.
Il richiamo al TUF
Gli Ermellini richiamano dunque ancora una volta l’art. 23 comma 5 del TUF, secondo cui
Nell’ambito della prestazione dei servizi e attività di investimento, agli strumenti finanziari derivati nonchè a quelli analoghi individuati ai sensi dell’art. 18, comma 5, lett. a), non si applica l’art. 1933 c.c.
In tal modo si finisce dunque ad autorizzare la scommessa finanziaria. Tuttavia, non sic et simpliciter, bensì cercando di delimitare, mediante un criterio soggettivo, la determinante dello swap, che deve essere ricollegata, appunto, al settore finanziario.
Il ruolo dell’intermediario finanziario
D’altronde, aggiunge ancora in questa sede di conclusione la sentenza in esame, l’intermediario finanziario con il quale l’ente stipula lo swaè, è tenuto a fornire raccomandazioni personalizzate al proprio assistito. E lo fa anche mediante la deduzione dei costi impliciti. Altrimenti, riconducendosi ad essi lo squilibrio iniziale dell’alea, da misurarsi in termini probabilistici, sull’assunto che ciò costituisce un incentivo affinché l’intermediario raccomandi all’investitore strumenti over the counter, con remunerazione non palese, piuttosto che strumenti che possono essere acquisiti in un mercato regolamentato. In cui, il compenso, ha la forma di una commissione da negoziare tra le parti.
I giudici ricordano poi che attraverso l’opportunità di ammettere l’esistenza di una ipotesi di conflitto di interessi fra l’intermediario finanziario e il cliente, sia evidente che nei derivati over the counter, a differenza di ciò che avviene sul mercato con strumenti uniformi, tale conflitto sia qualificabile come naturale. Deriva infatti dall’assommarsi nello stesso soggetto delle qualità di offerente e di consulente dell’ente.
Alla luce di quanto sopra, e avvicinandoci alla formulazione del principio, i giudici della Suprema Corte dichiarano che l’esame condotto dai giudici di Appello sia corretto.
La regola
Un esame che si è caratterizzato per un approccio coerente, che ha condotto il giudice di merito a dichiarare gli effetti sanzionatori nei rapporti contrattuali, sulla base che:
- in nessuno dei contratti stipulati tra ente e intermediario finanziario figurava l’effettiva determinazione del valore attuale degli stessi al momento della stipula (il già ricordato mark to market). Valore che viene ritenuto come un elemento essenziale e integrativo della causa tipica da esplicitare sempre, indipendentemente dalla finalità di copertura o di speculazione;
- la potenziale passività di ogni contratto di swap trova la sua evidenza più concreta nella clausola di upfront.
Si afferma dunque la regola iuris secondo cui:
in tema di contratti derivati, stipulati dai Comuni italiani sulla base della disciplina normativa vigente fino al 2013 (quando la L. n. 147 del 2013, ha escluso la possibilità di farvi ulteriore ricorso) e della distinzione tra i derivati di copertura e i derivati speculativi, in base al criterio del diverso grado di rischiosità di ciascuno di essi, pur potendo l’ente locale procedere alla stipula dei primi con qualificati intermediari finanziari nondimeno esso poteva utilmente ed efficacemente procedervi solo in presenza di una precisa misurabilità/determinazione dell’oggetto contrattuale, comprensiva sia del criterio del mark to market sia degli scenari probabilistici, sia dei cd. costi occulti, allo scopo di ridurre al minimo e di rendere consapevole l’ente di ogni aspetto di aleatorietà del rapporto, costituente una rilevante disarmonia nell’ambito delle regole relative alla contabilità pubblica, introduttiva di variabili non compatibili con la certezza degli impegni di spesa riportati in bilancio.
Il principio di diritto
Si arriva poi alla formulazione del principio che intende ispirare il corretto comportamento dell’ente locale che è interessato a stipulare uno swap, laddove si precisa che
l’autorizzazione alla conclusione di un contratto di swap da parte dei Comuni italiani, specie se del tipo con finanziamento upfront, ma anche in tutti quei casi in cui la sua negoziazione si traduce comunque nell’estinzione dei precedenti rapporti di mutuo sottostanti ovvero anche nel loro mantenimento in vita, ma con rilevanti modificazioni, deve essere data, a pena di nullità, dal Consiglio comunale ai sensi dell’art. 42, comma 2, lett. i), TUEL di cui al D.Lgs. n. 267 del 2000 (laddove stabilisce che “Il consiglio ha competenza limitatamente ai seguenti atti fondamentali: (…) “spese che impegnino i bilanci per gli esercizi successivi (…)”); non potendosi assimilare ad un semplice atto di gestione dell’indebitamento dell’ente locale con finalità di riduzione degli oneri finanziari ad esso inerenti, adottabile dalla giunta comunale in virtù della sua residuale competenza gestoria ex art. 48, comma 2, stesso Testo Unico.