Il contratto d’appalto – indice:
- Cos’è
- Appalto privato e pubblico
- Caratteristiche
- La forma
- Indivisibilità della prestazione
- Inadempimento e risoluzione
- Difformità e vizi
- Risoluzione di diritto
- Accessione e appalto
- Il recesso unilaterale
- Le variazioni
Il legislatore definisce il contratto di appalto all’articolo 1655 del codice civile, ove indirettamente ne mette a fuoco i requisiti oggettivi e soggettivi. L’articolo 1655 del codice civile recita infatti:
“L’appalto è il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di una opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro.“
Cos’è il contratto di appalto
L’appalto è quel contratto di cui è parte un soggetto, imprenditore, che con l’organizzazione dei propri mezzi assume l’obbligazione del compimento di un’opera a fronte di un corrispettivo in denaro.
Si tratta dunque di un contratto di risultato e non di attività. Inoltre, si distingue dal contratto d’opera in quanto l’appaltatore non deve personalmente occuparsi del compimento delle opere commissionate, ma servirsi delle propria organizzazione e gestirla a tal fine. Tale contratto può avere ad oggetto tanto il compimento di un’opera quanto essere un appalto di servizi.
Il contratto d’appalto ha forma libera. Può quindi essere concluso anche oralmente, salvo nella circostanza in cui abbia ad oggetto la realizzazione di navi od aeromobili o in cui si tratti di un appalto pubblico. La stipulazione di un contratto di appalto in forma orale, tuttavia, porrebbe i contraenti in particolare difficoltà nella circostanza in cui sorgessero controversie, motivo per cui, in ogni caso, appare senza dubbio preferibile adottare la forma scritta.
Contratto di appalto pubblico e fra privati
Fondamentale è la distinzione legislativa nell’ambito di suddetto tipo contrattuale. Al contratto stipulato fra privati si affianca l’appalto pubblico in cui una parte contrattuale sia un ente di diritto pubblico. In quest’ultimo caso alla disciplina del codice civile deve affiancarsi la legislazione speciale del Decreto Legislativo 50/2016, anche noto come “Codice degli appalti”. Tale citata disciplina incide soprattutto sulla fase precontrattuale e di aggiudicazione delle gare bandite in ottemperanza ai principi di buon andamento della pubblica amministrazione. Nell’ambito di un contratto pubblico dunque, si contrappone alla stazione appaltante, generalmente una pubblica amministrazione (Amministrazione statale, ente pubblico non economico o territoriale e così via), un’impresa aggiudicataria appaltatrice. Il rapporto fra questi due soggetti è prevalentemente regolato dal codice civile, non senza qualche interferenza del codice degli appalti e del regolamento di esecuzione.
Caratteristiche del contratto di appalto
Fra le caratteristiche più rilevanti di questo tipo contrattuale è da rilevare in primo luogo come lo stesso sia un contratto ad esecuzione “prolungata” e non continuata. Tale peculiarità determina che ogni atto di esecuzione (ogni parte di opera eseguita) dall’appaltatore non soddisfi un corrispondente ed autonomo interesse del committente. L’appaltatore è adempiente nel solo momento in cui l’opera è portata e termine ed è collaudata, così come stabilito dall’articolo 1665 del codice civile. Il corrispettivo dell’appaltatore, salvo patto contrario, si matura soltanto al compimento ed al collaudo dell’opera.
Ciò che questo determina è messo ben in evidenza in tema di risoluzione, come meglio approfondiremo nel prosieguo. La prassi consiglia tuttavia di pattuire i termini di adempimento del contratto e le modalità di pagamento del corrispettivo. In difetto di un’espressa pattuizione delle parti, il diritto al corrispettivo si matura soltanto col collaudo. L’interesse del committente viene infatti integralmente soddisfatto al termine dell’opera, con l’atto finale di esecuzione normalmente coincidente con il collaudo e la consegna dell’opera eseguita.
L’appalto è un contratto a forma libera
Il contratto di appalto è un contratto a forma libera, può essere validamente stipulato anche oralmente, salvo quanto disposto dalle leggi speciali con riferimento alla costruzione di navi o aeromobili (articoli 237 e 852 del codice della navigazione). Nell’accordo devono essere individuate le opere da porre in essere mentre il corrispettivo e la durata possono anche essere determinate successivamente, come del resto stabilito dall’articolo 1657 del codice civile, anche se nella prassi è assolutamente infrequente nonché sconsigliato.
La prestazione dell’appaltatore è indivisibile
Come già osservato nelle precedenti righe, l’obbligazione gravante sull’appaltatore è indivisibile, salvo che le parti non abbiano voluto suddividere le prestazioni. In questo caso non si avrà un singolo contratto di appalto, invece, un unico oggetto di un singolo contratto sarà suddiviso in più oggetti di più contratti. Non rappresenta un’eccezione a tale regola la pattuizione di cui all’articolo 1666 del codice civile. Tale articolo prevede la possibilità che, in vantaggio dell’appaltatore, la verifica dell’opera compiuta avvenga per singole partite e così anche il pagamento sia effettuato da parte del committente proporzionalmente alla parte dell’opera eseguita. Tale pagamento farà in questo caso fa presumere l’accettazione della parte dell’opera pagata, ma è ammessa prova contraria da parte del committente.
Inadempimento dell’appaltatore e risoluzione giudiziale dell’appalto
Il contratto di appalto consente al committente l’utilizzo dei rimedi risolutori generali, così come previsti dagli articoli 1453 e seguenti del codice civile, non senza qualche particolarità.
La natura indivisibile della prestazione dell’appaltatore determina infatti che anche un inadempimento parziale dell’appaltatore corrisponda di fatto ad un inadempimento totale. L’accoglimento avente ad oggetto la domanda di risoluzione giudiziale del contratto dispenserà il committente dal pagamento del corrispettivo dovuto. Ove si tratti di un appalto avente ad oggetto la costruzione od il restauro di un immobile, la parte di opera eseguita sul fondo altrui dall’appaltatore, come illustrato in seguito, rimarrà di proprietà del proprietario del fondo stesso, secondo i principi dell’accessione (articolo 936 del codice civile).
La difformità o i vizi dell’opera: rimedi speciali
Anche al di fuori dei casi di inadempimento, i rimedi risolutori specificamente previsti dal legislatore nell’ambito del contratto di appalto presentano delle peculiarità. L’articolo 1668 del codice civile prevede infatti un rimedio per il caso di difformità o vizi dell’opera. Nel caso questi non siano tali da rendere l’opera del tutto inadatta alla sua destinazione, l’appaltatore dovrà, alternativamente, eliminarli a proprie spese o ridurre il proprio corrispettivo.
Nel caso invece le difformità o i vizi siano tali da renderla inadatta alla propria funzione, il committente potrà legittimamente domandare la risoluzione dell’appalto.
In generale si distingue questa ipotesi speciale dall’inadempimento parziale perché l’inadempimento parziale si avrebbe quando l’opera parzialmente ineseguita avrebbe potuto con la parte mancante esplicare la propria funzione.
Ci sarà invece vizio o una difformità (di cui all’ultimo comma dell’articolo 1668 del codice civile) quando la parte di opera mancante non avrebbe potuto far esplicare all’opera la funzione propria, individuabile sebbene non autonoma, a causa appunto di un vizio generale.
La risoluzione “di diritto” del contratto di appalto
In alcuni casi sarà possibile che il contratto di appalto si risolva in assenza di una domanda giudiziale in tal senso. Il codice prevede tre ipotesi di questo tipo.
1) La diffida ad adempiere
Alla risoluzione di diritto dello stesso contratto di appalto sarà possibile addivenire mediante un inadempimento conseguente a diffida ad adempiere. Il committente adempiente avrà la facoltà di inviare tale lettera di diffida all’appaltatore, assegnando allo stesso un termine congruo non inferiore a quindici giorni per il compimento (di alcune) delle opere pattuite. Ove anche in seguito a tale diffida l’appaltatore risulti inadempiente, il contratto di appalto si risolverà di diritto. Non vi sarà quindi la necessità di una domanda giudiziale, mentre, il giudice potrà eventualmente limitarsi all’accertamento dell’avvenuta risoluzione.
1) La clausola risolutiva espressa
La risoluzione del contratto d’appalto opererà di diritto anche nella circostanza in cui sia stata pattuita una clausola risolutiva espressa. Questo avverrà quando i contraenti abbiano previsto la risoluzione al verificarsi di determinate circostanze di grave inadempimento (articolo 1456 del codice civile).
3) Il decorso del termine essenziale
Ultima circostanza in cui la risoluzione opererà di diritto sarà con il decorso del termine essenziale. Il termine essenziale è tale quando debba ritenersi oggettivamente essenziale per una delle parti (articolo 1457 del codice civile).
L’accessione per il caso di risoluzione del contratto
La regola generale in tema di risoluzione e di ripetizione di quanto versato ed adempiuto dalle parti deve essere tuttavia coordinata, in caso di costruzione immobiliare sul suolo del committente (dunque di appalto di lavori edili), con la disciplina dell’accessione. Ai sensi e per gli effetti dell’articolo 936 del codice civile, infatti, le opere fatte sul suolo del proprietario saranno di proprietà del proprietario del terreno per accessione (Così Cassazione del 29 marzo 2001, n. 4623, Cassazione del 29 gennaio 1997, n. 895, e Cassazione del 29 gennaio 1995, n. 956).
Le conseguenze dell’accessione nell’appalto
Tale regola determinerà come, in caso di risoluzione contro l’appaltatore, all’appaltatore spetterà soltanto quanto previsto dal secondo comma dell’articolo 936 del codice civile. Il committente dovrà pagare all’appaltatore soltanto il valore dei materiali utilizzati e il prezzo della mano d’opera. A sua scelta il committente potrà decidere di pagare l’aumento del valore apportato al fondo. Evidente come tali importi debbano calcolarsi al netto dell’utile di impresa e determinino di fatto un trattamento economico di norma nettamente inferiore a quello corrispondente al corrispettivo del contratto d’appalto.
I particolari casi di recesso unilaterale del committente e dell’appaltatore: indennizzi, penali e risarcimento dei danni
Si è già definito l’appalto come un contratto ad esecuzione prolungata e proprio per questo motivo l’appalto ha una particolare disciplina per il recesso. Questo determina l’assoggettabilità dello stesso alla disciplina del recesso, ed in particolare, alle speciali norme previste per questa fattispecie negoziale. Al committente è concesso infatti dal legislatore un diritto potestativo di porre termine al contratto “ad nutum”, su cenno, in base alla sola propria volontà.
Il recesso unilaterale del committente
Il recesso unilaterale “ad nutum”, del committente non è tuttavia privo di conseguenze giuridiche. L’esercizio di tale diritto potestativo non lo dispensa infatti dal dover tenere indenne l’appaltatore dalle spese sostenute, dalla parte dell’opera eseguita ed anche dal mancato guadagno. In sintesi la possibilità di recedere del committente è controbilanciata dal legislatore che, di fatto, prende in considerazione questo recesso alla stregua di un inadempimento. Le conseguenze pratiche non sono infatti dissimili.
Il recesso per inadempimento
La giurisprudenza, tuttavia, nel considerare l’utilizzo di questo diritto potestativo, ha fatto salvo il diritto del committente, esercitato il recesso ai sensi dell’articolo 1671 del codice civile, di chiedere il risarcimento dei danni per gli eventuali inadempimenti dell’appaltatore: così si è espressa la Corte di Cassazione con due pronunce e rispettivamente la Cassazione numero 1491 del 18 aprile del 1975 e la Cassazione numero 2055 del 28 marzo del 1980. Si è all’uopo anche parlato di recesso del committente per inadempimento dell’appaltatore.
Le variazioni di notevole entità – casi di recesso per l’appaltatore e per il committente
L’articolo 1660 del codice civile disciplina un’altra ipotesi di recesso del committente. Si tratta del recesso in caso di variazioni necessarie al progetto “di notevole entità”, che determinino un conseguente aumento del prezzo. Ad avviso della giurisprudenza e della dottrina queste variazioni possono anche essere di misura inferiore al sesto dell’importo originariamente pattuito.
Anche all’appaltatore è concesso recedere secondo quanto disposto dal secondo comma dello stesso articolo, quando l’importo delle variazioni supera il sesto di quanto originariamente pattuito. L’appaltatore conserva però il diritto ad “un’equa indennità”. Ad avviso di dottrina e giurisprudenza, questa sarà di importo inferiore all’equo indennizzo di cui all’articolo 1671 del codice civile. I motivi del resto sono facilmente comprensibili.