Credito al consumo e inadempienza del fornitore – guida rapida
- La posizione della finanziaria
- Le repliche del ricorrente
- Le osservazioni del Collegio rimettente
- La restituzione delle rate e l’estinzione del finanziamento
- Gli orientamenti sul tema
- La giurisprudenza di merito e di legittimità
Che cosa accade se il fornitore di un rapporto pagato con il credito al consumo fallisce e non porta a compimento le proprie prestazioni?
È quanto ci spiega il Collegio di Coordinamento dell’Arbitro Bancario Finanziario con decisione n. 9747/2024, che ha per protagonista un ricorrente che afferma di aver stipulato un contratto di finanziamento con una finanziaria, finalizzata al pagamento del corrispettivo di prestazioni specialistiche da erogarsi a cura di una clinica convenzionata.
L’importo pattuito ammontava a 3.645,09 euro, ma la clinica non avrebbe erogato tutte le prestazioni specialistiche promesse. In data 9 luglio 2020 il ricorrente inviava lettera di messa in mora alla clinica, che, tuttavia, nel mese di ottobre è stata dichiarata fallita.
Nonostante la messa in mora, il fornitore non ha eseguito le prestazioni promesse, per un valore del non eseguito pari a 2.009,00 euro, ovvero circa il 60% delle attività complessive che avrebbero dovuto essere realizzate.
La posizione della finanziaria nel credito al consumo
La finanziaria risponde affermando che il ricorrente avrebbe sottoscritto due contratti di finanziamento: uno di 3.609,00 euro e un altro di 948,50 euro. A seguito del fallimento della clinica l’intermediario si è attivato per l’individuazione di diversi specialisti per permettere l’esecuzione delle prestazioni mediche.
Il secondo contratto di finanziamento è stato sottoscritto successivamente al primo ed è stato già completamente estinto, con la conseguenza che la domanda di risoluzione dovrebbe essere respinta.
Il finanziamento contestato in questa sede presenterebbe ancora un saldo pari a euro 148,82, relativo alle ultime due rate del piano di ammortamento. Non sarebbe dunque verosimile, per la finanziaria, che il ricorrente abbia continuato a pagare le rate del finanziamento per i 4 anni successivi al fallimento della clinica.
Per questa ragione, la finanziaria ritiene che si dovrebbe concludere che le cure promesse siano state interamente eseguite, come risulterebbe dall’evidenza prodotta da parte della clinica.
Inoltre, aggiunge ancora l’istituto, il ricorrente non avrebbe fornito prova del grave inadempimento del fornitore. Non è stata infatti versata in atti documentazione che dimostri la mancata erogazione delle prestazioni promesse. Pur incombendo su parte ricorrente l’onere della prova ex art. 2697 c.c., la stessa non avrebbe dimostrato l’inadempimento di non scarsa importanza del fornitore.
Le repliche del ricorrente del credito al consumo
Il ricorrente replica come in relazione al finanziamento oggetto della vertenza, sarebbe stata inviata messa in mora il 9 luglio 2020 e non sarebbe corrisponderebbe pertanto a verità che sarebbe rimasto inerte per 4 anni: al momento della presentazione del ricorso residuavano ancora tre rate da pagare in relazione al finanziamento.
Inoltre, precisa ancora il ricorrente, la gravità dell’inadempimento si dedurrebbe dalla circostanza che il valore delle prestazioni non eseguite ammontava a 2.009,00 euro, il 60% del valore complessivo.
Parte ricorrente ha poi affermato che l’onere della prova dell’adempimento graverebbe sul debitore della prestazione. Aggiunge inoltre che la documentazione in atti dimostrerebbe l’inadempimento e la sua gravità.
In sede di controrepliche l’intermediario deduce però che è poco verosimile che il ricorrente abbia estinto il secondo finanziamento quando ancora una parte delle prestazioni risultava non adempiuta. Sostiene poi che le prestazioni promesse dalla clinica risulterebbero adempiute e che i due contratti di finanziamento risultano entrambi estinti.
Le osservazioni del Collegio rimettente
Ciò premesso, il Collegio rimettente sottolinea come la finanziaria abbia eccepito la non risolubilità del contratto in quanto già interamente adempiuto da parte del ricorrente, sulla base di quanto affermato nella decisione n. 12645/2021 dal Collegio di Coordinamento, secondo cui
Il diritto alla restituzione delle rate pagate è precluso dalla eventualità che il finanziamento sia stato interamente rimborsato.
Su tale punto il Collegio rimettente ha poi rimarcato che parte ricorrente ha evidenziato che il ricorso è stato proposto in data 28 dicembre 2023, ovvero quando il finanziamento non era ancora stato estinto.
Sulla base di quanto appena illustrato il Collegio territoriale rimettente evidenzia poi la questione della necessità di valutare gli eventuali effetti preclusivi sulla domanda dell’estinzione del finanziamento avvenuta dopo la proposizione del ricorso.
La valutazione ha ad oggetto la questione della applicabilità in concreto di uno dei principi enunciati nella già citata pronuncia del Collegio di Coordinamento, cioè quello secondo cui il diritto alla restituzione delle rate è precluso nel caso di integrale estinzione del finanziamento.
Rileva poi come al momento della proposizione del ricorso il finanziamento non fosse ancora estinto, e che tale estinzione si è verificata in epoca successiva.
Il Collegio territoriale ritiene dunque fondamentale stabilire se anche l’estinzione intervenuta dopo la proposizione del ricorso o, in ipotesi, dopo la proposizione del reclamo, precluda o meno il diritto alla restituzione delle rate.
La restituzione delle rate e l’estinzione del credito al consumo
La vicenda giunge così sulle scrivanie del Collegio di Coordinamento, che introduce come la questione di merito che è chiamato a dirimere attiene alla determinazione del principio a suo tempo espresso dal Collegio di Coordinamento, secondo cui, nel procedimento instaurato ai sensi dell’art. 125-quinquies del TUB,
il diritto alla restituzione delle rate pagate è precluso dalla eventualità che il finanziamento sia stato interamente rimborsato.
Si domanda infatti al Collegio di chiarire se anche l’estinzione intervenuta dopo la proposizione del ricorso o, in ipotesi, dopo la proposizione del reclamo, precluda o meno il diritto alla restituzione delle rate.
In tal senso, è data enfasi all’affermazione di parte ricorrente di aver scelto di continuare a pagare le rate, malgrado la già intervenuta costituzione in mora,
…al solo fine di evitare una possibile segnalazione sulle banche dati…”.
L’art. 125-quinquies TUB
Ebbene, come noto, l’art. 125-quinquies T.U.B. dispone, su tale argomento, quanto segue:
- Nei contratti di credito collegati, in caso di inadempimento da parte del fornitore dei beni o dei servizi il consumatore, dopo aver inutilmente effettuato la costituzione in mora del fornitore, ha diritto alla risoluzione del contratto di credito, se con riferimento al contratto di fornitura di beni o servizi ricorrono le condizioni di cui all’articolo 1455 del codice civile.
- La risoluzione del contratto di credito comporta l’obbligo del finanziatore di rimborsare al consumatore le rate già pagate, nonché ogni altro onere eventualmente applicato. […]
- In caso di locazione finanziaria (leasing) il consumatore, dopo aver inutilmente effettuato la costituzione in mora del fornitore dei beni o dei servizi, può chiedere al finanziatore di agire per la risoluzione del contratto. La richiesta al fornitore determina la sospensione del pagamento dei canoni. La risoluzione del contratto di fornitura determina la risoluzione di diritto, senza penalità e oneri, del contratto di locazione finanziaria. Si applica il comma 2. […]”.
Tutto ciò premesso, il Collegio di coordinamento ritiene che la soluzione della questione de qua sembri dipendere dalla natura che si intende attribuire al diritto alla risoluzione di cui all’art. 125- quinquies TUB.
L’ipotesi di risoluzione di diritto
Di fatti, se si intende qualificare questa risoluzione come un’ipotesi di risoluzione di diritto – che postula un mero accertamento del giudice – ne conseguirebbe che l’effetto risolutivo interviene prima dell’introduzione del ricorso (o la presentazione del reclamo).
Ne deriva che eventuali pagamenti successivi allo scioglimento del vincolo contrattuale non comprometterebbero il diritto alla restituzione delle rate versate.
Se però si qualifica la risoluzione in questione alla stregua di una risoluzione giudiziale, allora l’effetto risolutivo si verifica solo con la pronuncia giudiziale. Si dovrebbe dunque concludere che l’integrale pagamento delle rate che si verifichi nelle more del procedimento impedirebbe una pronuncia di risoluzione, posto che questa sarebbe preclusa dalla avvenuta estinzione del vincolo contrattuale.
Gli orientamenti sul tema
Il Collegio si spinge dunque a ricostruire quali siano i principali orientamenti sulla questione de qua.
In particolare, la posizione prevalente dei Collegi territoriali dell’ABF è certamente quella di dare piena applicazione al principio espresso dalla decisione del Collegio di Coordinamento n. 12645/2021, rigettando la domanda di risoluzione, nelle ipotesi in cui il finanziamento risulti estinto prima della proposizione del ricorso.
In particolare, l’ipotesi più frequente sottoposta al vaglio dei Collegi territoriali è quella in cui l’estinzione del prestito sia avvenuta prima della messa in mora del fornitore.
La decisione n. 3040 del 29/03/2023 del Collegio di Milano, recita così:
oggetto del ricorso è la domanda di risoluzione del contratto di credito collegato (ex art. 121, comma 1, lett. d) TUB) alla fornitura di cure dentistiche, che, nella prospettazione di parte ricorrente, risulterebbe gravemente inadempiuto con conseguente scioglimento del finanziamento ex art. 125-quinquies TUB.
Ai sensi della disposizione appena citata, presupposti della domanda di risoluzione sono a) la messa in mora del debitore, e b) l’inadempimento di non scarsa importanza del fornitore ai sensi dell’art. 1455 c.c.
Non è necessario, tuttavia, esaminare tali profili in quanto è dirimente quanto eccepito dall’intermediario relativamente all’estinzione anticipata del contratto di finanziamento. Risulta infatti dalla documentazione agli atti, né il fatto è contestato dal ricorrente, che il finanziamento è stato estinto in data 27/07/2018.
Si tratta di una circostanza che impedisce di applicare il rimedio previsto dall’art. 125- quinquies TUB, in quanto non può risolversi un contratto già sciolto tra le parti: in questo senso si è espresso il Collegio di Coordinamento (v. dec. n. 12645/21) osservando anche che «Il diritto alla restituzione delle rate pagate è precluso dalla eventualità che il finanziamento sia stato interamente rimborsato.
L’estinzione anticipata del finanziamento, prosegue poi il Collegio, cessa il nesso tra la fornitura del servizio e il contratto di finanziamento e non sarebbe giustificato far permanere sul finanziatore il rischio dell’inadempimento del fornitore, come previsto dall’art. 125-quinquies TUB.
La decisione Coll. Coordinamento n. 12645/21
Arriva ancora in supporto la decisione Coll. Coordinamento, n. 12645/21, secondo cui
a seguito della risoluzione del contratto di finanziamento il consumatore, cui sono restituite le rate già pagate, è sollevato dall’obbligo di rimborsare al finanziatore l’importo del prestito già versato al fornitore cui il finanziatore deve necessariamente rivolgersi per il relativo recupero. Ù
Viene conseguito in tal modo l’obiettivo di tutela del consumatore senza aggravare ingiustificatamente la posizione del finanziatore, circoscrivendone i profili di responsabilità alla vicenda del contratto di credito, ad esclusione di ulteriori rimedi esperibili nei suoi confronti, esterni alla fisiologia e dinamica di tale rapporto, che attribuirebbero al finanziatore un’impropria veste di garante delle obbligazioni del fornitore»).
A medesima considerazione, poi i Collegi territoriali giungono anche nel caso in cui l’estinzione sia avvenuta dopo la messa in mora, ma prima della presentazione del ricorso all’Arbitro
La giurisprudenza di merito e di legittimità
Dal canto suo, la giurisprudenza di merito non sembra essere particolarmente significativa. La risoluzione del contratto di credito ex art. 125- quinquies TUB è affermata in conseguenza di una già avvenuta risoluzione di diritto o giudiziale del contratto di fornitura a monte.
Sembra invece fornire qualche spunto in più la giurisprudenza di legittimità, che si è espressa a Sezioni Unite per la differente ipotesi della risoluzione del contratto di leasing prevista dal comma 3 dell’art. 125-quinquies TUB, precisando – sulla base della lettera della norma – che si tratta di una ipotesi di risoluzione di diritto che, nei contratti di credito collegati ed in ipotesi di inadempimento del fornitore,
non consente all’utilizzatore/consumatore (soggetto sicuramente meritevole di maggior tutela rispetto all’imprenditore) di agire direttamente contro il fornitore per la risoluzione del contratto di fornitura, bensì gli consente di chiedere al concedente/finanziatore (dopo avere inutilmente costituito in mora il fornitore) di agire per la risoluzione del contratto di fornitura; richiesta che determina la sospensione del pagamento dei canoni (art. 125-quinquies, il quale dispone pure che la risoluzione del contratto di fornitura determina la risoluzione di diritto, senza penalità e oneri, del contratto di locazione finanziaria).
L’analisi della norma
Tutto ciò chiarito, il Collegio di coordinamento ritiene che non si possa prescindere dall’analisi del dato testuale dell’art. 125-quinquies T.U.B., raffrontando il primo e il terzo comma della norma ora richiamata.
Per il primo comma
Nei contratti di credito collegati, in caso di inadempimento da parte del fornitore dei beni o dei servizi il consumatore, dopo aver inutilmente effettuato la costituzione in mora del fornitore, ha diritto alla risoluzione del contratto di credito, se con riferimento al contratto di fornitura di beni o servizi ricorrono le condizioni di cui all’articolo 1455 del codice civile.
Il terzo comma della stessa norma prevede invece che
in caso di locazione finanziaria (leasing) il consumatore, dopo aver inutilmente effettuato la costituzione in mora del fornitore dei beni o dei servizi, può chiedere al finanziatore di agire per la risoluzione del contratto. La richiesta al fornitore determina la sospensione del pagamento dei canoni. La risoluzione del contratto di fornitura determina la risoluzione di diritto, senza penalità e oneri, del contratto di locazione finanziaria. Si applica il comma 2. […].
Per il Collegio è dunque possibile inferire che il legislatore ha inteso prevedere due soluzioni affatto diverse nel caso del contratto di leasing e nel diverso caso del contratto di fornitura al consumatore.
A ben vedere, infatti, la risoluzione del contratto di finanziamento avviene espressamente di diritto come conseguenza dell’avvenuto scioglimento del vincolo contrattuale connesso con la fornitura del bene.
La risoluzione di diritto
Diversamente, nel caso previsto al comma primo della norma, il legislatore non ha previsto alcuna “risoluzione di diritto”, ma il “diritto alla risoluzione del contratto di credito”, che è una locuzione del tutto diversa rispetto a quella del comma terzo, con l’ulteriore fondamentale differenza che il contratto di finanziamento può risolversi senza che debba anteriormente essere risolto quello di fornitura.
Ne consegue da quanto sopra che, una volta avvenuta la messa in mora del fornitore, l’unico elemento che l’interprete dovrà accertare per poter verificare il “diritto alla risoluzione del contratto di finanziamento”. Ù
Una volta che è stato verificato questo presupposto, la pronuncia di risoluzione del contratto risulta essere un “atto dovuto”, non potendo l’interprete svolgere alcuna ulteriore indagine, come, ad esempio, la ricorrenza o meno dell’imputabilità dell’inadempimento del fornitore.
È pertanto una tipologia di risoluzione sui generis, introdotta dal legislatore per assicurare la massima tutela al consumatore rispetto ai principi propri della disciplina dei contratti in generale.
Per questi motivi il Collegio si è pronunciato nel merito delle domande dei ricorrenti, pur nella piena consapevolezza di non poter emettere pronunce costitutive.
Ciò, si legge ancora nelle ultime parti della decisione, in quanto è sufficiente accertare che vi sia stata una rituale e regolare messa in mora del fornitore e che l’inadempimento di quest’ultimo rivesta i caratteri previsti dall’art. 1455 cod. civ.
L’accertamento nel credito al consumo
L’accertamento così descritto è sufficiente che avvenga anche in via incidentale: dal positivo esame della ricorrenza di questi presupposti non può infatti che dedursi la sussistenza del diritto alla risoluzione del contratto di finanziamento e il conseguente diritto alla restituzione delle rate già versate.
Per il Collegio di coordinamento, questo aspetto è stato correttamente rilevato dai collegi territoriali, che hanno inteso più volte sottolineare che è possibile
esaminare nel merito la domanda di restituzione delle somme versate dal ricorrente a titolo di rimborso del finanziamento di cui trattasi e valutare in via incidentale la sussistenza dei presupposti per la risoluzione del contratto di credito, la quale si verifica ope legis.
Sulla base di quanto precede, il Collegio conclude dunque come il diritto alla risoluzione del contratto di cui al primo comma non contempla affatto un caso di risoluzione di diritto, ma quello di una risoluzione giudiziale che richiede una pronuncia costitutiva.
Ecco dunque che l’ABF non può accertare il diritto alla risoluzione del contratto di finanziamento se il rapporto contrattuale non è più in essere in ragione del fatto che tutte le rate del finanziamento sono già state versate.
Ribadisce l’Arbitro come la disciplina prevista dall’art. 125-quinquies, comma 2, TUB, faccia ricadere sul finanziatore il rischio dell’inadempimento del fornitore – con ciò assicurando una tutela “forte” al consumatore – ma, una volta che si sia verificata l’estinzione del finanziamento, viene fisiologicamente meno la correlazione la fornitura del bene (o del servizio) e il contratto di finanziamento.