Il danno patrimoniale da lucro cessante per morte dal familiare – indice:
La Corte di Cassazione è recentemente intervenuta con la sentenza n. 6619/18 sul tema della liquidazione del danno patrimoniale da lucro cessante, per decesso di familiare, patito dalla moglie e dal figlio di una persona deceduta per colpa altrui.
La pronuncia contenuta nell’ordinanza, invero piuttosto interessante, contribuisce a chiarire in che modo si calcola il danno patrimoniale da lucro cessante, e può dunque rappresentare un significativo contributo per la determinazione della rendita in favore del coniuge e del figlio.
Cerchiamo di riassumere in che modo gli Ermellini sono arrivati alla definizione di cui sopra, e sintetizzare le motivazioni dei giudici della Suprema Corte.
Risarcimento del danno per morte di un familiare
Soffermandoci per qualche istante sulla ricostruzione della vicenda, nel caso in esame la moglie e il figlio di un uomo che aveva perso la vita come conseguenza di uno scontro contro un autocarro, convenivano in giudizio la società proprietaria dell’autocarro e la compagnia di assicurazione per poter ottenere il risarcimento del danno.
Il giudice di primo grado ha accolto la domanda, attribuendo però alla vittima un concorso di colpa pari al 50%. In appello, il giudice ritenne invece eccessivo il danno non patrimoniale liquidato dal tribunale, valutato che la giovane donna rimasta vedova si era risposata poco dopo l’accaduto, e che all’epoca della morte dell’uomo il figlio avesse solo otto mesi. In quella sentenza, il giudice d’Appello ritenne altresì che erroneamente era stato negato il risarcimento del danno patrimoniale da lucro cessante, che era stato rappresentato dalla perdita del sostegno economico elargito dal defunto.
Danno patrimoniale da lucro cessante: i principi per il risarcimento
Cassando con rinvio la sentenza impugnata, gli Ermellini hanno colto l’opportunità di ribadire quali sono i principi più importanti in tema di risarcimento di danno patrimoniale da lucro cessante. In particolare, il giudice di legittimità ha sottolineato come l’uccisione di una persona possa determinare ai propri familiari un danno patrimoniale da lucro cessante che consiste nella perdita dei benefici economici che la vittima destinava loro, o per legge o per costume sociale.
La liquidazione sotto forma di rendita
Tale danno patrimoniale da lucro cessante può essere a sua volta liquidato sia in forma di rendita, ex art. 2057 c.c., sia in forma di capitale. Nel caso in cui sia scelta la liquidazione sotto forma di capitale, la stessa dovrà avvenire determinando il reddito della vittima al momento della morte, sottraendo da tale reddito la quota che era presumibilmente destinata ai bisogni personali della vittima, o al risparmio, e ancora moltiplicando il risultato per un coefficiente variabile a seconda delle valutazioni compiute caso per caso.
La rendita vitalizia
In particolare, si userà un coefficiente di capitalizzazione delle rendite vitalizie nel caso in cui si ritenga ragionevole che in mancanza dell’illecito il superstite avrebbe continuato a godere del supporto economico del defunto vita natural durante (il coefficiente corrisponderà pertanto all’età della vittima se questa sia più giovane dell’alimentato, e all’età dell’alimentato se è più giovane della vittima); oppure, si userà un coefficiente di capitalizzazione delle rendite temporanee se invece è più ragionevole ritenere che in assenza dell’illecito il superstite avrebbe continuato a godere del supporto economico del defunto non vita natural durante, bensì solamente per un periodo di tempo determinato (in questo caso il coefficiente corrisponderà alla durata presumibile per la quale sarebbe proseguito il sostegno economico).
Il principio dell’indifferenza
Chiarito ciò, il giudice sottolinea anche come per poter determinare il reddito della vittima da porre come base di calcolo non bisogna scordare che il risarcimento del danno deve essere “guidato” dal rispetto del principio di indifferenza, sulla base del quale la liquidazione deve comprendere tutto il danno e nient’altro che il danno.
Tale principio, ex art. 1223 c.c., produce come conseguenza il fatto che l’importo del reddito goduto dalla vittima al momento della morte non potrà che essere adeguatamente rivisto per poter evitare sovra o sottostime. In particolare, dal reddito suddetto deve essere detratto l’importo delle spese per la produzione del reddito e il carico fiscale, ma è comunque necessario tenere in considerazione – se la circostanza è opportunamente allegata e provata, anche per presunzioni – dei verosimili incrementi futuri che quel reddito avrebbe avuto, nel caso in cui la vittima avesse avuto l’opportunità di continuare a svolgere il proprio lavoro.
I pagamenti in acconto
In aggiunta a quanto sopra elaborato, infine, il giudice della Suprema Corte si è soffermato sui pagamenti in acconto, stabilendo che
la liquidazione del danno da ritardato adempimento d’una obbligazione di valore, nel caso in cui il debitore abbia pagato un acconto prima della liquidazione definitiva, deve avvenire: (a) devalutando l’acconto e il credito alla data dell’illecito; (b) detraendo l’acconto dal credito; (c) calcolando gli interessi compensativi individuando un saggio scelto in via equitativa, ed applicandolo sull’intero capitale, rivalutato anno per anno, per il periodo che va dalla data dell’illecito al pagamento dell’acconto; sulla somma che residua dopo la detrazione dell’acconto, rivalutata anno per anno, per il periodo che va dal suo pagamento fino alla liquidazione definitiva.
Secondo il giudice di legittimità, la sentenza oggetto di impugnazione non si sarebbe attenuta a questo principio, poiché è stato detratto l’acconto pagato dall’assicurato dal credito risarcitorio e dal lucro cessante, rappresentato dagli interessi compensativi. Su questa somma residuata sono poi stati calcolati ulteriori interessi compensativi. Tuttavia, così facendo – conclude il giudice di Cassazione – è stato mescolato il creditore per capitale a quello per lucro cessante, conteggiando quest’ultimo per il periodo di tempo successivo al pagamento del primo acconto, non solamente sul capitale rivalutato anno per anno, quanto anche sugli interessi compensativi già oggetto di conteggio, con la conseguenza che anch’essi hanno finito con l’essere rivalutati e produttivi di altri interessi, con sovrastima del danno.