Il danno patrimoniale e non – indice:
Come sancito dall’art. 2043 c.c., qualsiasi fatto doloso o colposo che cagiona un danno ingiusto obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.
Ma come possiamo classificare i danni? E, sulla base di tali classificazioni, come si può ottenere un risarcimento?
Danno patrimoniale
Iniziamo con il rammentare che il macro tema relativo al danno si può anzitutto scindere in due tipologie:
- danno patrimoniale;
- danno non patrimoniale.
A sua volta, il danno patrimoniale può essere inteso nei termini di un danno emergente e di un lucro cessante.
Il danno è emergente se è inerente una effettiva diminuzione di patrimonio del danneggiato. Si pensi, a titolo di esempio non esaustivo, a tutte le spese che sono sostenute come conseguenza del danno subito, come quelle legate al servizio di un meccanico, all’acquisto di medicinali, e così via.
La risarcibilità del danno emergente è di relativa facile misurazione. Salvo i termini di complessità di cui si avrà modo di disquisire, sarà sufficiente presentare apposita documentazione che attesti il sostenimento di tali spese, come le fatture o le ricevute fiscali.
Il lucro cessante è invece il mancato guadagno del danneggiato in virtù del presumibile periodo di riposo “forzato” dall’attività lavorativa (per questo motivo, chiamato anche “danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa”).
In altri termini più esaustivi, se come conseguenza del danno subito il soggetto danneggiato non potrà svolgere la propria attività lavorativa come invece accadeva prima dell’incidente, o la può svolgere ma solo in misura parziale o inferiore, bisognerà procedere a un risarcimento.
Intuibilmente, per poter arrivare alla quantificazione del lucro cessante non si potrà procedere come nel caso del danno patrimoniale, ma occorrerà seguire altri criteri come quello del reddito effettivo, con calcolo del coefficiente di sopravvivenza e applicazione dello scarto tra vita lavorativa e fisica.
Peraltro, non troppo remota sentenza della (Cassazione n. 14278 del 28 giugno 2011) ha altresì stabilito che nel caso in cui il soggetto non sia lavoratore, non possa lavorare a causa dell’età o non possa provare il reddito, per poter stabilire il lucro cessante si adotterà il parametro equitativo del triplo della pensione sociale.
Ad ogni modo, si tenga anche in considerazione come altra sentenza (Cassazione n. 23761 del 14 novembre 2011), tra lesione della salute e diminuzione della capacità di guadagno non opera alcun automatismo. Ne deriva che in presenza di una lesione della salute, anche di non modesta entità, non può ritenersi ridotta nella stessa misura la capacità di produrre reddito, e il soggetto danneggiato dovrà sempre provare che l’invalidità permanente abbia inciso sulla capacità di guadagno.
In altre parole, se è pur vero che l’invalidità permanente concorre a dar luogo al danno biologico, è anche vero che la stessa non comporta necessariamente un danno patrimoniale, che andrà invece accertato dal giudice sulla base di quanto, effettivamente, la menomazione fisica abbia inciso sulla capacità di svolgere l’attività lavorativa specifica sulla capacità di guadagno, con il giudice che dovrà anche accertare se e in quale misura il soggetto possa continuare a esercitare la propria professione, o altre professioni, dopo e nonostante l’infortunio subito.
Danno non patrimoniale
Il danno non patrimoniale è il danno che il soggetto soffre in seguito alla violazione di un valore della personalità umana, con risarcimento nei casi previsti ex art. 2059 c.c. Con valutazione tendenzialmente equitativa, il danno non patrimoniale si sommerà al danno patrimoniale.
A sua volta, concettualmente, il danno non patrimoniale potrà essere differenziato in:
- danno biologico: è il danno alla salute, ovvero la lesione temporanea o permanente all’integrità psico-fisica della persona, suscettibile di un accertamento di tipo medico-legale, a verifica dell’influenza negativa sulla capacità di svolgere ordinarie attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato (non rileva, qui, le ripercussioni sulla capacità di produrre reddito).
Il danno biologico comprenderà sia i danni fisici che quelli psichici (si pensi all’ansia patologica dopo un trauma, e così via), e andrà risarcito indipendentemente dai riflessi sulla situazione patrimoniale del danneggiato, con criteri di liquidazione equitativi.
Dunque, sulla base di una perizia medico legale bisognerà accertare l’invalidità temporanea e quella permanente, da monetizzare con un sistema tabellare che abbia come obiettivo quello di evitare la discrezionalità nella liquidazione del danno.
- danno morale soggettivo: è la sofferenza soggettiva subita dal danneggiato in conseguenza di un fatto illecito, da risarcirsi in quei casi previsti dalla legge, con liquidazione su base equitativa. Le tabelle di Milano, di cui abbiamo recentemente parlato su queste pagine, possono certamente rappresentare un valido sostegno, peraltro supportato anche da orientamento giurisprudenziale di legittimità.
- danno esistenziale: è intesa come qualsiasi compromissione delle attività realizzatrici della persona umana. Si pensi alla lesione della serenità familiare, o ancora al mancato godimento di un ambiente salubre, ecc.
Danno da morte
Rappresenta una ipotesi separata il c.d. “danno da morte”, o danno tanatologico, inteso come la consapevolezza dell’imminente fine della vita.
In tale ambito, giurisprudenza di legittimità ha precisato che occorre verificare se la vittima abbia sofferto dolore di natura psichica vedendo – in modo “lucido” – avvicinarsi la morte (si esclude il caso in cui la vittima rimanga in coma fino al momento del decesso).
Le Sezioni Unite della Cassazione hanno infatti più volte rammentato come la sofferenza patita dalla vittima durante l’agonia che la separa dalla morte sia autonomamente risarcibile non tanto come danno biologico, bensì come danno morale, ovvero come sofferenza della vittima che assiste all’avvicinarsi del proprio decesso. Sentenza n. 1361/2013 della Cassazione Civile, Terza Sezione, ha definito il danno da perdita di vita “oggetto di un diritto assoluto e inviolabile garantito in via primaria da parte dell’Ordinamento, anche sul piano della tutela civilistica”, rammentando così che questo “danno da perdita della vita è altro e diverso, in ragione del diverso bene tutelato, dal danno alla salute, e si differenzia pertanto dal danno biologico terminale e dal danno morale terminale (o catastrofale o catastrofico) della vittima, rilevando ex se nella sua oggettività di perdita del principale bene dell’uomo costituito dalla vita”.
Si ricorda come in caso di danno da morte, debba essere sempre riconosciuto il danno biologico, consistente nella lesione dell’integrità psico-fisica del danneggiato, per il tempo che trascorre tra l’insorgenza delle lesioni e il successivo decesso.
Opinione prevalente in ambito giurisprudenziale evidenza in questo ambito che il danno risarcibile in capo al danneggiato si tramette agli eredi solamente se tra il momento della lesione e quello della morte sia trascorso un arco temporale “apprezzabile”, in modo tale che possa effettivamente configurarsi un’effettiva compromissione dell’integrità psico-fisica del soggetto leso. Di contro, potrebbe non essere configurabile un danno biologico risarcibile nel caso in cui la morte sia sopravvenuta in modo immediato o a breve distanza dall’evento lesivo, considerato che la questa non sarà costitutiva della massima lesione del diritto alla salute, bensì del bene della vita. Non mancano, comunque, delle posizioni diverse anche all’interno della stessa storia recente in Cassazione.
Ad ogni modo, il risarcimento di tale danno “da morte” ha una funzione compensativa, e si trasmette agli eredi seguendo una valutazione equitativa del giudice in sede di liquidazione, tenendo anche conto della mancata utilizzabilità delle tabelle milanesi. Il giudice avrà pertanto una piena discrezionalità nella propria valutazione, mediante criteri che possano pervenire a un ristoro equo, sulla base – ad esempio – dell’età, delle condizioni di salute, delle speranze di vita futura, dell’attività svolta, delle condizioni personali e di quelle familiari della vittima.
Danno da morte del congiunto
Ultima ipotesi contemplata in questo approfondimento sui danni patrimoniali e non patrimoniali è legata alla morte del congiunto.
Sintetizzando le posizioni prevalenti di legittimità, rammentiamo innanzitutto come sia risarcibile il danno biologico (inteso come danno alla salute) se vi è un apprezzabile lasso di tempo tra la lesione e la morte: come abbiamo già avuto modo di evidenziare nel capitolo dedicato al generico danno da morte, se non vi è un arco temporale apprezzabile (in termini di giorni) non vi è la formazione del danno risarcibile in capo al de cuius, ovviamente trasmesso agli eredi.
Ad essere risarcibile è il danno morale subito dal defunto, inteso come danno terminale che viene avvertito da colui o colei che, in condizioni di lucidità e consapevolezza mentale, sente venir meno la propria vita, con conseguente trasmissibilità agli eredi. Viene risarcito anche il danno morale subito dai congiunti, a patto che siano forniti elementi idonei per la prova, anche in via presuntiva.
Da giurisprudenza prevalente emerge anche che è risarcibile il danno biologico subito dai congiunti, a patto che il danno alla salute sia provato mediante il ricorso a una consulenza medico legale, così come è risarcibile il danno patrimoniale che prima abbiamo inquadrato nel lucro cessante, ovvero la mancata contribuzione del defunto alle necessità della famiglia.