DASPO e aggravamento della durata – guida rapida
- La misura accessoria al Daspo
- La decisione della Corte
- Il divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive
- Il Daspo amministrativo e il Daspo giudiziario per la Cassazione
La sentenza n. 39131/2023 è intervenuta sul tema delle misure volte a prevenire la violenza in occasione di manifestazioni sportive e, in particolar modo, sul divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono tali manifestazioni (il cd. DASPO) e sull’aggravamento della sua durata ex art. 6, comma 5, l. n. 401 del 1989.
Nel dettaglio, la Terza Sezione penale ha affermato che, ai fini dell’aggravamento del divieto di accedere ai luoghi in cui si svolgono tali manifestazioni (DASPO) mediante aumento della sua durata, è necessario che sia stato in precedenza emesso, nei confronti del destinatario di tale provvedimento, un DASPO amministrativo di cui all’art. 6, comma 2, legge 13 dicembre 1989, n. 401.
Non è dunque sufficiente che, a carico del predetto destinatario del provvedimento, sia stata precedentemente inflitta – in occasione di una sua condanna – la pena accessoria atipica del DASPO giudiziario.
La misura accessoria al Daspo
Con ordinanza del 16 gennaio 2023 il Gip del Tribunale di Arezzo convalida l’obbligo di presentazione alla Polizia in occasione delle partite disputate dalla squadra di calcio della Roma, per la durata di 10 anni, a un uomo quale misura accessoria al Daspo emesso dalla Questura.
Contro tale ordinanza l’uomo propone ricorso per Cassazione, formulando come unico elemento di doglianza l’erronea applicazione dell’art. 6 co. 5 l. 401/1989.
In particolare, nella fattispecie in esame l’applicazione di tale disposizione (che impone una durata del Daspo e delle prescrizioni accessorie non inferiore a 5 anni e non superiore a 10 anni) sarebbe stata motivata da Questura e Gip richiamando la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, emessa dal Tribunale di Roma nel 2008 a carico dell’uomo, con cui era stata irrogata la pena principale di 6 mesi di reclusione e quella accessoria del divieto di accedere ai luoghi ove si svolgono competizioni agonistiche per 2 anni (il c.d. Daspo giudiziario).
Tutto ciò premesso, per il ricorrente sarebbe errata l’affermazione del giudice della convalida per cui la disposizione in parola sarebbe applicabile con la sola condizione che il pervenuto sia già stato destinatario di Daspo, a prescindere dal fatto che questo sia stato emesso in via giudiziaria o amministrativa.
Il Daspo amministrativo e il Daspo giudiziario
In senso opposto deporrebbe invece la diversità di natura e presupposti da un lato del c.d. Daspo amministrativo ex co. 1 art. 6 l. 401/1989, dall’altro del c.d. Daspo giudiziario ex co. 7 della stessa disposizione, da ritenersi come pena accessoria.
Considerato l’ordinamento giurisprudenziale di legittimità che esclude la natura di pena accessoria della misura di cui al co. 7, il ricorrente ha ritenuto che da esso dovrebbe dissentirsi, in relazione alle argomentazioni sviluppate dalla giurisprudenza di legittimità, che ha qualificato il Daspo amministrativo come misura di prevenzione atipica, affermando così implicitamente la diversa natura del Daspo giudiziario, attesa la diversità dei presupposti applicativi, dei soggetti legittimati all’applicazione, del procedimento applicativo e della durata della misura.
Infine, si prosegue nel ricorso, la configurazione di una sorta di recidiva amministrativa da Daspo giudiziario, derivate dalla lettura estensiva dei presupposti di applicazione ex art. 6, co. 5, l. 401/1989, anche tenuto conto dell’afflittività della disposizione, si porrebbe in contrasto con il principio della tassatività che informa il sistema sanzionatorio penale, entro cui si inscrive la misura dell’obbligo di presentazione alla Polizia di cui alla normativa in esame.
La decisione della Corte
Per la Corte il ricorso è fondato e, dunque, il provvedimento impugnato deve essere annullato limitatamente alla durata dell’obbligo del ricorrente di presentazione dinanzi agli organi di Polizia. Ma per quale motivo?
In primo luogo, i giudici rammentano che il Questore aveva disposto a carico dell’uomo (un soggetto che si era reso protagonista di disordini fra i sostenitori delle squadre avverse) il divieto di accedere ai luoghi in cui si svolgono le manifestazioni sportive che avessero ad oggetto incontri di calcio, professionistici o dilettantistici, all’interno del territorio nazionale e UE per 10 anni.
Il divieto era altresì corredato dalla prescrizione a carico dell’uomo dell’obbligo di presentarsi per lo stesso periodo di tempo presso gli uffici del Commissariato della Questura, in occasione degli incontri di calcio che saranno disputati dalla squadra della Roma, nonché della compagine rappresentativa della Nazionale Italiana.
Il provvedimento è convalidato da parte del Tribunale in data 16 gennaio 2023. Il giudice, in relazione alla durata della prescrizione, ha rilevato la congruità della stessa, superiore all’ordinario limite massimo fissato dall’art. 6, legata alla circostanza che l’uomo già era stato oggetto di analoga misura disposta in sede giudiziaria con sentenza emessa dal Tribunale il precedente 10 giugno 2008, con cui il ricorrente era stato ritenuto responsabile dei delitti di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni personali commessi in occasioni di manifestazioni sportive.
Dunque, nel determinare la durata della prescrizione, il Questore prima ed il Tribunale poi avevano rilevato che la maggior durata dell’obbligo di presentazione opera “all’unica condizione che la persona sia già stata destinataria di Daspo, a prescindere dal fatto che lo stesso sia stato emesso in via giudiziaria o amministrativa, come si ricava pacificamente dall’interpretazione coordinata della normativa“.
Il divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive
Tuttavia, la Cassazione ritiene che una simile ricostruzione sia erronea e che il provvedimento che di essa ha fatto applicazione debba essere annullato.
Per motivare tale decisione i giudici prendono le mosse dal dato normativo, che ai sensi dell’art. 6, co. 2, della l. n. 401 del 1989, afferma che il divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive che può essere disposto dal Questore nei confronti dei soggetti che abbiano tenuto le condotte di cui alle lettere a), b) , c) e d) del comma 1 dell’art. 6 della citata legge n. 401 del 1989, può essere ulteriormente presidiato dalla prescrizione, disposta anche in questo caso dal Questore, della obbligatoria comparizione personale dell’interessato, secondo modalità indicate nel provvedimento stesso, in occasione degli eventi in relazione ai quali opera il divieto di cui sopra, presso gli uffici di polizia competenti in funzione del luogo di residenza del soggetto destinatario del divieto.
Ancora, sulla base di quanto previsto dal successivo co. 5, la durata del divieto e della correlata prescrizione, non può di regola essere inferiore ad 1 anno e non superiore a 5 anni. La previsione è però oggetto di deroga nella ipotesi in cui le azioni che hanno determinato l’adozione del provvedimento siano frutto di condotte di gruppo (nel qual caso la durata di divieto e prescrizioni non può essere inferiore, nei confronti di coloro che abbiano assunto la direzione del gruppo, a 3 anni).
Il provvedimento questorile
Soprattutto, la deroga opera nel caso in cui la persona attinta dagli effetti del provvedimento questorile sia stata in passato “già destinataria del divieto di cui al primo periodo”. In questo caso è sempre disposta la prescrizione di cui al comma 2 e la durata del nuovo divieto e della prescrizione non può essere inferiore a 5 anni e superiore a 10 anni.
Il punto centrale interpretativo è dunque se questa deroga possa operare non solamente nel caso in cui sia stato in precedenza disposto a carico dell’interessato il Daspo amministrativo, ma anche nel caso in cui sia stata applicata la analoga misura del Daspo giudiziario, ovvero una condanna per i reati di cui al comma 6 della legge n. 401 del 1989 o “per quelli commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive o durante i trasferimenti da o verso i luoghi in cui si svolgono dette manifestazioni”.
In tali ipotesi, infatti, è previsto che il giudice possa disporre il divieto di accesso nei luoghi di cui al comma 1 del più volte ricordato art. 6 della legge n. 401 del 1989 nonché l’obbligo di presentazione in un ufficio di polizia di cui si è già parlato.
In questa ipotesi di Daspo giudiziario, il divieto e la prescrizione avranno una durata compresa fra un minimo di 2 anni ed un massimo di 10 anni e potranno essere accompagnati dalla irrogazione della pena accessoria dell’obbligo di prestare un’attività non retribuita a favore della collettività per finalità sociali o di pubblica utilità.
Il Daspo amministrativo e il Daspo giudiziario per la Cassazione
Tutto ciò rammentato, la Cassazione ritiene che la tesi fatta propria dal Tribunale, secondo cui la maggiore durata per l’obbligo di presentazione è legittimata anche sulla base della sola condizione che la stessa riferisca a “persona già destinataria di Daspo, a prescindere dal fatto che lo stesso sia emesso in via giudiziaria o amministrativo”, sia errata, trattandosi di provvedimenti (il Daspo amministrativo e il Daspo giudiziario), fra loro strutturalmente diversi e indipendenti.
A sostegno di tale approccio, i giudici di Cassazione richiamano diversi argomenti.
Un argomento di carattere testuale è ad esempio l’espresso richiamo di cui al co. 5, secondo periodo, dell’art. 6 l. 401/1989, al divieto di cui al primo periodo dello stesso comma, e cioè – testualmente – al divieto di cui al comma 1, id est quello disposto dal Questore.
Trattandosi di disposizione incidente in senso limitativo su libertà tutelate a livello costituzionale, la sua interpretazione di carattere analogico non è ammissibile.
Tra gli altri elementi di supporto a tale approccio ve ne sono anche alcuni di carattere sistematico, che escludono la correttezza dell’interpretazione normativa omologatrice fatta dal Tribunale.
Due tipi di Daspo non coincidenti
I presupposti anche naturalistici che giustificano l’adozione dei due tipi di Daspo non sono infatti coincidenti e anche a voler trascurare la diversa fonte di produzione dei due provvedimenti e la diversa collocazione tassonomica delle due tipologie provvedimentali, si osserva che mentre il Daspo amministrativo è connesso a condotte caratterizzate dalla violenza o dalla messa in pericolo dell’ordine pubblico, il Daspo giudiziario può essere disposto – oltre che nel caso di violazione dei divieti e delle prescrizioni connesse al Daspo amministrativo – anche laddove sia commesso un reato di qualsiasi specie (anche non espressivo di un atteggiamento violento o atto a turbare l’ordine pubblico) in occasione o a causa di manifestazioni sportive o durante i trasferimenti da o verso i luoghi in cui si svolgono dette manifestazioni.
Si pensi, per esempio, alla diversa portata della previsione normativa nel caso di un soggetto che – approfittando della calca formatasi in queste occasioni – sia adoperi per borseggiare le persone a lui prossime.
Un altro argomento di tipo sistematico è poi legato all’art. 6. co. 8-bis l. 401/1989, dove si precisa come a determinate condizioni sia consentito chiedere al Questore, una volta decorsi tre anni dalla cessazione del divieto di cui al comma 1, che questi dichiari la cessazione degli ulteriori effetti pregiudizievoli che derivano dall’applicazione dello stesso divieto.
La deroga ai limiti temporali
Considerato che secondo la tesi fatta propria dal tribunale di prime cure fra tali effetti dovrebbe rientrare anche la possibilità di derogare ai limiti temporali massimi di durata del Daspo anche in caso di preesistente Daspo giudiziario, ci si troverebbe pertanto di fronte a una ipotesi piuttosto singolare, in cui gli effetti di una pronuncia giudiziaria connessa a una progressiva condanna potrebbero essere posti nel nulla ad opera di un provvedimento non dell’autorità giudiziaria ma di quella amministrativa, con conseguente stravolgimento delle ordinarie regole in materia di riparto delle competenze fra i poteri dello Stato.
Proprio per questo motivo, i giudici della Corte ritengono che l’ordinanza con cui è convalidato dal Tribunale il Daspo emesso in danno all’imputato, in rapporto all’obbligo di prestazione dello stesso dinanzi agli organi di Polizia, secondo le modalità che sono state indicate nello stesso provvedimento, sia illegittima, essendo fatto in essa cattivo governo della normativa rilevante, essendo data rilevanza – ai fini della deroga ai limiti massimi di durata delle prescrizioni – ad un provvedimento che tale conseguenza non avrebbe consentito.
Dunque, l’ordinanza di convalida in questo modo emessa deve pertanto essere annullata sul punto, con conseguente rinvio al medesimo Tribunale, in maniera tale che – in differente composizione personale ed in applicazione dei principi illustrati nella presente sentenza – provveda a rimodulare, sotto il profilo della sua durata, la prescrizione afferente all’obbligo di presentazione del ricorrente dinanzi agli uffici del Commissariato della Questura.
E’ dunque annullata l’ordinanza impugnata limitatamente alla durata dell’obbligo di prestazione alla Pg ed è rinviata per nuovo esame sul punto al Tribunale.