La diffamazione online – indice:
Costituisce reato di diffamazione la condotta di colui che pubblica sui social network delle frasi offensive nei confronti della ex compagna, nonché madre di sua figlia. Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, quinta sezione penale, con la sentenza n. 40083/2018, respingendo il ricorso di un uomo che il Tribunale aveva già ritenuto colpevole di diffamazione tramite Facebook, nella valutazione che tale strumento fosse idoneo a veicolare il messaggio diffamatorio a più persone, con una condotta che i giudici rammentano essere inserita in un contesto più ampio e complesso di atti di minaccia, di molestie e di maltrattamenti nei confronti della persona offesa.
Diffamazione tramite Facebook
Dopo un’ampia introduzione, gli Ermellini ricordano come l’imputazione si riferisca ad una comunicazione di contenuti diffamatori con più persone su Facebook, uno strumento che “non esclude affatto l’utilizzo di una bacheca per tale diffusione” e anzi, nella indicazione lessicale utilizzata dalla contestazione, la pubblicazione di contenuti su Facebook costituisce una forma di comunicazione con più persone utilizzando tale social network, integrando proprio la condotta di cui sopra.
Il fatto contestato, e cioè che non si sia indicato nel capo di imputazione il nome della bacheca su cui sono state pubblicate le frasi diffamatorie, diventa irrilevante e non determinante. Ciò perché tali dettagli sono comunque emersi nel corso dell’istruttoria dibattimentale. Erano pertanto erano ben noti all’imputato che in relazione ad essi ha esercitato i propri diritti difensivi.
In tal proposito, gli Ermellini sottolineano come sia stato condivisibile affermare il principio secondo cui ai fini della valutazione di corrispondenza tra pronuncia e contestazione ex art. 521 cod. proc. pen., deve tenersi conto non solamente del fatto che è descritto in imputazione. Bisogna infatti valutare anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie che siano portate a conoscenza dell’imputato, e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, sicché questi abbia avuto modo di esercitare le sue difese sul materiale probatorio che è stato posto a fondamento della decisione.
La diffamazione aggravata online
Sancito quanto sopra, i giudici si soffermano nel rammentare come la costante giurisprudenza di legittimità abbia affermato senza alcun dubbio, proprio con riferimento ai messaggi e ai contenuti diffusi tramite Facebook, che la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca sul social netowrk integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595 comma terzo, cod. pen., poiché si tratta di una condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone, né l’eventualità che fra i fruitori del messaggio vi sia anche la persona a cui si rivolgono le espressioni offensive, consente di mutare il titolo del reato nella diversa ipotesi di ingiuria.
Il reato di diffamazione con mezzo di pubblicità
Evidenziamo in tale occasione di sintesi che l’art. 595 cod. pen., rubricato “Diffamazione”, prevede che
Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a milletrentadue euro.
Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a duemilasessantacinque euro.
Laddove l’offesa sia recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecentosedici euro.
Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate.
In maniera ancora più generale, proseguono gli Ermellini, si è poi affermato che deve presumersi la sussistenza del requisito della comunicazione con più persone qualora l’espressione offensiva sia inserita in un supporto (come un registro) per sua natura destinato ad essere normalmente visionato da più persone.
In questo contesto, non vi sarebbe alcun dubbio che la funzione principale della pubblicazione di un messaggio in una bacheca o in un profilo Facebook sia proprio la condivisione di esso con gruppi più o meno ampi di persone, le quali hanno accesso a tale profilo, che altrimenti non avrebbe alcuna ragione di definirsi social.
Non ci sono pertanto incertezze sul fatto che Facebook sia uno strumento idoneo per la diffusione delle frasi diffamatorie, poiché in grado di veicolare le stesse nei riguardi di più persone.
Avv. Bellato – diritto dell’informatica, internet e social network