Il reato di minaccia: lo è dire “te la farò pagare” – indice:
Nei momenti di rabbia, dire “te la farò pagare” o “ti sistemo io”, potrebbe costarvi molto caro. Ad affermarlo è la recentissima sentenza della Corte di Cassazione, n. 1690/2017, secondo cui le affermazioni di cui sopra sarebbero in grado di configurare un reato: i giudici della Suprema Corte hanno pertanto confermato la condanna a carico di un uomo che si è lasciato andare ad uno sfogo verbale in strada evidentemente troppo impetuoso, rivolgendosi a un altro soggetto, in compagnia del proprio figlio, con le parole “vi sistemo io, ve la farò pagare”.
Una “promessa” che è una minaccia
Per gli ermellini, un comportamento quale quello di cui sopra sarebbe in grado di configurare il reato di cui all’art. 612 del Codice Penale, rubricato “Minaccia”, secondo cui “chiunque minaccia ad altri un ingiusto danno è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a euro 1.032”. Al secondo comma lo stesso articolo aggiunge poi che “se la minaccia è grave, o è fatta in uno dei modi indicati nell’articolo 339, la pena è della reclusione fino a un anno e si procede d’ufficio”.
Per quanto concerne i modi indicati nell’art. 339, rubricato “Circostanze aggravanti”, si riepilogano come tali le ipotesi in cui la violenza o la minaccia sia commessa con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite, o con scritto anonimo, o in modo simbolico, o valendosi della forza intimidatrice derivante da segrete associazioni, esistenti o supposte.
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La decisione della Corte in ordine al reato di minaccia
Ricostruiamo ora, attraverso le principali affermazioni contenute in sentenza, quel che è accaduto. La Cassazione si è infatti espressa sul ricorso proposto dal reo contro la sentenza del giudice di pace, che lo aveva condannato alla pena di 200 euro di multa per il reato di minaccia. Il ricorrente denunciava il travisamento della prova e vizi motivazionali in ordine alla ritenuta sussistenza del reato di minaccia, sostenendo in particolar modo che le frasi da lui pronunciate (“Vi sistemo io a tutti e due, ve la farò pagare”) costituirebbero “una legittima reazione ad una condotta di violenza privata posta in essere dalla persona offesa”.
Esaminato il caso, la Cassazione annulla la sentenza solo limitatamente al trattamento sanzionatorio, confermando invece le altre deduzioni, e precisando che i motivi dedotti dal ricorrente sono infondati. “Invero, il giudice di pace ha correttamente ritenuto sussistenti gli elementi costitutivi del reato di minaccia. Dalla ricostruzione dei fatti, desumibile nella sentenza impugnata, emerge che l’imputato ha pronunziato la frase indicata nel capo di imputazione dopo aver discusso con O. V. e il figlio minorenne di costui; il motivo del litigio era il risentimento nutrito dal L. nei confronti del minore, avendo costui riferito alla polizia di aver acquistato droga da lui. E’ allora evidente la portata minacciosa, sebbene espressa in termini generici, della frase “vi sistemo io…., ve la farò pagare””.
Il bene giuridico tutelato nel reato di minaccia
In tal proposito, i giudici ribadiscono come nel reato di minaccia costituisca elemento essenziale la limitazione della libertà psichica mediante la prospettazione del pericolo che un male ingiusto possa essere cagionato dall’autore alla vittima, senza che sia necessario che uno stato di intimidazione si verifichi concretamente in quest’ultima, essendo sufficiente la sola attitudine della condotta ad intimorire e irrilevante l’indeterminatezza del male minacciato purché questo sia ingiusto e possa essere dedotto dalla situazione contingente.
Anche ai fini della configurabilità del reato di minaccia grave di cui al già ricordato art. 612 c.p., rileverebbe l’entità del turbamento psichico che l’atto intimidatorio è in grado di determinare sul soggetto passivo, “mentre che sia necessario che la minaccia sia circostanziata, potendo benissimo, ancorché pronunciata in modo generico, produrre un grave turbamento psichico, avuto riguardo alle personalità dei soggetti (attivo e passivo) del reato”. Ancora, prosegue la Corte, “sotto altro profilo va anche ricordato che l’elemento soggettivo del reato di minaccia si caratterizza per il dolo generico consistente nella cosciente volontà di minacciare un male ingiusto, indipendentemente dal fine avuto di mira”.
Ulteriormente, la Suprema Corte rileva di ufficio l’illegalità della pena inflitta, poiché il fatto risulterebbe essere comunque commesso prima dell’entrata in vigore della legge 119/2013, che ha aumentato sino a Euro 1032 di multa il limite edittale della pena prevista dal primo comma dell’art. 612 cod. pen. “E’ evidente allora che il Giudice di pace sia incorso in una violazione di legge, alla quale si può porre rimedio in questa sede con l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla quantificazione della pena, con rideterminazione della stessa in Euro 50 di multa ovvero nel limite edittale massimo previsto dall’art. 612 primo comma cod. pen. all’epoca della commissione del fatto per cui si è proceduto”.