Il diritto di abitazione e uso del coniuge superstite – indice:
- L’articolo 540, II co, c.c.
- I presupposti del diritto
- L’attuale orientamento giurisprudenziale
- La sentenza 15000/2021
- I gradi di giudizio
- Il ricorso in cassazione
- Gli orientamenti precedenti
- Conclusioni
L’articolo 540 del codice civile recita:
“A favore del coniuge è riservata la metà del patrimonio dell’altro coniuge, salve le disposizioni dell’articolo 542 per il caso di concorso con i figli.
Al coniuge, anche quando concorra con altri chiamati, sono riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni.
Tali diritti gravano sulla porzione disponibile e, qualora questa non sia sufficiente, per il rimanente sulla quota di riserva del coniuge ed eventualmente sulla quota riservata ai figli”.
Il diritto di abitazione e uso del coniuge superstite ex articolo 540, secondo comma, del codice civile
La legge, ed in particolare il codice civile, stabilisce che il coniuge è un legittimario. I legittimari sono quei soggetti ai quali la legge, in sede di successione, riserva una quota del patrimonio del defunto.
In particolare l’articolo 540 del codice civile attribuisce al coniuge una serie diritti in sede di successione ovvero:
- il diritto alla metà del patrimonio dell’altro coniuge;
- quello di abitazione sulla residenza familiare;
- il diritto di uso dei mobili che corredano la residenza familiare.
I diritti citati negli ultimi due punti sono riconosciuti a condizione che l’immobile sia di proprietà del de cuius o in comunione tra i coniugi.
I presupposti per la nascita del diritto di abitazione e uso del coniuge superstite
I diritti di abitazione e uso del coniuge superstite sono previsti dal secondo comma dell’articolo 540 del codice civile. Sono diritti ulteriori rispetto al diritto alla metà del patrimonio del coniuge defunto. La dottrina ha definito tali ulteriori diritti come un legato ex lege. Tali diritti, proprio perché ulteriori rispetto al diritto alla metà del patrimonio del coniuge defunto, gravano sulla quota disponibile se capiente. Gravano altrimenti sulla quota di riserva del coniuge o dei figli. La quota di riserva infatti è costituita dal diritto alla metà del patrimonio di cui al primo comma dell’articolo 540 del codice civile.
Il diritto di abitazione nell’immobile adibito a residenza familiare e di uso dei mobili che lo corredano del coniuge superstite sorge a condizione che:
- l’immobile sia di proprietà del de cuius oppure
- sia in comunione dei beni tra i coniugi.
L’orientamento giurisprudenziale attuale sul diritto di abitazione e uso del coniuge superstite
Citati i presupposti della nascita del diritto, attualmente l’orientamento prevalente, confermato di recente dalla sentenza che verrà esaminata nelle prossime righe, ritiene che il diritto non è configurabile se l’immobile adibito a residenza familiare è in comunione tra il defunto e un terzo.
Anticipando un estratto del contenuto della sentenza 15000/2021 si riporta la parte della motivazione in cui viene affermato che “il presupposto perché sorgano a favore del coniuge superstite i diritti di abitazione della casa adibita a residenza familiare e di uso dei mobili che la arredano è che la suddetta casa e il relativo arredamento siano di proprietà del “de cuius” o in comunione tra lui e il coniuge, con la conseguenza che deve negarsi la configurabilità dei suddetti diritti nell’ipotesi in cui la casa familiare sia in comunione tra il coniuge defunto ed un terzo“.
La sentenza n. 15000 del 2021: il primo grado di giudizio
Tizia, prima moglie del defunto Caio, e i due figli, chiamano in giudizio, a seguito della successione ab intestato (senza testamento) di Caio, la attuale moglie di quest’ultimo per i seguenti motivi:
- chiedere la divisione degli immobili in comunione ed in particolare dell’immobile adibito a residenza familiare occupato dalla seconda moglie di Caio;
- ottenere la condanna della di lui seconda moglie al pagamento di un’indennità di occupazione;
- chiedere la restituzione di beni mobili e gioielli presenti nella casa coniugale.
La convenuta si costituiva in giudizio e aderiva alla domanda di divisione dell’immobile. In via riconvenzionale tuttavia chiedeva di vedersi riconosciuti il proprio diritto di abitazione e uso ex articolo 540, secondo comma, del codice civile. In via subordinata invece chiedeva la dilazione della divisione dell’immobile ex articolo 1111 del codice civile.
Il tribunale adito dichiarava aperta la successione, individuando la massa ereditaria, e rigettava la domanda sulle restituzione della prima moglie di Caio e anche la domanda di riconoscimento del diritto di abitazione della seconda moglie. Provvedeva inoltre con successiva sentenza alla divisione.
Le parti in giudizio proponevano pertanto appello contro la suddetta sentenza, in via principale la seconda moglie, ed in via incidentale la prima moglie e i figli.
Il secondo e il terzo grado di giudizio
La corte di appello adita rigettava l’appello principale condividendo le motivazioni che hanno portato il giudice di primo grado a rigettare la domanda riconvenzionale della convenuta. Riteneva, anche sulla base dell’orientamento giurisprudenziale prevalente, non acquisito, da parte della seconda moglie, il diritto di abitazione e uso ex articolo 540 del codice civile per il fatto che l’immobile da lei occupato era in comunione tra il de cuius e terzi (la prima moglie).
La medesima corte non accoglieva neppure l’appello incidentale ritenendolo inammissibile per tardiva presentazione.
L’attuale moglie del defunto impugnava la sentenza della corte d’appello motivandolo con tre motivi e giungendo così fino al terzo grado di giudizio. In tale sede la Corte rileva la necessità di risolvere il contrasto giurisprudenziale interno alla corte circa l’acquisizione da parte del coniuge superstite del diritto di abitazione ed uso nel caso in cui l’immobile adibito a residenza familiare sia in comunione tra il defunto e terzi. La questione viene trattata in pubblica udienza a seguito di ordinanza della sezione sesta della corte di cassazione. La Corte in ogni caso respinge il ricorso della donna in ogni caso in quanto, come si vedrà in seguito, ritiene infondati i motivi in esso dedotti.
I motivi del ricorso in Cassazione
In primo luogo la ricorrente lamenta come la corte d’appello abbia mancato di comprendere che la sua domanda in giudizio era rivolta non tanto al riconoscimento del diritto di abitazione ed uso quanto alla sua mancata valorizzazione in controvalore pecuniario.
Il giudice di terzo grado tuttavia stabilisce che “Non sussiste, infatti, alcuna possibilità di autonoma “valorizzazione pecuniaria” se non viene riconosciuto (come in ipotesi) il diritto all’abitazione ed uso, che della invocata valorizzazione è elemento prodromico necessario”. E richiama alcuni orientamenti giurisprudenziali precedenti che condivide. La Corte pertanto respinge il primo motivo di ricorso.
In secondo luogo la ricorrente denuncia la mancata pronuncia da parte della corte d’appello sul riconoscimento dell’estensione del diritto di uso anche ai beni mobili siti nella casa coniugale. La Corte di Cassazione rileva un vizio normativo-processuale del motivo addotto e perciò lo ritiene infondato. L’infondatezza dipendeva anche dal fatto che – afferma la Corte – vi è stato rigetto, anche se implicito, della domanda di uso su immobili.
Con il terzo motivo la ricorrente denunciava la violazione e falsa applicazione di una serie di norme di legge ai sensi dell’articolo 360, terzo comma, del codice di procedura civile. In particolare contesta violazione di legge in relazione alla sussistenza e alla decorrenza dell’indennità di occupazione. La Corte d’appello aveva ritenuto conforme alle disposizioni di legge la domanda di indennità sia con riguardo ai termini di presentazione sia ai requisiti formali ex articolo 183 del codice di procedura civile. La corte pertanto ritiene il motivo infondato e lo respinge.
Gli orientamenti precedenti
Come sopra accennato la Corte, per motivare la sentenza, richiama alcuni orientamenti giurisprudenziali precedenti e attualmente condivisi.
In ordine cronologico si riportano gli estratti delle pronunce precedenti della Corte di Cassazione.
L’orientamento più antico della sentenza n. 2474 del 1987
La Corte di Cassazione riporta la prima isolata pronuncia ancorata alla disciplina del legato. Il diritto di abitazione e uso infatti è oggetto di un legato, sebbene trattasi di legato ex lege. Con tale pronuncia tuttavia si è affermato in passato ciò che ora non è più condiviso.
In quegli anni la Corte aveva sostenuto che “la titolarità del diritto di abitazione riconosciuto dall’art. 540, capov., cod. civ. al coniuge superstite sulla casa adibita a residenza familiare, che, costituendo “ex lege” oggetto di un legato, viene acquisita immediatamente da detto coniuge, secondo la regola dei legati di specie (art. 649, secondo comma, cod. civ.), al momento dell’apertura della successione, ha necessario riferimento al diritto dominicale spettante sull’abitazione al de cuius”.
Se la titolarità del diritto di abitazione ex articolo 540, secondo comma, del codice civile, attiene al diritto dominicale del de cuius sull’immobile “nel caso in cui la residenza familiare del de cuius sia sita in un immobile in comproprietà, – afferma la corte – il diritto di abitazione del coniuge superstite trova limite ed attuazione in ragione della quota di proprietà del coniuge defunto, con la conseguenza che ove per l’indivisibilità dell’immobile non possa attuarsi il materiale distacco della porzione dell’immobile spettante e l’immobile stesso venga assegnato per intero ad altro condividente, deve farsi luogo all’attribuzione dell’equivalente monetario di quel diritto senza che – non ricorrendo l’ipotesi di legato di prestazione obbligatoria – possa verificarsi l’effetto estintivo per impossibilità della prestazione, previsto dal secondo comma dell’art. 673 cod. civ.”
Tale orientamento tuttavia, afferma la corte, è stato superato ormai superato da quelli successivi.
La sentenza n. 8171/1991
In tale sentenza si ebbe ad affermare che “i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la arredano, previsti in favore del coniuge superstite, presuppongono per la loro concreta realizzazione l’appartenenza della casa e del relativo arredamento al “de cuius” o in comunione a costui e all’altro coniuge, non potendo estendersi a carico di quote di soggetti estranei all’eredità nel caso di comunione degli stessi beni tra il coniuge defunto e tali altri soggetti”.
N. 6691/2000
La pronuncia n. 6691 del 2000 costituisce l’orientamento predominante che la Corte giudicante adotta nell’odierna sentenza trattata. La Corte ha affermato in tale pronuncia il principio, ad oggi condiviso, secondo cui “a norma dell’art. 540 cod. civ., il presupposto perché sorgano a favore del coniuge superstite i diritti di abitazione della casa adibita a residenza familiare e di uso dei mobili che la arredano è che la suddetta casa e il relativo arredamento siano di proprietà del “de cuius” o in comunione tra lui e il coniuge, con la conseguenza che deve negarsi la configurabilità dei suddetti diritti nell’ipotesi in cui la casa familiare sia in comunione tra il coniuge defunto ed un terzo”.
La pronuncia n. 15594/2004
La Corte di Cassazione in tale pronuncia aderiva all’orientamento della pronuncia del 2000 affermando che “il principio della conversione del diritto di abitazione spettante al coniuge superstite nel suo equivalente monetario nell’ipotesi in cui la residenza familiare del “de cuius” sia ubicata in un immobile in comproprietà, – e, per la l’indivisibilità dell’immobile, non possa attuarsi il materiale distacco della porzione spettante al coniuge qualora l’immobile stesso venga assegnato per intero ad altro condividente – è applicabile anche all’ipotesi (quale quella di specie) in cui, a seguito della vendita all’incanto dell’immobile ritenuto indivisibile, si verrebbe inevitabilmente a creare la convergenza sullo stesso bene del diritto di proprietà acquisito dal terzo aggiudicatario e del diritto di abitazione spettante al coniuge superstite (risultando concretamente impossibile la separazione della porzione dell’immobile spettante a quest’ultimo)”.
Conclusioni sul diritto di abitazione e uso del coniuge superstite
Rigettando il ricorso e arrivando ad una conclusione sulla base della sintesi degli orientamenti giurisprudenziali precedenti, la Corte di Cassazione stabilisce l’impossibilità di configurare l’acquisizione del diritto di abitazione e uso del coniuge superstite sulla casa coniugale in presenza di una comproprietà dell’immobile con l’ex coniuge, parte terza rispetto al rapporto di coniugio attuale.
In conclusione della sentenza si legge infatti che: “Il criterio interpretativo di cui alle anzidette e maggioritarie pronunce ed, in ispecie a Cass. n. 6691/2000, oltre che condivisibile è pienamente fondato sul presupposto che la figura dell’ex coniuge comproprietaria di immobile con il de cuius non può che configurare, nella specifica fattispecie, un motivo ostativo all’applicabilità a favore del coniuge superstite dei diritti di abitazione della casa adibita ad abitazione familiare“.
La domanda di valorizzazione monetaria del diritto non riconosciuto pertanto non è accoglibile non essendoci il presupposto principale per l’accoglimento e cioè il diritto riconosciuto.
“L’impossibilità di configurare, nella fattispecie quel diritto di abitazione e d’uso in favore del coniuge superstite, implica conseguentemente l’impossibilità di conseguire (come ipotizzato sotto altro profilo di censura del motivo in esame) la richiesta valorizzazione monetaria”.
Non si applica pertanto l’articolo 540, secondo comma, del codice civile nel caso di successione in cui l’immobile adibito a residenza familiare sia in comproprietà tra il de cuius e un terzo.