Doppia conformità e reati edilizi – guida rapida
La Terza sezione della Corte di Cassazione, in tema di reati edilizi, ha disposto che il rispetto del requisito della conformità delle opere sia alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della realizzazione, che a quella vigente al momento della presentazione della domanda di regolarizzazione (la c.d. doppia conformità) richiesto quale elemento utile per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria, è da ritenersi escluso nelle ipotesi di edificazioni eseguite in assenza del preventivo ottenimento dell’autorizzazione sismica.
Cerchiamo allora di riepilogare quali sono state le considerazioni effettuate dalla Suprema Corte con la sentenza n. 2357 del 20 gennaio 2023.
I fatti
La vicenda trae origine da un sopralluogo effettuato dalla polizia municipale. In tale sede emergeva lo svolgimento di lavori di sopraelevazione di un piano realizzato sopra il lastrico solare su un immobile di proprietà della ricorrente.
Le attività venivano eseguite in difetto di ogni permesso di costruire o del rispetto della normativa sismica. L’immobile veniva così sottoposto a sequestro preventivo. L’imputata presentava poi istanza finalizzata al rilascio del permesso di costruire in sanatoria per la sopraelevazione, ma l’amministrazione non lo concedeva perché – come emerso in sede di escussione del tecnico dell’ufficio comunale, il terreno interessato dalla domanda del titolo abilitativo non raggiungeva la cubatura necessaria per sviluppare la volumetria richiesta dalla sopraelevazione.
La ricorrente sceglieva così di donare metà della proprietà alla figlia. La figlia, dopo avervi asservito un ulteriore terreno per acquisire la cubatura necessaria per completare la sopraelevazione, ripresentava una nuova istanza di sanatoria in qualità di comproprietaria, accolta con l’adozione del permesso di costruire.
Il giudice di prime cure riteneva sussistente la responsabilità dell’imputata e la condannava. Il giudice territoriale rigettava poi l’impugnazione proposta dalla ricorrente confermando la precedente statuizione. Di qui, il ricorso in Cassazione. Proviamo a riepilogare sinteticamente per quali motivi.
La mancata assunzione di prova decisiva
Il primo motivo deduce la violazione di legge per la mancata assunzione di una prova decisiva, come la relazione tecnica di un architetto.
Per la Cassazione, tuttavia, quest’ultima non è un novum, ma è appartenente al contesto probatorio già oggetto di valutazione. La mancata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nel giudizio di appello può dunque costituire violazione ex art. 606 c.p.c. solo nel caso di prove sopravvenute o scoperte dopo la sentenza di primo grado.
I giudici sottolineano come la completezza e la piena affidabilità logica dei risultati del ragionamento probatorio seguito dalla Corte territoriale giustificano la decisione contraria alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale sul rilievo che in appello costituisce un istituto eccezionale fondato sulla presunzione che l’indagine istruttoria sia stata esauriente con le acquisizioni del dibattimento di primo grado. il potere del giudice di disporre la rinnovazione è dunque subordinato alla rigorosa condizione che egli ritenga, contro predetta presunzione, di non essere in grado di decidere allo stato degli atti.
La Corte di legittimità ha anche stabilito che il rigetto dell’istanza di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello si sottrae al sindacato di legittimità quando la struttura argomentativa della motivazione della decisione di secondo grado si fonda su elementi sufficienti, potendo pertanto il provvedimento di rigetto della richiesta di rinnovazione istruttoria in appello essere motivato anche implicitamente in presenza di un quadro probatorio definito, certo e non necessitante di approfondimenti indispensabili.
L’assenza dei presupposti
Con il secondo e il terzo motivo il ricorrente contesta l’assenza dei presupposti, affermata dai giudici di merito per il rilascio della sanatoria alla ricorrente e gli effetti della stessa.
Tuttavia, per la Corte di legittimità le questioni qui dedotte si sostanziano in censure generiche e manifestatamente infondate, smentite nelle valutazioni dei precedenti gradi di giudizio e già espresse nelle relative pronunce.
Pertanto, quanto argomentato dai giudici non è censurabile in sede di legittimità. Con l’occasione, i giudici di Cassazione rilevano anche come la ricorrente abbia basato la propria linea difensiva sulla relazione dell’architetto di cui si è accennato nel precedente paragrafo, mai acquisita, non facente parte del materiale probatorio e quindi non valutabile agli effetti del denunciato travisamento. Non sono infatti ricevibili dal giudice di legittimità i documenti nuovi, ovvero quelli non facenti parte del fascicolo, diversi da quelli che non esigono alcuna attività di apprezzamento sulla loro efficacia nel contesto delle prove che sono già state raccolte, come accade in via esemplificativa per i certificati di nascita o di morte, perché tale attività è estranea ai compiti istituzionali della stessa Corte di Cassazione.
Non vi è dunque dubbio sulla natura impropria della sanatoria rilasciata, peraltro alla figlia della ricorrente quale esito di una nuova domanda.
Art. 36 del DPR 309/90
Si ricorda come l’art. 36 del DPR 309/90 al primo comma disponga che
in caso di interventi realizzati in assenza del permesso di costruire, o in difformità da esso, fino alla scadenza dei termini di cui all’art. 31, comma 3, art. 33, comma 1, art. 34, comma 1 e comunque fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative, il responsabile dell’abuso o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione della stessa sia al momento della presentazione della domanda.
La norma impone quindi la doppia conformità, cioè l’intervento realizzato deve risultare conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda di sanatoria e solo a tali casi è possibile ricondurre l’effetto estintivo di cui all’art. 45 del T.U. Edilizia.
La Corte di Cassazione afferma infatti il proprio orientamento consolidato, per cui in tema di reati urbanistici, la sanatoria degli abusi edilizi idonea a estinguere il reato di cui all’art. 44 DPR 6 giugno 2001, n. 380, a precludere l’irrogazione dell’ordine di demolizione dell’opera abusiva previsto dall’art. 31, comma 9, del medesimo DPR, e a determinare se eventualmente emanata successivamente al passaggio in giudicato della sentenza, la revoca di detto origine, può essere solo quella rispondente alle condizioni espressamente indicate dall’art. 36 del decreto stesso citato, che richiede la doppia conformità delle opere alla disciplina urbanistica vigente, sia al momento della realizzazione del manufatto, sia al momento della presentazione della domanda di permesso in sanatoria.
Si deve così escludere la possibilità che tali effetti possano essere attribuiti alla sanatoria giurisprudenziale o impropria, che consiste nel riconoscimento della legittimità di opere originariamente abusive che, solamente dopo la loro realizzazione, siano divenute conforme alle norme edilizie ovvero agli strumenti di pianificazione urbanistica.
Il difetto di doppia conformità
Per i giudici, il caso in esame difetta invece di tale doppia conformità. Dall’istruttoria emerge chiaramente come per sviluppare la volumetria richiesta dalla sopraelevazione il terreno non avesse la cubatura necessaria, dando atto di ciò nel documento rilasciato dal Comune, in cui si chiedeva l’allegazione di un ulteriore atto di asservimento per il rilascio della sanatoria.
Considerato che il ricorrente non adempieva, ne scaturiva il rigetto della domanda. Di qui, la donazione successiva della metà dell’immobile alla figlia, la quale presentava nuova istanza dopo avervi asservito un altro terreno di sua proprietà per raggiungere la cubatura necessaria.
La disciplina antisismica
In aggiunta a ciò, i giudici ricordano anche che il rispetto del requisito della doppia conformità è escluso anche dalla violazione della disciplina antisismica, per cui è intervenuta la condanna della ricorrente.
Per quanto riguarda infatti le zone soggette a normativa antisismica, si pone il problema di raccordare le disposizioni che regolano la sanatoria ex art. 36 del TU Edilizia con le disposizioni di cui agli artt. 83 e ss. dello stesso Testo Unico, e la conseguente possibilità di sanatoria degli abusi realizzati in zona sismica.
Considerate le finalità di tutela dell’incolumità pubblica che la disciplina persegue, e la diffusa sismicità del territorio nazionale, la questione è evidentemente piuttosto delicato. In sintesi, si tratta di comprendere
- se sia o meno possibile rilasciare un’autorizzazione postuma ai fini della disciplina antisismica
- quali siano i rapporti tra i titoli conseguiti in base alla disciplina antisismica e il permesso di costruire
- se possa rilasciarsi il permesso di costruire in sanatoria per interventi abusivi eseguiti in zona sismica.
Il controllo
Il controllo, proseguono i giudici, è esercitato dall’amministrazione competente per gli interventi in zona sismica, ed è di tipo preventivo. Il che significa, in altri termini, che la procedura deve essere completata prima dell’esecuzione dell’intervento, nel rispetto delle formalità richieste.
Diversamente da quanto è invece previsto per la costruzione di opere in assenza del permesso di costruire, la disciplina antisismica non prevede alcuna forma di sanatoria o di autorizzazione postuma per gli interventi eseguiti senza titolo, prevedendone invece la sola riconduzione a conformità.
Sulla base di ciò, concludono i giudici, deve rilevarsi che le disposizioni di legge in vigore non solo non prevedono effetti estintivi del reato conseguenti alla regolarizzazione postuma, ma neppure effetti sananti, fermo restando che la demolizione dell’intervento abusivo potrà essere evitata se tale regolarizzazione è possibile.
Manca dunque, nel quadro riassunto, una procedura che permetta all’interessato di richiedere un’autorizzazione postuma. Pertanto, l’unica possibilità offerta dalla normativa antisismica per il mantenimento in essere dell’intervento abusivo è la decisione del giudice di impartire le prescrizioni per rendere le opere conformi in luogo dell’ordine di demolizione.
Questa decisione, oltre a prevedere la pronuncia di una sentenza o di un decreto di condanna, dovrà essere motivata.
Lo spazio interpretativo
Insomma, le particolari disposizioni in materia di costruzioni in zone sismiche lasciano uno spazio esiguo al mantenimento in essere degli interventi abusivi. Le sorti del manufatto che è stato illecitamente realizzato in zona sismica rimangono comunque segnate se deve essere demolito perché in contrasto con la disciplina urbanistica, dal momento che il legislatore regola l’autorizzazione per l’inizio dei lavori in zone sismiche fermo restando l’obbligo del titolo abilitativo all’intervento edilizio.
Quindi, considerando l’art. 36 del TU Edilizia, è evidente che la stretta connessione tra l’autorizzazione sismica e il permesso di costruire incide in modo significativo anche sulla procedura di sanatoria, venendosi così a porre, in primo luogo, la questione della totale assenza di norme specifiche che permettano il rilascio di un’autorizzazione sismica postuma.
L’evenienza è definita come determinante da parte dei giudici, considerato che è evidente che se la possibilità di ottenere un’autorizzazione sismica in sanatoria ad intervento eseguito non è prevista, viene a mancare un necessario presupposto per il rilascio del permesso di costruire ex art. 36 Testo Unico Edilizia.
I giudici della Suprema Corte ammettono che per il momento la questione non è stata esaminata dalla giurisprudenza di legittimità, la quale ha considerato però in maniera implicita l’avvenuto rilascio dell’autorizzazione postuma, trattando degli effetti estintivi limitati ai soli reati urbanistici, mentre i giudici amministrativi hanno assunto posizioni non concordi.
L’orientamento più permissivo
Secondo l’orientamento che emerge in modo più permissivo, comunque, sarebbe possibile il rilascio del permesso di costruire in sanatoria per le opere realizzate in zona sismica ponendo rimedio all’originaria mancanza del nulla osta sismico mediante una valutazione postuma della conformità dell’intervento eseguito alla specifica disciplina antisismica che era vigente al momento della sua realizzazione, e al momento in cui essa avviene.
Evidentemente, tale soluzione non è priva di aspetti critici che per brevità non esaminiamo. Limitandoci a sottolineare la criticità più rilevante, evidenziamo l’assenza di specifiche disposizioni che prevedono espressamente la possibilità di una valutazione postuma della compatibilità sismica. Per questo motivo la procedura regolata dalle disposizioni sopra richiamate è incompatibile con la sanatoria sismica di creazione giurisprudenziale.
La soluzione condivisa dalla Cassazione in questa sentenza è quella secondo cui il rispetto del requisito della doppia conformità è da ritenersi escluso in caso di violazione della disciplina antisismica, come avvenuto nel caso in esame.