Dove comunicare il licenziamento al lavoratore – guida rapida
- La comunicazione del licenziamento
- I motivi del ricorso
- L’invio dell’intimazione del licenziamento
- La presunzione di conoscenza
- L’onere della prova
Attraverso l’ordinanza n. 28171 del 31 ottobre 2024, la Corte di Cassazione ha affermato che la comunicazione scritta del licenziamento è valida se inviata all’ultimo indirizzo conosciuto dall’azienda, anche se nel frattempo il lavoratore si è trasferito senza avvertire il datore.
La comunicazione del licenziamento
Proviamo a riepilogare brevemente i fatti.
La Corte d’Appello di Napoli, riformando la pronuncia del giudice di primo grado, ha respinto l’impugnativa di licenziamento orale proposta da un dipendente nei confronti del proprio datore di lavoro.
La Corte territoriale ha preliminarmente ritenuto regolarmente intimato in forma scritta il licenziamento, sia in applicazione del principio di presunzione dettato dall’art. 1335 c.c. (avendo, il datore di lavoro, depositato la busta raccomandata contenente la lettera di licenziamento restituita al mittente su cui si legge la data di spedizione, nonché il timbro “non richiesto entro il termine“) sia in considerazione della tempestiva impugnazione stragiudiziale del licenziamento da parte del lavoratore (impugnazione nella quale si fa riferimento al licenziamento), circostanze sufficienti a dipanare l’incertezza derivante dall’ulteriore dicitura “sconosciuto” apposta sulla busta raccomandata.
La Corte ha poi ritenuto tempestiva l’impugnazione giudiziale del licenziamento da parte del lavoratore. Ha inoltre accertato la ragione di carattere oggettivo del licenziamento (cioè, riduzione delle commesse lavorative), risultando del tutto sfornito di prova il rilievo del lavoratore che ha ricondotto il licenziamento ad un infortunio sul lavoro.
Contro tale pronuncia il lavoratore ha proposto ricorso per Cassazione, con due motivi.
I motivi del ricorso
Con il primo motivo di ricorso il lavoratore denuncia ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., primo comma, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione dell’art. 1335 c.c. gli artt. 53 e ss., 2106 c.c. e 18, comma 4, della legge n. 300 del 1970. Per il ricorrente, infatti, la Corte di appello, avrebbe erroneamente ritenuta perfezionata la fattispecie di presunzione di conoscenza della lettera di licenziamento da parte del lavoratore anche a fronte di un elemento di prova contraria rappresentato, che era rappresentato dalla dicitura “sconosciuto” apposta sulla busta e della considerazione che l’impugnativa del licenziamento è stata effettuata sulla base di un modulo prestampato.
Attraverso il secondo motivo di ricorso, invece, viene denunciata, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 5, 7 della legge n. 604 del 1966 nonché l’omesso esame di un fatto decisivo. Per il ricorrente, infatti, la Corte di appello avrebbe trascurato che il lavoratore, nel ricorso introduttivo del giudizio, aveva dedotto di aver subito un grave infortunio sul lavoro (che lo aveva costretto ad assentarsi dall’agosto al dicembre 2003, con postumi invalidanti dell’8%) ed aveva prodotto copia della denuncia di infortunio inoltrata all’Inail di Caserta.
L’invio dell’intimazione del licenziamento
La Corte di Cassazione, dopo aver esaminato la documentazione agli atti, ritiene il primo motivo di ricorso non fondato.
La Corte ha già ritenuto con la sentenza n. 22295 del 2017 valida l’intimazione del licenziamento inviata all’indirizzo comunicato all’azienda al momento dell’assunzione, nonostante fosse stato cambiato senza informarne il datore di lavoro, argomentando che il lavoratore ha l’obbligo di comunicare per iscritto le eventuali successive variazioni di residenza o di domicilio.
Una condotta che risponde non solamente a una specifica obbligazione traente fonte dal CCNL, quanto anche a un principio di buona fede nel rapporto di lavoro, considerato che il licenziamento inviato all’indirizzo conosciuto è pienamente efficace, se effettuato entro i termini, operando la presunzione di conoscenza ex art.1335 c.c.
Lo stesso principio, prosegue la Suprema Corte, vale anche in relazione alla lettera di contestazione disciplinare, che si reputa conosciuta nel momento in cui perviene all’indirizzo originario del lavoratore, se quest’ultimo non abbia provveduto a comunicare il cambio di residenza.
Con altre pronunce si è poi affermato che tale presunzione non opera nell’ipotesi in cui il datore di lavoro sia a conoscenza dell’allontanamento del lavoratore dal domicilio e dunque dell’impedimento dello stesso a prendere conoscenza della contestazione inviata.
La presunzione di conoscenza
La presunzione di conoscenza del quale sia contestato il suo pervenimento a destinazione, non è integrata dalla sola prova della spedizione della raccomandata.
Per i giudici di legittimità, infatti, è necessaria attraverso l’avviso di ricevimento o l’attestazione di compiuta giacenza, la dimostrazione del perfezionamento del procedimento notificatorio.
La produzione in giudizio di un telegramma, o di una lettera raccomandata, anche in mancanza dell’avviso di ricevimento, costituisce dunque prova certa della spedizione, attestata dall’ufficio postale attraverso la relativa ricevuta, da cui consegue la presunzione dell’arrivo dell’atto al destinatario e della sua conoscenza ai sensi dell’art. 1335 c.c., fondata sulle univoche e concludenti circostanze della suddetta spedizione e sull’ordinaria regolarità del servizio postale e telegrafico.
Rammentano i giudici di legittimità come il giudice di merito, in caso di contestazioni, non possa ritenere dimostrata l’operatività della presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c. solo in virtù della prova dell’invio della raccomandata.
Invece, dovrà anche verificare l’esito dell’invio in primo luogo sulla base delle risultanze dell’avviso di ricevimento. Comunque, in ogni caso, dovrà valutare ogni altro mezzo di prova utile e la sua decisione non sarà sindacabile in sede di legittimità, trattandosi di un accertamento di fatto ad esso riservato.
In questa fattispecie, la Corte di appello, in conformità ai principi di diritto sopra esposti, ha proceduto alla verifica della regolarità dell’invio della raccomandata da parte della società come attestato dai timbri e dalle sottoscrizioni degli addetti postali.
Ha utilizzato inoltre a conferma anche altri indici probatori, come la lettera di impugnazione stragiudiziale del licenziamento, accertamento di fatto insindacabile in sede di legittimità.
L’onere della prova
Per i giudici di Cassazione il secondo motivo è inammissibile perché non individua un errore di diritto ma, piuttosto, riporta apprezzamenti di merito in ordine alla sussistenza del danno nella fattispecie concreta, che sono valutazioni sottratti al sindacato della Corte di legittimità.
I giudici di Cassazione si limitano a rammentare come la Corte territoriale, in ossequio al criterio di distribuzione dell’onere della prova dettato dall’art. 5 della legge n. 604 del 1966, abbia accertato la concreta sussistenza della ragione posta a base del licenziamento (calo di commesse), ritenendo assolto di conseguenza il peso probatorio incombente sul datore di lavoro e legittimo il licenziamento, escludendo ogni profilo di ritorsività o discriminazione dovuta al dedotto infortunio sul lavoro (che non ha ritenuto sufficientemente provato).
Rileva infine la Corte di Cassazione che, preso atto di quanto dedotto nel ricorso per Cassazione e precisato in memoria, ove si rileva la mancata riproposizione del motivo discriminatorio in sede di appello, la stessa Corte ha già avuto modo di affermare che la parte vittoriosa nel merito in primo grado, difettando di interesse al riguardo,
non ha l’onere di proporre, in ipotesi di gravame formulato dal soccombente, appello incidentale per richiamare in discussione le domande o le eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado, da intendersi come quelle che risultino superate o non esaminate perché assorbite (o anche quelle esplicitamente respinte qualora l’eccezione mirava a paralizzare una domanda comunque respinta per altre ragioni), ma è soltanto tenuta a riproporle espressamente nel giudizio di appello in modo tale da manifestare la sua volontà di chiederne il riesame, al fine di evitare la presunzione di rinunzia derivante da un comportamento omissivo ai sensi dell’art. 346 c.p.c.
Nella fattispecie il lavoratore, trascurando di riproporre l’eccezione consistente nella illegittimità del licenziamento per motivo discriminatorio dovuto ad un infortunio sul lavoro, ha adottato, in sede di appello, un comportamento processuale interpretabile come rinunzia a detta eccezione.
Il ricorso va dunque rigettato.