Falsificare il Durc – indice
Secondo la recente sentenza n. 18263/2019 da parte della Corte di Cassazione, la falsificazione del Durc integra il reato di falsità materiale in certificato amministrativo. Per i giudici, infatti, va considerata la natura giuridica di tale atto, la cui funzione è attestare la regolarità dell’impresa nei pagamenti e negli adempimenti previdenziali, assistenziali e assicurativi.
Il caso
Con la pronuncia in esame, dunque, viene dichiarato inammissibile il ricorso del rappresentante legale di una società, condannato ex artt. 477 e 482 c.p.
Ricordiamo in tale ambito che l’art. 477 c.p., rubricato “Falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in certificati o autorizzazioni amministrative”:
Il pubblico ufficiale, che, nell’esercizio delle sue funzioni, contraffà o altera certificati (1) o autorizzazioni amministrative, ovvero, mediante contraffazione o alterazione, fa apparire adempiute le condizioni richieste per la loro validità (2), è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
L’art. 482 c.p., invece, rubricato “Falsità materiale commessa dal privato”, afferma che:
Se alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 476, 477 e 478 è commesso da un privato, ovvero da un pubblico ufficiale fuori dell’esercizio delle sue funzioni, si applicano rispettivamente le pene stabilite nei detti articoli, ridotte di un terzo.
L’uomo, proprio in qualità di rappresentante legale di una società in accomandita per azioni, aveva infatti contraffatto due certificati amministrativi (Durc) per poter ottenere la commissione di lavori in subappalto.
Condannato, l’uomo ha proposto ricorso in Cassazione, contestando la violazione di legge del provvedimento impugnato in ordine alla natura di atto pubblico del Durc. Secondo la tesi difensiva, infatti, la dichiarazione proviene da un ente privato come la Cassa Edile. Di qui, l’ipotesi secondo cui la falsificazione sarebbe punibile solo ex art. 485 c.p.
La natura del Durc
Limitandoci al solo motivo di ricorso di nostro interesse, giudicato manifestamente infondato dai giudici della Suprema Corte, il Documento Unico di Regolarità Contributiva viene definito come un certificato unico che attesta la regolarità di un’impresa nei pagamenti e negli adempimenti previdenziali, assistenziali e assicurativi, nonché in tutti gli altri obblighi previsti dalla normativa vigente nei confronti di INPS, INAIL e Casse Edili, verificati sulla base della rispettiva normativa di riferimento.
In altri termini, per ottenere il Durc le imprese inoltrano un’unica richiesta di rilascio della regolarità contributiva ad uno degli enti citati, e non dunque tre richieste (ciascuna per ogni ente), come avveniva in passato.
Chiarito ciò, stando alla definizione di cui all’art. 4 del D.M. 24 ottobre 2007 e 6, co. 1, D.P.R. n. 207/2010, richiamata dalla sentenza, il DURC è appunto
il certificato che attesta contestualmente la regolarità dell’operatore economico per quanto concerne gli adempimenti INPS, INAIL, nonché Cassa edile per i lavori, verificati sulla base della rispettiva normativa di riferimento.
Premesso ciò, gli Ermellini rammentano come la giurisprudenza consolidata della Corte abbia già affermato in modo chiaro che
Integra il delitto di falsità materiale in certificato amministrativo, previsto dagli artt. 477-482 cod. pen., la falsificazione del Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC).
Per i giudici, infatti, rileva la natura giuridica di tale atto. La quale, in evidenza, ha valore di attestazione della regolarità di un’impresa nei pagamenti e negli adempimenti previdenziali, assistenziali e assicurativi dovuti agli enti di riferimento.
Non punibilità ex art 131 bis c.p.
Quale ulteriore motivo i giudici si esprimono sull’inammissibilità dell’omessa motivazione sul riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen.
Per i giudici, infatti, il ricorrente non aveva avanzato la relativa richiesta né con l’atto di appello, né nella discussione in udienza.
Gli Ermellini sottolineano in questo proposito “come in tema di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto, la questione dell’applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen. non può essere dedotta per la prima volta in cassazione, ostandovi il disposto di cui all’art. 606, comma terzo, cod. proc. pen., se il predetto articolo era già in vigore alla data della deliberazione della sentenza impugnata, né sul giudice di merito grava, in difetto di una specifica richiesta, alcun obbligo di pronunciare comunque sulla relativa causa di esclusione della punibilità”.