Il reato di estorsione – indice
- Cos’è il reato di estorsione
- Il reato plurioffensivo
- La condotta
- L’evento
- Il dolo generico
- Le aggravanti
L’art. 629 c.p. introduce nell’ordinamento il reato di estorsione, inquadrandolo all’interno delle ipotesi di delitto contro il patrimonio, mediante violenza a cose o persone.
Ma quali sono le caratteristiche di questo reato? Quali sono i suoi elementi oggettivi e soggettivi? E quali le circostanze aggravanti?
Cerchiamo di scoprirlo insieme, cominciando da un’analisi del dispositivo del codice.
Cos’è il reato di estorsione
Il reato di estorsione è disciplinato dall’art. 629 c.p., secondo cui
chiunque mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da euro 1.000 a euro 4.000.
La pena è della reclusione da sette a venti anni e della multa da euro 5.000 a euro 15.000, se concorre taluna delle circostanze indicate nell’ultimo capoverso dell’articolo precedente.
Come sempre, anche la semplice lettura del dispositivo ci permette di elaborare alcune preliminari valutazioni. Per esempio:
- per configurare il reato non rilevano le modalità con cui la violenza o la minaccia si concretizzano, essendo sufficiente che tali comportamenti siano dirette a forzare la volontà della vittima, in modo tale che quest’ultima ponga in essere un atto di disposizione patrimoniale;
- la costrizione di cui al reato di estorsione può avere come oggetto il compimento di atti di disposizione patrimoniali positivi (donare una somma di denaro) o negativo (rimettere un debito). Può altresì trattarsi di atto annullabile, ma deve essere produttivo di effetti giuridici;
- il concetto di profitto non deve necessariamente essere inteso come avente rilevanza solamente economica o patrimoniale. Può infatti trattarsi di vantaggi di diversa natura, mentre il danno deve avere natura esclusivamente patrimoniale.
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Il reato di estorsione plurioffensivo
Il bene giuridico che è oggetto di tutela dell’art. 629 c.p. è di natura plurioffensiva. La tutela viene infatti indirizzata sia nei confronti del patrimonio della vittima, sia nei confronti della libertà di autodeterminazione.
Quando si parla di estorsione, inoltre, si parla pur sempre di un reato comune. Chiunque può dunque commettere questo reato, ma se è commesso da un pubblico ufficiale, integra il reato di concussione ex art. 317 c.p., se vi è abuso di potere.
La condotta nel reato di estorsione
Un particolare cenno di attenzione, per qualificare correttamente il reato, deve essere riposo nei confronti della condotta, ovvero dell’elemento oggettivo.
La condotta incriminata è infatti quella di chi – mediante violenza o minaccia – costringe un’altra persona a fare o omettere qualcosa, procurando così a sé stessi o ad altri un ingiusto profitto e, di contro, arrecando un danno al soggetto passivo.
Val dunque la pena approfondire i concetti di minaccia e violenza.
La minaccia
La minaccia è da intendersi come la prospettazione di un male ingiusto e notevole, che proviene dal soggetto minacciante. Può essere attuata in maniera esplicita o implicita, ma deve essere sempre idonea a coartare la volontà del soggetto passivo.
È anche possibile che la condotta di minaccia possa consistere anche nel prospettare alla vittima un comportamento omissivo. È il caso in cui sul soggetto minacciante gravi un obbligo giuridico di impedire un evento.
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La violenza
Per quanto attiene invece la violenza, tale deve essere da non coartare completamente la volontà della vittima, perché in questo caso di configurerebbe il più grave reato di rapina, ex art. 628 c.p.
Insomma, la violenza deve comunque lasciare al soggetto passivo un pur minimo margine di autodeterminazione. In altre parole, il soggetto passivo potrà pur sempre scegliere se cedere all’estorsione, o subire il male minacciato.
L’evento
Tornando alla condotta, gli eventi conseguenza sono così riassumibili:
- condizionamento della volontà della vittima, in relazione al parametro della normale impressionabilità in seguito alla violenza o alla minaccia personale o reale;
- compimento dell’atto di disposizione, consistente in un dare, fare o non fare, aventi ad oggetto un elemento del patrimonio;
- produzione di un danno altrui, causato dalla disposizione di cui si è detto nel punto precedente di questo elenco;
- realizzazione di un profitto ingiusto, per il soggetto agente o per altri, che non si fonda su pretese riconosciute o tutelate dall’ordinamento.
Il dolo generico nel reato di estorsione
Passando poi all’analisi dell’elemento soggettivo, si ritiene sufficiente il dolo generico, ovvero la coscienza e la volontà di usare violenza o minaccia per poter costringere il soggetto passivo a porre in essere una condotta che determinerà il già rammentato ingiusto profitto per il soggetto agente o per altri.
In altre parole, il soggetto che agisce deve avere la consapevolezza di porre in essere una condotta illegittima. Ne deriva che se l’agente pone in essere una condotta perché ritiene che il profitto sia giusto, il suo comportamento non dovrebbe configurare il reato di estorsione.
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Le aggravanti del reato di estorsione
L’art. 629 c. 2 c.p. richiama le stesse aggravanti già previste per il reato di rapina:
- se la violenza o minaccia è commessa con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite;
- se la violenza consiste nel porre taluno in stato d’incapacità di volere o di agire;
- (o) se la violenza o minaccia è posta in essere da persona che fa parte dell’associazione di cui all’articolo 416 bis;
- se il fatto è commesso nei luoghi di cui all’articolo 624 bis o in luoghi tali da ostacolare la pubblica o privata difesa;
- se il fatto è commesso all’interno di mezzi di pubblico trasporto;
- (o) se il fatto è commesso nei confronti di persona che si trovi nell’atto di fruire ovvero che abbia appena fruito dei servizi di istituti di credito, uffici postali o sportelli automatici adibiti al prelievo di denaro;
- se il fatto è commesso nei confronti di persona ultrasessantacinquenne.
In tali ipotesi le pene (reclusione da 5 a 10 anni e multa da 1.000 a 4.000 euro) vengono aumentate a reclusione da 6 a 20 anni e multa da 5.000 a 15.000 euro.